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TESTO Essere grati e riconoscenti a Dio e ai fratelli!

padre Antonio Rungi

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (14/10/2007)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

La Parola di Dio di questa XXVIII Domenica del tempo ordinario dell'anno liturgico ci fa riflettere sulla riconoscenza per i doni ricevuti da Dio ed in primo luogo quello della guarigione dell'anima e poi quello del corpo.

Il testo del Vangelo di oggi ci presenta la guarigione dei 10 lebbrosi, di cui uno solo, samaritano, ritornò a ringraziare il Signore dopo aver ottenuto la perfetta guarigione del corpo, non senza aver ricevuto prima quella dell'anima: va' la tua fede ti ha salvato, è l'espressione che Gesù utilizza in questa circostanza, come in tante altre nelle quali esercita il suo potere taumaturgico, per ricordare a tutti che ogni dono che riceviamo viene esclusivamente dall'alto e al Padre che è nei cieli dobbiamo essere grati e riconoscenti nella buona e nella cattiva sorte che può capitarci lungo l'intero percorso della nostra esistenza terrena. Il testo del Vangelo di Luca è molto preciso nel presentare questo nuovo singolare intervento del Signore per guarire 10 persone in un solo istante.

La vita di tutti i giorni ci mette di fronte a questo duplice atteggiamento nostro e degli altri: da un lato a volte siamo grati e riconoscenti a Dio e ai fratelli; altre volte siamo ingrati e per nulla attenti a ringraziare per quello che abbiamo e riceviamo da Dio e dagli altri. Ci barcameniamo in situazioni contraddittorie e conflittuali che non sempre ci fanno intraprendere la strada giusta, quella della coerenza e della riconoscenza. Troppe ingratitudini in tutti gli ambienti compresi quelli ecclesiali, che ci fanno riflettere seriamente sulla durezza del cuore delle persone, sull'egoismo, sul tutto è dovuto e quando non viene dato il tutto si è doppiamente ingrati verso Dio e verso gli altri. La lezione che ci viene dal lebbroso guarito è una lezione di stile di vita, di educazione alla gratitudine che in questo nostro tempo è sempre più dimenticata, convinti come siamo che tutto ci è dovuto e nulla dobbiamo patire o soffrire. Di questo sono convinte particolarmente le nuove generazioni di uomini e di cristiani, che sempre più rifuggono dal dolore, dalla sofferenza, dal sacrificio, quasi il dolore e la prova fossero una lebbra, quando in realtà sono vie di purificazione e di salvezza. Il lebbroso riconoscente al Signore è l'uomo peccatore, fragile, debole, malato, insicuro, in difficoltà che di fronte anche al minimo gesto di attenzione sa dire grazie e lo dice con tutto il cuore. L'indifferenza e l'ingratitudine degli altri nove lebbrosi, quelli che più dovevano avere dimestichezza con la riconoscenza a Dio per la guarigione ottenuta dal suo Figlio, Gesù Cristo, rappresenta il modo di vivere ed agire di oggi. A Dio si ricorre solo nel bisogno ed, ottenute da Lui le grazie impetrate, ci si dimentica degli obblighi e doveri che abbiamo verso di Lui, tra i quali c'è al vertice di tutti: amare il Signore Dio, con tutte le proprie forze, servire Lui, onorare Lui, non anteporre a Dio altri dei. Purtroppo sappiamo come questo sia praticamente disatteso dalla stragrande maggioranza di chi si dice cristiano e non vive come tale in profondità.

L'esempio di questa totale dedizione a Dio ci viene anche dalla testimonianza di Naaman il Siro, ugualmente lebbroso e poi guarito, nel brano della prima lettura della parola di Dio di questa domenica, tratta dal secondo libro dei Re.

Superare l'idolatria, a volte molto accentuata nella nostra vita, in quanto ci dedichiamo a coltivare interessi e attenzioni a cose e fatti che ci portano lontani dal Signore; aprire, invece, il nostro cuore al dialogo e alla contemplazione dell'unico Dio, che è stato rivelato dall'amore misericordioso di Gesù Cristo, come ci ricorda la seconda lettura di oggi, ricavata dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.

Il modello della nostra vita in Dio e con Dio è Gesù Cristo, fedele al Padre fino alla fine. In Gesù Cristo dobbiamo riporre ogni nostra speranza in questo mondo per nell'eternità. Egli può, se ci affidiamo a Lui, aprire gli spiragli difficili e drammatici in una vita chiusa a Dio e ai fratelli e ripiegata su se stessa, senza prospettiva di gioia e felicità vera. Sia questa la nostra preghiera non solo oggi, ma sempre con la quale vogliamo rivolgerci a Dio e comprendere esattamente come dobbiamo operare e per qual fine: "O Dio, fonte della vita temporale ed eterna, fa' che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo: ogni fratello in questo giorno santo torni a renderti gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio". Amen!

 

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