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TESTO Guariti da ogni lebbra

Paolo Curtaz  

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (14/10/2007)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Gesù sta salendo verso Gerusalemme, col volto indurito, deciso di rendere testimonianza al Padre, costi quel che costi. Non lo sanno, gli apostoli, che il Rabbì già vede il fallimento della sua missione e che questa sensazione non fa' che motivarlo e spingerlo al dono totale di sé.

Sulla strada gli si fanno incontro dieci lebbrosi che urlano a distanza.

La lebbra è una malattia terribile e devastante, che marcisce il corpo, lo spirito e le relazioni.

Dei dieci uno è straniero, nemico, un samaritano. Ma la malattia e il dolore accomunano ogni uomo, senza distinzioni di religione o di etnia. Urlano il loro dolore, il loro abbandono, il loro lento ed inesorabile imputridire.
Gesù chiede loro di andare dai sacerdoti per essere guariti.

A volte Gesù, simpaticone, ci chiede di andare da un prete per essere guariti.

Norme

È un retaggio dell'antico Israele, quando il sacerdote fungeva anche da ufficiale medico: solo lui poteva attestare la guarigione e il reinserimento di un lebbroso.

Questa richiesta, da parte di Gesù, indica il suo profondo rispetto per il passato di Israele, egli non è venuto a cambiare un iota o un segno, ma a dare compimento, a riportare alla propria origine il progetto di Dio. Di più: la guarigione non è istantanea, richiede un cammino, un fidarsi; Dio non ama i miracoli eclatanti, chiede sempre consapevolezza, cammino, fiducia, mediazione.

I dieci vanno e, mentre camminano, si accorgono di essere guariti.

Anche a molti di noi accade di guarire per strada, quando la smettiamo di porre condizioni a Dio e a noi stessi.

Stupiti, straniti, sconvolti, i lebbrosi guariti adempiono la richiesta di Gesù e vanno dal sacerdote. Eccetto uno, colui che non ha Tempio, che non ha sacerdoti, non ha religioni ufficiale. Non sa dove andare il samaritano e torna sui suoi passi.

La lebbra dell'ingratitudine
Uno solo torna a ringraziare, pieno di fede.

Gesù, sconfortato, constata che dieci sono stati sanati, ma uno solo salvato.

Una volta guariti, le differenze tornano (mistero dell'umana fragilità!): nove vanno al Tempio e il samaritano, di nuovo solo, senza un tempio in cui essere accolto, corre dal tempio della gloria di Dio che è Gesù. Il samaritano torna indietro lodando Dio a gran voce, non può tacere, urla la sua gioia, la sua solitudine e la sua emarginazione sono finalmente finiti. E gli altri? Chiede Gesù. Nulla, spariti, scomparsi.

Guarire gli uomini dalla loro ingratitudine è ben più difficile che guarirli dalle loro malattie.

La gratitudine, la festa, lo stupore, sono atteggiamenti connaturali all'uomo, eppure troppo poco spesso manifestati nella nostra vita. Siamo tutti molto lamentosi, sempre pronti a sottolineare il negativo che pesa come un macigno nelle nostre bilance.

Diamo tutto per scontato: è normale esistere, vivere, respirare, amare; normale e dovuto nutrirsi, lavarsi, abitare, lavorare... Il nostro sguardo, un po' assuefatto dalle cose scontate e dovute, non sa più aprirsi alla gratitudine. Come vorrei vedere uscire dalla mia chiesa - almeno d'ogni tanto! - qualcuno che torna a casa sua lodando Dio a gran voce... Come vorrei vedere più sorrisi sulle labbra dei cristiani, più lode nelle loro preghiere, più gratitudine nei gesti di coloro che, guariti dalle loro solitudini interiori e dalla lebbra che è il peccato, sono anche salvati e fatti Figli di Dio.

Attenti all'ingratitudine, incontentabili discepoli del Signore.

Guarigioni
Essere guariti non significa essere salvati.

I nove ingrati sono la perfetta icona di un cristianesimo molto diffuso, che ricorre a Dio come ad un potente guaritore da invocare nei momenti di difficoltà. Che triste immagine di Dio si fabbricano coloro che a lui ricorrono "quando c'è bisogno", che lasciano Dio ben lontano dalle loro scelte, dalla loro famiglia, salvo poi arrabbiarsi e tirarlo in ballo quando qualcosa va storto nei loro (badate, non nei suoi) progetti.

I nove sono guariti: hanno ottenuto ciò che chiedevano, ma non sono salvati.

Rimasti chiusi nella loro parziale e distorta visione di Dio, guariti dalla lebbra sulla pelle, non vedono neppure la lebbra che hanno nel cuore.

Il Dio che hanno invocato è il Dio dei rimedi impossibili, non il Tempio in cui abitare, il Potente da corrompere e convincere, non il Dio che, nella guarigione, testimonia che è arrivato il tempo messianico.

Che triste idea di Dio hanno questi lebbrosi! Una visione della fede superstiziosa e magica, che accusa Dio delle nostre malattie, che mette Dio alla sbarra, accusandolo.

La malattia e la morte ricordano al nostro mondo contemporaneo, perso nel delirio di onnipotenza, che siamo creature fragili, che, come gli alberi e gli uccelli del cielo, viviamo la nostra vita come un soffio, che il nostro corpo è mortale.

Ma il faggio e il passerotto, quando arriva l'autunno, accettano la propria condizione serenamente, sapendo di far parte di un immenso disegno d'amore e che la morte non è una condizione definitiva. L'uomo, invece, la rifiuta, segno – questo – della sua immensa dignità.

La malattia può allora diventare, paradossalmente, la porta attraverso cui entriamo nel nostro ricco mondo interiore.

Davanti alla sofferenza, come i due ladroni sulla croce, possiamo bestemmiare Dio accusandolo di indifferenza. O accorgerci che sta morendo accanto a noi.

Cadere nella disperazione. O cadere ai piedi della croce.

Basta la salute?

Basta la salute? Certo, la salute è bene prezioso, e va conservato, con uno stile di vita salubre ed armonioso, ricordandoci che la pace del cuore di chi incontra Dio e scopre il proprio progetto di vita, apporta anche benessere psicofisico profondo. Ma non è vero, non basta la salute, ci necessita la felicità.

Gesù ci dice che la salute non è tutto, più della salute c'è la salvezza.

E la felicità consiste nell'aprire il cuore alla gratitudine di un Dio che ci guarisce nel profondo da ogni solitudine, da ogni dolore.

Il sito www.tiraccontolaparola.it è, da oggi, completamente rinnovato, arricchito di alcune sezioni di meditazione, con un ricchissimo archivio, con files audio scaricabili. Un grazie di cuore a Marco e ai suoi collaboratori per questo piccolo grande approdo per internauti curiosi di Dio.

Libri di Paolo Curtaz

 

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