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TESTO Troppo fragile la nostra fede!

padre Antonio Rungi

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (07/10/2007)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

La Parola di Dio di questa XXVII Domenica del tempo ordinario dell'anno liturgico ci fa riflettere sul dono della fede, che è espressa nella richiesta iniziale del testo del Vangelo di oggi, nel quale i discepoli si rivolgono a Gesù per chiedere di aumentare la loro fede. Che la sorgente della fede stia in Dio e che Lui ce la dona è vero in modo assoluto; ma è altrettanto vero che al dono si risponde con la riconoscenza e con la gratitudine; per cui la fede è anche una risposta personale di totale disponibilità alla volontà di Dio.

Gli Apostoli non chiedono di aumentare la fede in termini quantitativi, bensì qualitativi, nel senso di un migliore e più autentico rapporto spirituale con Gesù e di ascolto della sua parola. D'altra parte la fede viene dall'ascolto e se si presta ascolto alla parola la fede diventa più adulta e matura. In realtà proprio perché manca una sintonia tra la parola di Dio e la nostra vita, la fede è sempre più fragile e sempre più messa in discussione. Se gli Apostoli avvertono la necessità di chiedere a Gesù di aumentare la loro fede, una ragione c'è ed è quella della scarsa disponibilità a lasciarsi prendere da Cristo e dal suo messaggio. E sappiamo cosa abbia significato la mancanza di fede nella vita degli apostoli quando si trattò di dare la testimonianza a Cristo durante il processo e la condanna a morte. Sappiamo pure cosa abbia significato aver avuto una fede più forte e matura, dopo la Pentecoste, dono dello Spirito Santo e del Consolatore, quando si trattò di testimoniarla questa fede nei successivi eventi della chiesa nascente. Gli stessi apostoli pavidi, paurosi ed indecisi diedero l'estrema testimonianza a Gesù con il martirio, dimostrando a se stessi, al mondo intero che quando l'amore ti prende questo diventa fede, ovvero fiducia totale nella persona che tu ami. Fede è quindi amore, fede è quindi donazione, fede è quindi obbedienza, fede è soprattutto cammino verso Cristo e con Cristo. Il testo di Luca che oggi ascoltiamo ci aiuta ad entrare in una fede che è soprattutto amore.

La conclusione del testo è quanto mai di utile insegnamento per capire fino a che punto il nostro agire ed operare, anche nell'ambito del sacro, della comunità dei credenti e più in generale della vita, debba essere considerato e valutato e soprattutto stimato: quando abbiamo fatto tutto, riconosciamo che non abbiamo fatto nulla, perché siamo davvero servi inutili. L'unico vero "Servo del Signore" è Gesù che può dire esattamente sulla Croce, prima di morire per la nostra salvezza "Tutto è compiuto". Quanta presunzione nella nostra vita e nelle nostre attività: pensiamo di essere insostituibili negli uffici, incarichi, posti, luoghi. Siamo spesso abituati dalla mentalità dell'autoreferenzialità e della critica agli altri di dire che tutto abbiamo fatto noi, utilizzando nel parlare comune e nel ragionamento quel pronome personale "Io", espressione di egoismo, egocentrismo, superbia, arroganza, presunzione senza fine. Il Vangelo ci riporta alla realtà della vita di ogni uomo soprattutto alla realtà di questa vita terrena che scorre e passa velocemente, alla fine della quale dobbiamo necessariamente tirare le somme e autovalutarci. Se abbiamo coscienza di quello che abbiamo fatto in ogni campo e se siamo onesti intellettivamente con noi stessi non possiamo dire altro che una sola cosa: ho fatto poco e per lo più anche sbagliando in molte situazioni.

L'umiltà, ovvero l'ammissione dei propri limiti, arriva sempre più frequentemente sul punto di morte e mai in itinere, quando pensiamo di essere insostituibili in tutto e la nostra presenza nel mondo e in determinate realtà e situazioni è talmente indispensabile, pensiamo, fino al punto che il mondo senza di noi non avanzerebbe. Poveri illusi e poveri sciocchi quali siamo. Davvero il Vangelo di oggi ci dà l'esatta misura di ogni cosa: siamo servi inutili. Il servizio va comunque espletato per dovere di coscienza e responsabilità, ma guai il momento in cui ci riteniamo indispensabili e insostituibili. E' proprio vero quello che la sapienza popolare ha fissato in proverbi che ritornano alla nostra mente in determinate circostanze: "Morto un Papa, se ne fa un altro". Morto un vescovo se ne fa un altro e così andando per la scala delle responsabilità e degli uffici. Tutti possono e di fatto danno il loro contributo, ma tutti, se guardano la vita con gli occhi della fede, hanno pure la scienza e la coscienza che dopo di loro non c'è il buio, ma a volte davvero emerge la luce.

In questa prospettiva si comprende esattamente quello che secoli prima di Cristo scriveva il profeta Abacuc, che registra una situazione di grave difficoltà, di ingiustizia, violenza, sopraffazione e si rivolge a Dio perché risolva lui i mali causati dagli uomini, quasi che Dio esautori l'essere umano dalla sua diretta responsabilità delle cose. Quel dono della libertà va esercitato in modo che possa davvero indirizzarsi verso il bene.

Il grido di dolore di questo uomo di Dio di fronte ai misfatti della società è lo stesso che spesso si alza dalla voce dei tanti profeti inascoltati anche del nostro tempo. Certamente, stando alla parola di Dio, bisogna attendersi tempi migliori. Questa è la speranza cristiana che ci motiva ad agire guardando piuttosto avanti che volgendosi all'indietro. Dobbiamo immaginare un mondo nuovo e migliore che il Signore ci darà, in cui la pace e la giustizia sempre abiteranno. Un mondo che per quanto vogliamo sforzarci di pensare nei limiti del tempo e della storia, non potrà che essere quello eterno e futuro che inizierà con la seconda e definitiva venuta di Cristo sulla terra, per giudicare i vivi e i morti per una pace e felicità senza confini e limiti.

Ma per questi discorsi è sapiente, e sicuramente anche più rassicurante da un punto di vista religioso, far tesoro di quello che scrive l'Apostolo Paolo nel brano della seconda lettura della Parola di Dio di oggi e che è rivolto al suo amico Timoteo, ma che è rivolto a ciascuno di noi.

Possiamo esattamente condividere quello che Paolo scrive: Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, per cui diventiamo incapaci di parlare di Lui al mondo intero e di testimoniare la nostra fede in Dio; ma uno spirito di fortezza, di amore e saggezza, mediante il quale noi abbiamo potenzialmente la capacità di testimoniare la fede in Lui in tutte le circostanze; ma se non ci lasciamo condurre da questo spirito che opera silenziosamente ed invisibilmente, sarà difficile testimoniare il nostro amore verso Dio e ai fratelli anche nelle circostanze più semplici e meno impegnative della vita.

Sgorga dal profondo del nostro cuore la preghiera della liturgia di questo giorno, rivolgendola a Dio con sincerità di intenti e scopi da perseguire per il bene nostro e per la chiesa: "O Padre, che ci ascolti se abbiamo fede quanto un granello di senapa, donaci l'umiltà del cuore, perché, cooperando con tutte le nostre forze alla crescita del tuo regno, ci riconosciamo servi inutili, che tu hai chiamato a rivelare le meraviglie del tuo amore". Amen.

 

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