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TESTO L'abisso della ricchezza

don Maurizio Prandi

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (30/09/2007)

Vangelo: Lc 16,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 19C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Ancora una volta, di domenica, una parola di Gesù sulla ricchezza; una parola importante non perché di condanna, ma perché ci aiuta a fare chiarezza.

La ricchezza in sé non è condannata da Gesù in quanto cattiva, ma in quanto ambigua, perché si erge ad idolo, ti toglie il volto, il nome, le caratteristiche... e infatti il ricco del vangelo di oggi non ha nome. La colletta per l'anno C recita così: O Dio tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco epulone... Il ricco non ha nome perché il denaro si sostituisce all'identità di una persona, domina la sua coscienza, detta la sua legge, ispira i pensieri... in modo particolare, nel caso odierno, il denaro acceca, impedisce di vedere... Proviamo allora a chiederci cosa significhi avere un nome. Mi ripeto certamente, perché queste cose le ho già accennate a giugno mi pare, ma tornarci sopra non fa male, né a me, né a voi... Avere un nome significa avere un'identità, essere "qualcuno", ma questo è possibile solo se c'è chi ce lo riconosce: nessuno si dà il nome da sé, sono gli altri a dirci chi siamo, a consegnarci la nostra identità. Per questo i genitori scelgono il nostro nome, perché è tutt'uno con il dono della vita.

A questo punto possiamo chiederci come mai il ricco non abbia nome: non possiamo lasciare che le cose riempiano la nostra vita, altrimenti rischiamo di essere nessuno. Le cose, per quanto grandi, belle, speciali, o tante, non possono darci un'identità. La nostra vita, solo piena di cose, è come una bellissima casa splendidamente arredata, magari pulita e in ordine, ma disabitata: che tristezza! Noi non siamo fatti per le cose, ma per le relazioni.

Allora scopriamo come con due parole (anzi una sola: Lazzaro, perché l'altro nome manca) Gesù ci introduca in una storia, con tutte le sfumature e la concretezza delle situazioni che possiamo immaginare: il ricco che "affoga" nelle sue cose e Lazzaro che dipende dalle sue briciole.

L'annotazione che risalta in modo particolare è come due situazioni così opposte possano stare così vicine. Lazzaro non abita in un altro paese, non mendica in una via di quella città, neppure nel cortile della casa a fianco, ma sulla soglia della casa del ricco. Solo che è come se non ci fosse, solo i cani gli tengono compagnia, quasi si prendono cura di lui. Il ricco è condannato non perché è un violento, non perché è un oppressore, un bestemmiatore, uno che fa cattive azioni... è condannato per le sue omissioni, per quello che non fa', per quello che non vede... il ricco riduce a nulla un uomo, è questo il peccato gravissimo. Non è cattivo il ricco, ma la vita nella quale è immerso lo rende insensibile al bisogno del povero. Ad una prima lettura questo ci sembra molto strano, forse ci indigna; magari pensiamo: "se io fossi al posto di quel ricco, agirei diversamente!". Ma proviamo a pensare quante volte capita di avere accanto persone che per noi è come se non esistessero neppure... può capitare anche nella vita di tutti i giorni, soprattutto in comunità piccole come le nostre... quasi vivere insieme a qualcuno con cui alla fine ci rendiamo conto di non avere condiviso niente. E che tristezza per chi attende la briciola di uno sguardo, una parola, un'attenzione che non arriva.

Nell'aldilà, si vedono le cose chiaramente per come sono davvero: Lazzaro è "nel seno di Abramo": il luogo più bello, più santo e più desiderabile per un israelita (noi diremmo in Paradiso); il ricco è lontano nei tormenti dove c'è sempre il fuoco acceso (noi diremmo all'inferno). Ecco allora il dialogo tra il ricco e Abramo in cui questi spiega due cose importanti:
1) tra di loro c'è un abisso, una distanza inattraversabile,

2) quell'abisso l'ha creato lui, il ricco, durante la sua vita.

Questo è la vera definizione de "l'inferno": la distanza che creiamo tra noi e i nostri fratelli. Quando il ricco chiede che Lazzaro possa raggiungerlo con una goccia d'acqua, Abramo gli ricorda che per tutta la vita lo aveva a fianco, sulla soglia di casa sua, ma non ne ha approfittato, anzi ha creato un abisso. Chiedendogli una goccia d'acqua è come se gli chiedesse di essere riconosciuto, chiamato per nome finalmente... una goccia, anche con un soprannome, con un nomignolo, ma chiamami in qualche modo...

Ogni giorno della nostra vita, allora, è l'occasione che ci è offerta per creare relazioni nelle quali chiamarci reciprocamente per nome e così generarci continuamente alla vita. Questo è "il paradiso" ed è a portata di mano, solo che spesso non ce ne accorgiamo.

A questo punto al ricco vengono in mente i suoi cinque fratelli che vivono ancora sulla terra comportandosi come lui. Vorrebbe che andasse Lazzaro da loro, ma Abramo risponde: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". Cosa significa? Semplicemente, che la via alla pienezza della vita sia il fratello, soprattutto il più povero, il più piccolo, l'ultimo è il cuore e la sintesi di tutta la scrittura. Mosè e tutti i profeti lo hanno sempre indicato perché questa è una parola scritta sul cuore dell'uomo, prima ancora che sulle tavole di pietra o sulle pagine di un libro. Solo dobbiamo imparare ad ascoltarla. All'insistenza del ricco Abramo risponde: neppure la risurrezione è un segno abbastanza eloquente se io non so ascoltare.

A questo punto è chiaro l'avvertimento per noi cristiani: "non vi serve a niente dire la vostra fede nella risurrezione di Gesù se poi non sapete amare i vostri fratelli, a cominciare dai più poveri". Oltre che ciechi, la ricchezza rende anche sordi allora... sordi alla Parola che Dio ci rivolge nella Scrittura. Non ti fa ascoltare Dio, non ti fa ascoltare Mosè e i profeti.

In questi primi dieci giorni di esperienza di missione a Cuba, mi è venuto in mente quanto ascoltavo un po' di tempo fa sui fratelli del ricco epulone: sono cinque, più il ricco epulone fanno sei... per raggiungere la perfezione manca il settimo fratello... ecco il settimo fratello è il povero, il settimo fratello è Lazzaro, tuo fratello è il povero, colui che da sempre abita sulla soglia di casa tua e con tanta difficoltà sei disposto a riconoscere e chiamare così.

 

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