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TESTO Beati i poveri in spirito (318)

don Remigio Menegatti  

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (30/09/2007)

Vangelo: Lc 16,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 19C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Per comprendere la Parola di Dio alcune sottolineature

La prima lettura (Am 6, 1a. 4 - 7) riprende nella tematica il senso del brano della scorsa settimana: un richiamo forte a chi non si accorge della difficile situazione del popolo eletto. Vengono presentati gli "spensierati di Sion", che si sentono sicuri in Samaria, capitale del regno del nord, intenti nelle loro feste e orge che accompagnano con canti – "canterellano al suono dell'arpa" –, senza accorgersi dei poveri, della cui infelice situazione sono spesso causa essi stessi. La deportazione in Babilonia è ormai vicina, e non sfuggiranno alla loro sorte. La ricchezza non risolve tutti i problemi della vita.

Il vangelo (Lc 16, 19-31) riporta la parabola di Lazzaro e di un uomo ricco. Quest'ultimo rimane anonimo e viene identificato solo dal suo modo di godere: epulone. Ciò serve a indicare che almeno Dio si prende cura di lui, lo tiene in conto: "O Dio, tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco epulone", dice la preghiera di colletta di questa domenica. Il ricco epulone sembra far parte della categorie di coloro cui era rivolta la dura critica di Amos: non si cura del povero che giace alla sua porta. La morte è la sorte di tutti, ricchi e poveri, a cui segue il giudizio che mette in luce quanto il ricco non si sia mai interessato di vivere la Parola del Signore. È proprio questa Parola – e non l'apparizione di "fantasmi" l'unico antidoto perché non si ripetano situazioni simili.

Salmo 145
Il Signore rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.

Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti.

Il Signore protegge lo straniero,
egli sostiene l'orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie degli empi.
Il Signore regna per sempre,

il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione.

Il salmo, nel tratto della liturgia questa domenica, aiuta a mettere in luce un aspetto presente nella prima lettura: a differenza degli "spensierati di Sion" il Signore non ignora la sorte del suo popolo, e anzi è il primo a prendersene cura. I titoli con cui Dio si presenta non sono distillati di filosofia, quanto invece immagini che "raccontano" le opere di Dio. Il Signore si fa conoscere e amare non facendoci imparare complicate formule su di lui, bensì mostrando nei gesti la sua potenza, il suo regno che non ha fine.

Ritorna bene sette volte il titolo "Il Signore", e una volta "il tuo Dio, o Sion". Questa insistenza aiuta a mettere in evidenza le caratteristiche di Dio che si possono riassumere in alcuni gesti: rende giustizia, dà il pane, libera, ridona la vista, rialza, ama, protegge, sostiene. Questi verbi hanno come oggetto il suo popolo, un popolo concreto costituito da oppressi, affamati, prigionieri, ciechi, chi è caduto, giusti, stranieri, orfani e vedove. Una sola volta l'oggetto della sua azione sono gli empi di cui sconvolge le vie. L'ultima riga è come un riassunto: in questo modo di fare lui "regna per sempre... per ogni generazione".

Un commento per ragazzi

Due comportamenti messi in luce dalla Parola di Dio li possiamo ritrovare anche nei modi di fare abituali di tanti, pure dei ragazzi. Uno di questi – quando si ascolta un rimprovero destinato genericamente a tutto un gruppo – è la fretta di scusarsi e di dichiarare l'estraneità ai fatti richiamati: "non sono stato io!". L'altro atteggiamento è cercare all'ultimo istante una via d'uscita: siamo disposti a tutto pur di salvarsi onorevolmente, dopo aver ignorato per varie volte avvertimenti che avevano lo scopo di "metterci in salvo", evitandoci seri guai.

Certamente Gesù conosceva bene l'animo umano, con le sue forze e debolezze, i limiti che, adesso come allora, manifestiamo di fronte a un discorso che ci costringere a prendere posizione in tempi onesti.

Quello di chiamarsi fuori, dichiarando in maniera decisa la propria estraneità può avere come conseguenza il considerare la parabola – e soprattutto l'insegnamento ad esso attribuito da Gesù – come un fatto che riguarda altri. In fondo nessuno trova facile riconoscersi nel ricco "gaudente", preoccupato unicamente – come appare nella prima lettura, la dura critica di Amos, – di godere, magari proprio in quei letti di avorio, bevendo "il vino in larghe coppe" e ungendosi "con gli unguenti più raffinati". Nessuno si sente direttamente o personalmente colpevole della fame di milioni di persone, delle malattie da cui sono decimati, della mancanza di acqua potabile per tanta parte dell'umanità. Riteniamo sia colpa di qualcun altro, o almeno del sistema, creato dalle grandi scelte che altri hanno assunto prima di noi. Anche di fronte alla Parola di Dio, chiara ed esigente nella sua durezza, si può assumere l'atteggiamento del disinteresse, rifiuto e indifferenza. In fondo non c'è da preoccuparsi: adesso abbiamo da divertirci e per favore non createci inutili patemi, sembra la risposta più frequente a chi vuole stimolarci a riflettere.

La Parola ci presenta due persone: uno è Lazzaro, che nella vita non ha nulla di interessante, se non la costanza di restare davanti alla porta di una persona avara e gaudente, terribilmente egoista e chiusa nei suoi averi. Gesù lo descrive in tutta la sua tragica figura: coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco; persino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Era normale che davanti alla porta dei personaggi ricchi ci fossero dei poveri che contendevano ai cani la mollica del pane con cui i ricchi si pulivano le mani, unte dal cibo abbondantemente condito. Il povero Lazzaro sembra solo e abbandonato da tutti; per di più muore. Dio – che non ha mai smesso di amarlo e vegliare su di lui – lo accoglie nel suo Regno – qui reso ancora più familiarmente come "seno di Abramo", potremmo dire: nel suo abbraccio. Anche il ricco gaudente muore; di lui si dice solo che "fu sepolto". La sua sorte appare chiara subito dopo: "Stando nell'inferno tra i tormenti" può comunicare con Lazzaro e con Dio. Ciò serve solo ad evidenziare la sua situazione infelice e non modificabile: non può passare dall'altra parte, ma neppure ricevere un gesto di sollievo: una goccia d'acqua per la sete che lo tortura.

La conclusione è severa: non è possibile risolvere la sorte del ricco gaudente, ma neppure quella dei suoi fratelli ancora in vita. Non c'è modo di avvisarli, mandando Lazzaro o qualcun altro ad avvertirli della triste situazione che aspetta chi non sa amare e si chiude nell'egoismo. Una strada c'è, ed è aperta a tutti; una strada comoda, normale, ma forse proprio per questo ignorata: la Parola di Dio che si annuncia ogni settimana – in sinagoga o in chiesa – e che insegna questi valori. Conoscendo il vero volto di Dio – pensiamo al salmo di questa domenica – si tratta di imitare il suo stile e fare come lui: prendesi cura degli altri per ricevere la loro protezione, amare per essere amati, diventare solidali per trovare solidarietà e sostegno nel momento in cui non ci sono differenze: la morte arriva per tutti, ricchi e poveri, gaudenti e sofferenti, chi poteva strafare e chi invece soffriva la fame ed era ammalato. Ammonimento severo, da prendere in considerazione con serietà.

Un suggerimento per la preghiera

O Dio, abbiamo scoperto che "tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco epulone". Ti chiediamo: "stabilisci con giustizia la sorte di tutti gli oppressi, poni fine all'orgia degli spensierati, e fa' che aderiamo in tempo alla tua Parola, per credere che il tuo Cristo è risorto dai morti e ci accoglierà nel tuo regno". Lo chiediamo con il nostro Signore, tuo Figlio e nostro Salvatore.

Libri di don Remigio Menegatti

 

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