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TESTO Commento su Luca 16,1-13 (forma breve: Luca 16,10-13)

mons. Ilvo Corniglia

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/09/2007)

Vangelo: Lc 16,1-13 (forma breve: Lc 16,10-13) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù diceva ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 3L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. 6Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 8Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Forma breve (Lc 16, 10-13):

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli: 10«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

La prima lettura riporta la denuncia durissima del profeta Amos (8, 4-7) contro i commercianti avidi e disonesti del suo tempo (8° secolo A.C). Unico loro interesse è la ricerca del profitto, sia pure "calpestando" i poveri. Nei giorni festivi, mentre sono presenti al culto (sono appunto "praticanti"!), meditano già come accrescere i propri guadagni nel giorno successivo, rialzando arbitrariamente i prezzi, contraffacendo peso, misura e qualità della merce. Manifestano la falsa concezione che quanto si compie nell'ambito religioso non ha rapporto con la condotta che si tiene nella vita quotidiana. Come dire che la fede è una cosa e la gestione degli affari è un'altra. Ma il giudizio di Dio sarà inesorabile: "Non dimenticherò mai le loro opere". Sarebbe da ingenui ritenere che la parola del profeta prende di mira una determinata categoria, mentre noi restiamo fuori bersaglio. In realtà, nessuno di noi può sfuggire alla forza provocatoria di questo appello.

In altri termini, i cristiani come devono vivere il rapporto con la ricchezza? Con la parabola odierna Gesù li invita a riflettere e a prendere la decisione più saggia. "Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza". Non viene approvata la truffa', consumata con geniale abilità da un uomo senza scrupoli. Gesù infatti qualifica come "disonesto" il protagonista della parabola. Sottolinea però il realismo, l'intelligenza, la scelta tempestiva con cui ha saputo cavarsi da una situazione irreparabile e senza scampo. Con una manovra spregiudicata si è assicurato la gratitudine dei debitori del suo padrone, i quali lo avrebbero accolto, una volta rimosso dal suo incarico. È questa scaltrezza che Gesù mette in evidenza e propone. Coloro che lo ascoltano si trovano in una situazione simile a quella dell'amministratore della parabola. Non sanno cosa rischiano. È in gioco la salvezza, il più grande dono per l'uomo, che ora il Signore sta offrendo attraverso Gesù. Incombe il giudizio di Dio. Gesù osserva amaramente che "i figli della luce" (=coloro che sono stati illuminati dalla luce del Vangelo) non hanno l'intraprendenza, il coraggio, la passione con cui "i figli di questo mondo" curano i propri interessi. Ma sono pigri, rassegnati, senza slancio, senza lo spirito di iniziativa dimostrato dall'amministratore della parabola ("So io che cosa fare"). Eppure il tempo stringe e urge prendere una decisione.

Gesù vuole scuotere da questo torpore e suggerisce cosa fare per ottenere la salvezza: "Procuratevi amici con l'iniqua ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne". I discepoli di Gesù devono pensare per tempo al loro futuro, non tanto a quello terreno, ma a quello che li attende dopo la morte. Come fare perché sia un futuro di felicità e non di disperazione? Quale, cioè, il segreto per essere accolti dopo la morte nelle "dimore eterne" (=la comunione eterna e beata con Dio)? Ecco la risposta: usare saggiamente la ricchezza di cui ora si dispone e che – non ci è dato di sapere quando – verrà a mancare irrimediabilmente. Ricchezza che Gesù considera iniqua, cioè ingiusta. In che senso? Spesso è frutto di ingiustizie, imbrogli, sfruttamenti. Per difenderla e accrescerla, spesso gli uomini sono tentati di ricorrere a molteplici ingiustizie. È ingiusta nella misura in cui non viene condivisa. Il discepolo agisce da persona abile e intelligente, quando si considera non padrone, ma amministratore di beni che non sono sua proprietà. È pure convinto che i poveri sono gli amici privilegiati di Dio. Aiutandoli, perciò, liberandoli dai loro debiti, condividendo i suoi beni con loro, si garantisce la benevolenza di Dio e un posto sicuro nella sua casa. Il discorso non vale soltanto a livello personale o familiare, ma si estende a un ambito sempre più vasto fino alla scandalosa sperequazione tra paesi ricchi e poveri.

"Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto...". In confronto al bene infinito che è il Regno di Dio, la ricchezza è "poco", ha in se stessa un valore molto scarso. Gesù la chiama anche "ricchezza altrui", perché non è proprietà di chi la possiede, ma gli è stata affidata da Dio in amministrazione. È fedele chi la gestisce secondo la volontà del Signore, cioè non trattenendola o sprecandola egoisticamente per sé, ma impiegandola in favore del prossimo, specialmente dei più poveri. In tal modo essa diventa un mezzo provvidenziale per raggiungere la salvezza. La ricchezza materiale rappresenta, così, una possibilità di fare del bene. Ma ciò vale di ogni altra ricchezza: qualità personali, professione, posizione sociale o politica, istruzione, salute, tempo...Sono quel "poco" che ci è stato affidato e che non è nostro perché dono di Dio. In questo "poco" ci è chiesta la fedeltà, cioè il non perdere occasione per fare del bene, affinché ci venga dato il "molto" da godere per l'eternità.

La ricchezza può essere un ottimo mezzo per fare il bene. Ma può divenire anche il nemico peggiore dell'uomo che la possiede, una trappola mortale. "Nessuno può servire a due padroni... Non potete servire a Dio e a mammona". Gesù mette in guardia contro il terribile potere di seduzione che esercita la ricchezza. Può essere un servo prezioso, ma, se diventa padrone dell'uomo, lo rende schiavo. Assorbe tutti i suoi interessi. Occupa tutto il suo cuore. È un idolo in cui l'uomo concentra tutti i suoi pensieri, fatiche, speranze, aspettandosi da essa la propria felicità. In tali condizioni non c'è più posto per Dio. Colui che è per l'uomo l'unico Signore e fonte della sua felicità, diventa un accessorio o anche di meno. L'uomo non ne ha più bisogno perché ha ormai ciò che ha preso il suo posto e al quale si affida interamente. "Mammona", la ricchezza, nelle lingue semitiche ha la stessa radice del verbo credere, che indica l'affidamento totale di se stessi a Dio. È come rinnegare la fede in Dio e credere nell'antidio, nel surrogato di Dio che è la ricchezza.

Gesù ti invita a fare una scelta senza compromessi e a ridecidere per Dio. Non Lui soprattutto, ma Lui soltanto. Il pericolo di aspettarsi salvezza da ciò che non è Dio e che posso trasformare in idolo (cioè il fine della mia vita a cui sacrifico disordinatamente tempo ed energie...) è reale per ciascuno. "Qualunque cosa tu preferisci a Dio diventa Dio per te" (s. Cipriano). Quante cose si possono preferire a Dio! Benessere, comodità, interessi materiali, carriera, studio, passatempi, internet, sport...

La seconda lettura (1Tm 2,1-8) riporta l'esortazione a coltivare e promuovere la preghiera comunitaria, caratterizzata da supplica e ringraziamento, in favore di tutti gli uomini. È spontaneo pensare alla preghiera liturgica-eucaristica, e in specie a quella che chiamiamo "preghiera universale" o "preghiera dei fedeli". Tale preghiera ha come destinatari privilegiati i responsabili della vita politica e sociale e come conseguente obiettivo la pace e la sicurezza. Preghiera che ha un presupposto solidissimo: "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati". Quanto sia seria tale volontà di Dio lo manifesta in modo concreto e indubitabile "l'uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti". L'Eucaristia ne è ogni volta la memoria attualizzante. Condizioni necessarie per l'efficacia di tale preghiera: "alzare al cielo mani pure" (=cuore puro, cioè interamente orientato a Dio, che si esprime in una condotta corrispondente); "senza ira e senza contese" (=impegno costante nel curare la relazione fraterna). È forte il richiamo a verificare e migliorare la qualità delle nostre celebrazioni e preghiere comunitarie, come pure della preghiera individuale.

Di chi è ora il mio cuore? Chi è il mio Dio? È la domanda che cercherò di farmi spesso e ogni volta dichiarerò al Signore che non desidero appartenere ad altri che a Lui. E, ancora, userò saggiamente quel bene, che nel momento ho a disposizione, a favore di qualcuno. Così mi preparerò in modo intelligente e saggio alla resa dei conti che mi aspetta.

 

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