TESTO Commento su Luca 7,1-10
mons. Vincenzo Paglia Diocesi di Terni
Lunedì della XXIV settimana del Tempo Ordinario (Anno I) (17/09/2007)
Vangelo: Lc 7,1-10
1Quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, Gesù entrò in Cafàrnao. 2Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. 3Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. 4Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, 5perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». 6Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; 7per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. 8Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». 9All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». 10E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.
Terminato il discorso delle beatitudini, Gesù entra a Cafarnao, come per far entrare la parola evangelica nella città degli uomini. A Cafarnao c'è un centurione romano. È un pagano che, pur essendo il rappresentante dell'oppressore, ha però un'attenzione particolare verso gli ebrei. Ha aiutato, ad esempio, a costruire la sinagoga. La preoccupazione per un suo servo, caduto in una grave malattia, lo spinge a rivolgersi a Gesù; prima manda dei notabili, poi si muove lui stesso. Due sentimenti emergono in questo centurione romano: l'amore che nutre per il suo servo (lo tratta come un figlio) e la fiducia che pone nel giovane profeta di Nazareth. Si tratta di una fiducia così forte da fargli pronunciare quelle parole che tutti i cristiani ancora oggi pronunciano durante la liturgia eucaristica: "O Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito". Questo centurione, pagano, diviene immagine del vero credente, di colui cioè che crede sia sufficiente anche solo una parola evangelica per salvare.