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TESTO Donaci, Padre, la gioia del perdono (316)

don Remigio Menegatti  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (16/09/2007)

Vangelo: Lc 15,1-32 (forma breve: Lc 15,1-10) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 15,1-32

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Forma breve (Lc 15, 1-10):

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Per comprendere la Parola di Dio alcune sottolineature

La prima lettura (Es 32, 7-11.13-14) mette in risalto la figura di Mosè che intercede per i suoi fratelli che, usciti dall'Egitto, "non hanno tardato ad allontanarsi dalla via" che Dio stesso aveva loro indicato. Il vitello d'oro è il segno più evidente di infedeltà. Il Signore è deciso a chiudere la relazione con questo popolo, mentre la guida che lui stesso ha scelto per liberare i discendenti di Abramo gli ricorda la sua fedeltà alla promessa di una "posterità numerosa come le stelle del cielo". L'intercessione di Mosè ottiene come effetto il desiderato perdono.

Il vangelo (Lc 15, 1-32) è la famosa pagina della misericordia: con tre parabole Gesù giustifica il suo comportamento davanti a quanti lo accusano di ricevere i peccatori e mangiare con loro. In ogni racconto viene sottolineata la gioia del perdono: il pastore che ritrova la pecora, la donna che scopre la moneta che aveva perso, e soprattutto il padre che può riabbracciare quel figlio che "era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". Una festa in cui Dio vuole coinvolgere anche quanti si sentono giusti e non gradiscono la sua misericordia, che ai loro occhi appare esagerata e inopportuna.

Salmo 39
Pietà di me, o Dio,
secondo la tua misericordia;
nella tua grande bontà
cancella il mio peccato.
Lavami da tutte le mie colpe,
mondami dal mio peccato.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non respingermi dalla tua presenza

e non privarmi del tuo santo spirito.

Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato, Dio,

tu non disprezzi.

Il salmo che lega tra loro le due letture sopra accennate e sottolinea il tema di questa domenica, è il famoso salmo 50, usato spesso nelle liturgie penitenziali.

È attributo a Davide, come risposta al discorso con cui il profeta Natan gli svela il suo peccato con Betsabea e l'uccisone di Uria l'Hittita (vedi 2 Sam 11, 1 – 12, 13).

La confessione di Davide – ripresa da ogni credente – riconosce, prima della gravità del proprio peccato, la grandezza della misericordia di Dio. Invoca poi un cuore nuovo e uno spirito rinnovato. L'uomo che chiede misericordia è ben consapevole della colpa che, come una macchia, infanga la sua vita, e la rende meno vera. Sa soprattutto che può confidare nella misericordia di Dio. Lui infatti non disprezza – non allontana, non respinge – "un cuore affranto e umiliato" non respinge l'uomo dalla sua presenza. Infatti lui è fedele alla sua Alleanza, e vuole vincere non tanto con il castigo, quanto invece con la misericordia. L'uomo in tal modo può guardare oltre il perdono, verso un impegno maggiore; per questo domanda "un cuore puro, uno spirito saldo", per rispondere con la fedeltà alla tenerezza di Dio. In tal modo il perdono è solo una tappa verso il traguardo della piena adesione al Dio dell'Alleanza.
Un commento per ragazzi

Ci siamo mai accorti quanto gesticoliamo con le nostre mani? Anche quando il gesticolare non serve a nulla, noi rafforziamo le nostre parole con il movimento delle nostre mani. Se al telefono indichiamo una strada ad un amico, rischiamo di voler mostrare con le mani che deve girare a destra e poi a sinistra. È l'abitudine, possiamo dire. È la vivacità della nostra cultura che ci porta a questo. Possiamo affermare che le mani "parlano", a volte anche indipendentemente dalle parole che escono dalla nostra bocca.

Se le mani parlano...fermiamoci ad ascoltare, sapendo che forse è richiesta un po' più di attenzione, ma può risultare interessante. Certo, ci vuole un bricciolo di fantasia, e una lettura attenta del brano, perché le mani che "ascoltiamo" sono quelle del figlio che si è allontanato dal padre. Un famoso quadro di Rembrandt evidenzia le mani del papà: una maschile e una femminile, per ricordare come in Dio ci siano insieme sentimenti paterni e materni.

Ma ora concentriamoci sulle mani del figlio: all'inizio troviamo mani nervose, di chi non sa stare tranquillo perché non è contento, è sempre agitato: il suo pensiero fisso è ai soldi che il padre possiede, e un giorno saranno suoi. Un giorno...appunto, ma lui li vuole subito. E finalmente le mani che si aprono – e poi si chiudono veloci e sicure, un po' tremanti per l'emozione – per ricevere, e conversare ben stretti i soldi attesi e pure richiesti al padre.

Di nuovo mani aperte, perché non è solo per se stesso che possiede quei soldi: li condivide. "Mani bucate" potremmo dire, se normalmente gli viene attribuito il titolo di "prodigo", il contrario di avaro.

"Mani bucate" perché in poco tempo rimangono vuote, depredate in un batter d'occhio da chi godeva della sua generosità poco saggia e ingenua sventatezza, preoccupato solo di avere tanta gente attorno. Di nuovo mani aperte, ma per chiedere, stese per invocare un po' di cibo, perché, pur lavorando – e quindi mani sporche, sudate, segnate dalla fatica – non riesce a sfamarsi: neppure le ghiande dei porci può avere!

Mani vuote e doloranti, guardate e riguardate, ripensando quando era a casa, dove lavorava come l'altro fratello, ma almeno poteva mangiare. Mani vuote, e alzate al cielo: prima in un gesto di resa – "non ce la faccio più; così non può andare avanti!" – e poi di invocazione: "cerco una via d'uscita!". Invocazione perché la situazione possa cambiare e il padre sia disposto ad accogliere le mani adatte al lavoro, mani non più del figlio, ma del servo, di chi si sarebbe sporcato le mani, ma almeno avrebbe mangiato.

Mani che si protendono a ricevere e ricambiare un abbraccio inatteso, eppure desiderato, certo non esplicitamente richiesto, ma sperato sì. Mani che si alzano nuovamente al cielo, questa volta per lodare Dio della misericordia ottenuta, e ben oltre ogni aspettativa umana. Mani lavate e profumate; mani impreziosite da un anello, che conta soprattutto per il suo valore: è lo stemma di famiglia, il segno che è sempre figlio e sarà nuovamente erede. Mani che prendono il cibo, segno della ritrovata piena comunione con il padre e desiderose di stringere le mani del fratello, che – fuori nel cortile – si chiudono nel gesto d'indicare, il dito puntato per accusare e prendere le distanze da chi per il padre "era morto ed è tornato in vita", e quindi degno di far festa. Mani aperte, come quelle di Mosè che invoca ancora misericordia per il suo popolo. Mani vere, come Gesù.

Possiamo immaginare le mani di Mosè che invoca Dio, ricordandogli la promessa di Alleanza con il popolo che si scelto, indipendentemente dalla bontà o fedeltà possibile. Un nuovo, e più stabile Mosè, è il Cristo: con le sue mani, abituate al lavoro di falegname, ha toccato malati e benedetto bambini, perdonato peccatori e spezzato il pane sia quello moltiplicato, come pure quello donato ai suoi, come anticipo della sua vita offerta, quando ha steso le sue mani sulla croce, non dopo averle bagnate per lavare i piedi dei suoi Dodici, che in quella sera – lo dice lui stesso – non si devono più considerare servi: sono amici. Come il figlio che non diventa servo del padre: rimane sempre figlio, nonostante le sue colpe. Se poi alla misericordia di Dio corrisponde anche la nostra...siamo veramente suoi figli e veri fratelli tra noi!

Un suggerimento per la preghiera

O Dio, anche questa volta ti mostri Padre: tu "che per la preghiera del tuo servo Mosè non abbandonasti il popolo ostinato nel rifiuto del tuo amore, concedi alla tua Chiesa per i meriti del tuo Figlio, che intercede sempre per noi, di far festa insieme agli angeli anche per un solo peccatore che si converte. Egli è Dio...

Libri di don Remigio Menegatti

 

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