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TESTO Commento su Luca 14,1.7-14

Omelie.org - autori vari  

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (02/09/2007)

Vangelo: Lc 14,1.7-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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Avvenne che 1un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

12Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

"Dio resiste ai superbi ma dà la grazia agli umili" (Ia Pt 5, 5).

* Specchiandoci nella Parola di Dio che ci è rivolta oggi, avvertiamo un netto contrasto con la mentalità corrente. Il Signore ci chiama sempre ad andare oltre i nostri egoismi e le strette vedute umane. Accogliamo i detti dell'antica Sapienza d'Israele, che calati nella vita quotidiana ci dispongono a far nostro 'l'invito' del Signore Gesù proclamato nell'Evangelo.

il messaggio della liturgia odierna è duplice: umiltà e amore disinteressato.

La parola 'umiltà' suona male agli orecchi di oggi, anzi, possiamo dire addirittura che è bandita dal linguaggio e dal comportamento dei più, in un mondo di prepotenze in cui si cerca in tutti i modi di primeggiare e di mettere in risalto più l'apparenza che la realtà. Quale responsabilità hanno i mass media in questo campo, e quali risultati producono! Basta che ci guardiamo attorno... E l'amore disinteressato? Quanto egoismo in noi e attorno a noi! Ma poiché il bene non fa rumore, sappiamo che c'è ancora chi segue Cristo umile e povero, nel silenzio e nel nascondimento. C'è chi spende la propria vita per accogliere e servire i più poveri donandosi senza riserve fino all'ultimo, proprio come ha fatto Gesù. Solo con il suo aiuto si può giungere a questo. Egli infatti ha detto: "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15, 5).

* La Ia Lettura è tratta dal capitolo III° del libro di Gesù figlio di Sirah detto anche Siracide, e nella traduzione latina della Volgata è chiamato Ecclesiastico. Scritto in ebraico all'inizio del secondo secolo avanti Cristo, sessant'anni dopo è stato tradotto in greco. Non fa parte del canone ebraico benché sia molto citato dalla letteratura rabbinica, è invece entrato come libro ispirato nel canone della chiesa cattolica. Il Libro del Siracide fa parte della letteratura sapienziale propria dei popoli dell'Oriente antico e quindi anche di Israele. Questi popoli, basandosi sull'esperienza ne trassero l'arte del ben vivere, della buona educazione, dell'adeguamento all'ordine cosmico per raggiungere la felicità. E' una sapienza ancora umana ma che risponde ai dettami della coscienza e che sta alla base della sapienza soprannaturale su cui s'innesterà la sapienza divina, il Figlio di Dio, Sapienza incarnata. La sapienza d'Israele è già illuminata dalla fede in Dio, infatti il libro inizia dicendo che "Ogni sapienza viene dal Signore". Le novità del Siracide, secondo gli esegeti, sono l'identificazione della Sapienza con la Legge di Mosè e la riflessione sulla storia d'Israele contenuta nei libri sacri.

* La Sapienza in Oriente era un'eredità tramandata oralmente da padre in figlio, da maestro a discepolo. L'autore del Siracide dopo 'averla fatta sua' la trasmette al discepolo chiamandolo 'figlio'. Si può vedere qui quella paternità spirituale capace attraverso la Parola di Dio di generare, di plasmare, di formare l'uomo che ascolta. Sta a noi oggi accogliere la Parola con cuore aperto di figli che ascoltano un Padre che ama e che ci chiede di vivere nell'umiltà, come sottolinea appunto questa prima lettura. Già i profeti avevano lanciato lo stesso messaggio. Così infatti dice Michea (6, 8): "Uomo, ti è stato insegnato ciò che buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio". Per attualizzare queste parole è indispensabile mettersi in atteggiamento di ascolto, come un discepolo che si comporta con modestia e umiltà. Questi due termini li troviamo in Sofonia (3, 12) per indicare a quale conversione il Signore chiama il suo popolo Israele, atteggiamento che attualizzerà pienamente Gesù (Mt 11, 28-30). La modestia favorisce l'amicizia. L'umiltà attira le benedizioni e la misericordia di Dio, perché l'umile riconosce i suoi limiti, la sua fragilità, la sua dipendenza da Dio nel quale unicamente ha posto la sua fiducia.

* Modestia e umiltà sono due qualità affini di cui si parla spesso nella Scrittura ed anche nello stesso Siracide (4, 7-8; 10, 14-15). Esse collocano l'uomo al posto giusto nella sua condizione creaturale, di dipendenza da Dio come Adamo ed Eva prima della caduta. E' l'opposto del (non serviam) "non vogliamo servire", che invece vuol porre l'uomo al posto di Dio, sradicandolo dalla sua vera sorgente. Sono virtù difficili da praticare, ma se si trovano incarnate in qualche persona, attirano l'ammirazione, perché si avverte in essa qualcosa che risponde alle esigenze profonde del cuore umano creato per battere in sintonia con Dio. Rivelano nella persona qualcosa a cui forse inconsciamente si anela ma non si riesce a raggiungere. Avrà sperimentato l'autore qualcosa del genere, avrà gustato la pace che ne deriva vivendole, se è spinto a trasmetterle con tanta forza al discepolo che chiama "figlio", a noi oggi, chiamati ad accogliere questa parola, a lasciarla penetrare nel nostro essere e nella nostra vita? Modestia ed umiltà ci faranno vivere in amicizia con gli uomini e in profonda unione con Dio, nel Cristo il vero "mite ed umile di cuore" in cui l'amore gratuito è giunto alla sommità.

* Ma ci viene proposto anche il rovescio della medaglia: il superbo, in cui la mala pianta ha affondato le sue radici, che neppure la sventura riesce a guarire: "Non spunti nessuna radice velenosa in mezzo a voi", dice la Lettera agli Ebrei (12, 16). La superbia allontana da Dio che resiste ai superbi e dà la grazia agli umili. Il Siracide ci mette di fronte a queste due prospettive: a noi la scelta.

* Il brano evangelico del capitolo 14 di Luca (1, 7-14) è inserita nel blocco unitario dei versetti 1-25, che sono denominati "Detti conviviali". Si riferiscono ad pranzo, in giorno di sabato, al quale Gesù partecipa in casa di uno dei capi dei farisei.
I vv. 1-25 possono essere divisi in 4 sezioni:

- 1^ sezione: vv. 1 - 6: il convito del sabato e la guarigione dell'idropico

- 2^ sezione: vv. 7 -11: la corsa ai primi posti e la parola di Gesù agli invitati

- 3^ sezione: vv. 12-14: la parola di Gesù al padrone di casa, la gratuità e la beatitudine dell'invito

- 4^ sezione: vv. 15-25: il rifiuto degli invitati alla grande cena, banchetto escatologico nel regno di Dio.

Alla nostra meditazione sono proposti il v. 1 e la seconda e la terza sezione.

* Il tema del pasto, del banchetto, ricorre in tutta la Bibbia, dalla Genesi (18,5ss. Abramo e i tre ospiti), all'Apocalisse (3, 20; 19, 9), ove si parla del banchetto escatologico nel Regno di Dio, di cui gli altri banchetti sono un pallido segno.

* Il sabato è giorno festivo per gli ebrei, ricorda le grandi opere di Dio, dalla creazione del mondo all'elezione e alla liberazione d'Israele dall'Egitto. E' il giorno benedetto da Dio, segno della sua alleanza con Israele suo popolo. Al pranzo di festa, dopo il rito liturgico in sinagoga è invitato Gesù, forse come ospite di onore esperto della legge, ritenuto un profeta dal popolo ed è osservato attentamente per il suo comportamento in occasioni analoghe. Aveva infatti accolto una donna di cattiva fama (7, 36-50), non aveva fatto le abluzioni legali (11, 38), per dirla in breve, stava suscitando seri interrogativi. Mentre è così osservato, è proprio Gesù stesso, l'unico nell'Evangelo di oggi a prendere la parola, con una parabola –dice il testo- che metterà in luce la nota stonata, la corsa, la scelta dei primi posti a tavola. Evidentemente questo costituiva sempre un problema: Chi è il più grande? Gesù si rivolge agli invitati con parole che riecheggiano la Scrittura e che i suoi ascoltatori dovevano conoscere bene. Si trattava di norme di comportamento nei conviti, ma Gesù si mette su un piano diverso: quello del Regno di Dio, ne abbiamo conferma ai vv. 11 e 14. "Non darti arie davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: - Sali quassù - piuttosto che essere umiliato davanti a uno superiore", così recita il libro dei Proverbi (25, 6). Per gli uditori di Gesù questa era una regola di prudenza per non essere svergognati, un comportamento di modestia, per collegarci alla Ia Lettura. Per Gesù è sottintesa quella brama di primeggiare, che è in netto contrasto con chi vuol entrare nel Regno di Dio. "Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli" (Mt 18,3), dirà Gesù accogliendo i bambini. E ancora: "Se uno vuol essere il primo sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti" (Mc 9, 35). Quello che Gesù propone è confermato dal suo comportamento e da tutta la sua esistenza. Era Dio e umiliò se stesso divenendo simile agli uomini. Nell'ultima cena si mette all'ultimo posto, abbassandosi fino a lavare i piedi agli apostoli. Per questo può chiedere agli altri di liberarsi dalla schiavitù dell'orgoglio. Da notare che a chi si mette al primo posto verrà dato un ordine. Chi si mette all'ultimo posto sarà chiamato 'amico'. L'umiltà è condizione indispensabile per entrare nel Regno di Dio.

* Gesù si rivolge anche a chi l'aveva invitato. E' indubbiamente piacevole sedere a mensa e conversare con amici e parenti e stare in buona compagnia con la sicura prospettiva di essere a sua volta invitati. Ancora una volta Gesù capovolge la logica umana e quello che chiede al padrone di casa lo chiede a tutti e non soltanto per un momento, ma come comportamento di vita. Sono da invitare i più poveri tra i poveri, coloro che non possono in nessun modo invitare e ricambiare, coloro con cui non è piacevole stare vicino. Storpi, zoppi e ciechi erano persone che non potevano neppure partecipare ai sacrifici del tempio, perché difettosi erano esclusi. Ma proprio per questi Gesù è venuto, per sanare e liberarci dalla preoccupazione del posto che ci spetta. Perché non abbiamo a trovarci in disagio nei confronti di Dio, Lui che è Dio si è fatto uno di noi. Ci ha amati di un amore assolutamente gratuito, perché anche il nostro amore sia un amore che non chiede e non aspetta ricompense. A questo ci penserà il Padre alla resurrezione dei giusti.

Commento a cura delle Benedettine di Citerna

 

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