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TESTO Sono pochi o molti quelli che si salvano?

padre Antonio Rungi

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XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (26/08/2007)

Vangelo: Lc 13,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

La Parola di Dio di questa XXI Domenica del tempo ordinario dell'anno liturgico ci pone di fronte all'interrogativo della quantità di coloro che si salveranno. La questione viene sollevata da un tale che interroga Gesù sull'argomento, mentre egli va verso Gerusalemme. La risposta del Signore la si legge testualmente nel brano del Vangelo che proclamiamo oggi e che ingloba una serie di riflessioni sia sul numero e sia sulla qualità o sull'operato di chi si salverà con la grazia di Dio. L'evangelista Luca, infatti, affronta questo argomento e lo pone in un contesto di missionarietà, di primo annuncio che Cristo fa mentre attraversa vari villaggi per giungere alla sua meta ultima che è Gerusalemme, la città della sua morte in croce e risurrezione, la città ove l'interrogativo della salvezza eterna trova la sua naturale risposta con la risurrezione e con gli atteggiamenti e comportamenti di quanti hanno partecipato con modi e responsabilità diversi al mistero del Dio Salvatore. Gesù è la chiave di lettura per poter capire chi può e chi di fatto si salva nella prospettiva di quel messaggio di salvezza universale che egli ha rivolto a tutti e dal quale nessuno è escluso. Tutti possono salvarsi nella misura in cui fanno propri gli insegnamenti del divino maestro, che ci dice chiaramente che la strada della salvezza è lunga e la porta è stretta, mentre breve è la strada e larga la porta che conduce alla dannazione. Noi credenti dobbiamo essere convinti che pur confidando sull'infinita misericordia di Dio, un luogo eterno di perdizione per sempre oltre che esserci, può anche essere "occupato" da più di qualcuno, come ci fa capire il testo del vangelo di oggi.

Lo stesso interrogativo si pongono oggi tanti che credono, ma anche coloro che non credono e sono atei, scettici o indifferenti circa la tematica della salvezza eterna. Una domanda che la parola di Dio pone ad ognuno di noi oggi nella celebrazione dell'eucaristia domenicale. Cosa fare allora per salvarsi? Bisogna sforzarsi di entrare nella vita eterna scegliendo la via stretta del vangelo e la radicale adesione a Cristo con la propria vita. Certamente gli operatori di iniquità sono quelli che il vangelo classifica oggi come soggetti a rischio di dannazione eterna. Bisogna comprendere il senso di questa espressione da parte del Signore e cosa voglia dire esattamente il termine nel contesto del brano evangelico. Gli operatori di iniquità sono tutti coloro che concepiscono, progettano ed eseguono senza alcun ripensamento il male verso Dio, verso gli uomini e verso se stessi. Sono i progettisti del male dal suo momento iniziale, come idea e possibilità, al suo momento terminale come esecuzione del progetto stesso del male attuato. In genere sono le persone che nella mente e nel cuore nutrono odio verso tutto e verso tutti e finquando non vedono realizzati i loro progetti di distruzione non si ritengono soddisfatti. Godono, in poche parole, del male fatto e delle cattiverie che hanno portato a termine. Il monito finale del vangelo di oggi ci riporta infatti alla responsabilità personale di fronte al dono della grazia ricevuto da Dio e che dovrebbe fruttificare per il nostro ed altrui bene spirituale. I primi che diventano ultimi e gli ultimi che diventano primi non è solo questione di posizione da occupare nel futuro regno di Dio, ma soprattutto nel nostro itinerario di salvezza. E di fatto, come al tempo di Gesù, così in ogni epoca, molti che sono venuti alla fede, che hanno conosciuto Cristo, hanno aderito per primo a Lui nel corso della loro esistenza hanno di fatto abbandonato la via di Dio per lasciarsi prendere da altri dei, vivendo praticamente come Dio non esistesse; mentre altri, ignari della fede cristiana sono venuti a questa conoscenza e ne hanno accettato tutte le implicanze spirituali e morali, vivendo secondo gli insegnamenti di Cristo e del suo vangelo, dando buona testimonianza di fede negli ambienti della loro quotidiana esistenza. Sono questi ultimi ad essere i primi nel coraggio della testimonianza della fede e dell'amore verso il Signore rischiando ogni cosa per il suo nome.

Questa prospettiva di salvezza estesa a tutti e che alcuni accettano di buon grado e la condividono in pieno è preannunciata dal profeta Isaia che nel brano odierno della prima lettura della Parola di Dio ci dice esattamente come vanno interpretati e letti gli avvenimenti della storia del popolo eletto e degli altri popoli, che comunque sono nel cuore di Dio

La questione della salvezza individuale e personale trova poi un metodologia attuativa in quel discorso che ci viene proposto dal brano della Lettera agli Ebrei e che riguarda la correzione che viene da Signore e che è manifestata in tanti avvenimenti della nostra vita, a partire dalla sofferenza e dal dolore. Qui viene illustrato tutto quello che è necessario porre in essere per rispondere positivamente alla correzione che ci viene da Dio, quando sappiamo benissimo che stiamo sbagliando su tante cose, che non riflettono l'insegnamento etico della nostra religione.

E' importante comprendere che solo chi ama davvero corregge se stesso e il fratello quando ha la coscienza del proprio errore. E per aver coscienza del proprio errore è necessario avere una coscienza, prima di tutto, e poi saper discernere il bene dal male e quindi le azioni buone da quelle cattive. Si tratta di svolgere un'azione educativa per la formazione di persone rette che oltre a confrontarsi con l'etica naturale avvertano la necessità, come credenti e battezzati di confrontarsi e conformarsi con la morale cristiana. Chi sbaglia e commette crimini di ogni genere non può essere appoggiato, incoraggiato o addirittura essere additato a modello per il comportamento altrui; al contrario deve essere severamente redarguito nelle sedi e con le modalità opportune da parte di chi su di lui ha responsabilità dirette o indirette o che ha una incidenza sulla sua vita e sulle sue decisioni. Non sempre tenersi in disparte e non intervenire nelle vicende delle persone a noi note come immorali è segno di rispetto o come oggi si dice giuridicamente di privacy. Il privato lo si può rispettare e salvaguardare meglio se di fronte al comportamento di ogni fratello che devia nel suo agire più che zittire ed accettare passivamente reagiamo con la forma dell'amore e dalla verità, purché siamo nelle condizioni spirituali e morali di poter fare nella coerenza personale tra il dire e il fare.

 

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