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TESTO Vegliate e state pronti

don Roberto Rossi  

XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (12/08/2007)

Vangelo: Lc 12,32-48 (forma breve: Lc 12,35-40) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,32-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.

33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

41Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.

47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

Forma breve (Lc 12,35-40):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Nelle varie situazioni in cui i discepoli si verranno a trovare Gesù è vicino e dice: Non temere, piccolo gregge". Queste parole sono un invito alla fiducia. Gesù conosce il mondo, i messaggi contrastanti, i pericoli, le persecuzioni di coloro che vivono nelle tenebre e non accolgono la luce. Gesù capisce la fatica che chiede ai suoi discepoli e prevede la paura. "Non temere, piccolo gregge", significa: "State tranquilli, fidatevi di Dio; non ci rimetterete lasciando tutto per amore di Dio, anzi riceverete il centuplo e la vita eterna".

Nella barca con Cristo ogni paura è un'offesa alla Sua presenza e alla Sua promessa. Infatti chi crede, sa che Dio può perdere delle battaglie perché è buono (non perché è debole), ma Dio non può perdere la guerra della storia.

L'ha detto Gesù stesso mentre si avviava alla croce: "Coraggio, io ho vinto il mondo!".

Occorre allora ottimismo e fiducia anche quando è dura la fedeltà, anche quando la fede è derisa, anche quando la Chiesa è perseguitata. Ottimismo e fiducia: vogliamo restare con Cristo e ci lasciamo guidare da Lui. Pensiamo al martirio di S. Stefano: un giovane circondato dall'odio di un tribunale prestigioso, non si lascia piegare. Egli sa quel che rischia. Egli vede i sassi già pronti per l'esecuzione. Eppure è deciso e resta fedele a Cristo. Per lui la vita conta solo se vissuta per Cristo e quindi non esita a perderla per ritrovarla in Cristo. Paolo assiste e certamente disprezza Stefano. Ma un giorno Paolo scriverà: "Da quando ho conosciuto Cristo tutto il resto è diventato spazzatura per me". La fede di Stefano ha preparato la conversione di Paolo.

Però davanti a una prospettiva così esigente viene da chiedersi: "Ma allora cosa diventa la nostra vita nella fede?" Cristo Risponde: "Al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno. Allora siate pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito quando arriva e bussa". E' la verità più bella del cristianesimo: la vita non è la festa, ma è l'attesa della festa. Questa verità redime e dà significato alla morte: il credente vede al di là e la fede gli fa vedere la vita che verrà. E' la verità che fa giustizia di tutte le situazioni: malati e sani, ricchi e poveri, intelligenti e sprovveduti... sappiamo che queste situazioni appartengono al tempo dell'attesa. La festa è altrove, è dopo: quaggiù sulla terra siamo tutti in cammino. E' la verità che ha aperto il cristianesimo all'amore di ogni uomo: l'infelice, il lebbroso, l'handicappato contano quanto i sani, anzi vengono chiamati beati, perché più degli altri possono capire la speranza e vivere l'attesa.

Oggi noi cristiani viviamo in un mondo di spensieratezza, di consumismo, di materialismo pratico. Il mondo moderno non pensa alla morte e all'eternità e di conseguenza la vita sulla terra si riduce a un tentativo folle di inventare un paradiso terrestre. Ma la situazione dell'uomo, la sofferenza, la malattia, la morte fanno capire che questo non avviene e costringono a cercare una risposta vera a questi interrogativi profondi e a credere all'eternità, altrimenti sarebbe "troppo vana la vita sulla terra".

Noi cristiani siamo chiamati a credere fortemente all'eternità, come pienezza di vita che Dio darà ai suoi figli, siamo chiamati a ricordare al mondo l'eternità, a svegliare gli uomini dalla dimenticanza della vita più vera che dura per sempre. Per questo il cristiano deve vivere in modo nuovo e diverso il legame con le cose: "Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli..." Per questo tutte le cose sono per il cristiano mezzi del cammino per giungere là, dove Dio ci darà tutto se stesso, dove noi saremo nella pienezza della nostra esistenza, dove non ci sarà più nessuna paura.

Dio ha acceso nei nostri cuori una grande luce con la speranza e la certezza della vita eterna. E il pensiero nella vita eterna ci aiuta a vivere nella bontà, nella fiducia, e secondo le parabole del cap. 25 di Matteo, ci aiuta a vivere attenti e vigilanti, a trafficare al massimo i nostri talenti, ad amare in concreto il prossimo. E il Signore dirà ai suoi discepoli, che hanno resistito alle tentazioni del mondo, che hanno creduto, sperato e amato, che hanno dato il giusto valore a tutte le cose terrene in vista della vita eterna: "Vieni servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore". E' la grazia più bella e più grande; è l'unica grazia di cui abbiamo bisogno. I santi, i martiri, le anime belle, come Benedetta Bianchi Porro, hanno creduto e vissuto così: "Non muoio, ma entro nella Vita" (Benedetta); "quando sarò giunto là, sarò veramente uomo" (Ignazio di Antiochia). Chiediamo che sia così anche per noi.

 

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