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TESTO Riconciliati appunto perchè peccatori

padre Gian Franco Scarpitta  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (16/09/2007)

Vangelo: Lc 15,1-32 (forma breve: Lc 15,1-10) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Forma breve (Lc 15, 1-10):

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

L'errore fondamentale del popolo di Israele alle pendici del monte Sion probabilmente è stato quello di non aver mai compreso chi fosse stato il suo vero liberatore dalla schiavitù dell'Egitto e di aver sempre confuso il Dio di Israele Salvatore con il suo ministro Mosè, attribuendo sempre a questi ogni merito per la sua liberazione dalla schiavitù d'Egitto. Anzi, è probabile che per gli Israeliti Dio sia sempre stato identificato con lo stesso Mosè. Prova ne sia il fatto che dopo aver aspettato invano il ritorno del patriarca dalla sommità del monte, gli Israeliti si rivolgono ad Aronne in questi termini: "Facci un Dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto.". Si vuole qui sostituire la figura di Mosè con quella di un altro Dio che li conduca al raggiungimento della meta agognata che sia di fattezza esteriore, tangibile e di immediata tattilità e questo verrà realizzato nella figura di un vitello dorato fuso con i metalli dei pendenti delle varie donne e con gli oggetti delle famiglie dell'accampamento: è inverosimile che si possa attribuire potere divino ad una figura di metallo fuso di cui si è appena vista la costruzione e che ci si prostri ad essa in atto di umile venerazione, ma per chi è sempre stato abituato a riporre la propria fiducia esclusivamente su un soggetto umano e comunque su un elemento prettamente esteriore divenuto oggetto di idolatria avvertendo la necessità di affidarsi a cose secondarie e tangibili, il paradossale diventa sempre ordinario, anche per ragioni di carattere psichico.

Ma il dato più grave che scatena l'ira del vero Dio è quello di aver attribuito a un idolo delle caratteristiche di salvezza che di fatto appartengono alla Trascendenza e alla Gloria del Dio di Israele che aveva del resto mostrato la sua potenza al popolo attraverso continui eventi prodigiosi. Soprattutto in tal senso il peccato del popolo è grave: aver sempre rinnegato il vero Dio confondendolo con il suo ministro (Mosè) e adesso con l'immagine aurea del vitello.

Qui tuttavia ci interessa osservare che in ogni caso, nonostante la gravità della colpa, l'amore di Dio supera enormemente l'ostinazione dell'uomo verso il male ragion per cui è sufficiente la sola intercessione di Mosè a placare l'ira divina per riottenere la salvezza degli Israeliti: in conseguenza della potente intercessione del patriarca, il popolo viene risparmiato dalla distruzione anche se non potrà fuggire ad una giusta punizione. Quanto più grave è la colpa commessa, tanto più grande è la misericordia riconciliante di Dio.

Come afferma Cipriani, Dio non riconcilia l'uomo con sé benché sia peccatore; lo perdona e lo riconcilia appunto perché è peccatore. Il peccato costituisce infatti l'occasione per cui cui Dio possa esternare senza riserve il proprio amore nei confronti dell'umanità e che l'uomo sia peccatore costituisce la prima finalità dell'amore di Dio. Quello divino è infatti l'amore che riconcilia e che perdona, cercando di recuperare quanto si è perduto e di ripristinare l'ordine del bene e del giusto.

Nei confronti del peccatore Dio si comporta come il pastore che (assurdo a dirsi) abbandona l'intero gregge fra i boschi per andare a recuperare una sola pecorella che si è smarrita perché prescindendo da ogni raziocinio sul suo eventuale rendimento agricolo e caseario gli preme che essa si salvi da eventuali pericoli e che perisca vittima di insidie e di lupi rapaci.

Come pure si comporta similmente alla donna che accendendo di giorno la lucerna cerca per tutta la casa la dramma perduta; considerando che una dramma valeva la paga di un solo giorno lavorativo, potremmo affermare che in fondo la perdita non è considerevole, e tuttavia in questo caso la sua ricerca diventa estremamente fondamentale così come fondamentale è per il Signore che un solo peccatore, anche considerato dagli uomini come il più insignificante, possa salvarsi poiché quello che maggiormente preme esplicitare da parte di Gesù è la volontà con cui Dio intende recuperare il peccatore.

E in effetti Paolo (II Lettura) testimonia a Timoteo di essere stato reso egli stesso oggetto dell'amore infinito e sconvolgente con cui Dio lo ha chiamato a nuova vita dopo quel famoso passato da persecutore della chiesa e tale misericordia divina gli incute adesso la gioia per il futuro.

E non solo: occorre che consideriamo che il ritrovamento della pecora e della dramma nonché il rientro a casa del figlio dissoluto è contestuale alla gioia e all'esultanza che caratterizzano il successo del ritrovo: Dio gioisce e invita tutti a rallegrarsi per un solo peccatore che ritorna alla comunione con il Padre non importa quale sia stato il suo trascorso peccaminoso e quale sia adesso la sua personale condizione e tale gioia è espressiva della festa e della letizia che deve comportare l'amore divino nei nostri riguardi sia quanto all'azione dello stesso Dio sia quanto alla ricezione da parte nostra del suo amore. La gioia è del resto un elemento da non trascurarsi nell'ambito della riconciliazione e anche da parte nostra non si può non giuoire considerando la dedizione e la persistenza con cui Dio ha voluto salvarci sulla croce e ancora adesso elargisce a piene mani il suo perdono: che Dio voglia riconciliarci a sé appunto perché peccatori non comporta che siamo legittimati a persistere nell'errore e a vivere nei meadri del peccato, ma è di sprone alla gioia nel poter confidare in un Dio che in Cristo ci accoglie valicando il nostro peccato, motivato dalla sua sola misericordia e soprattutto ci impegna nella condivisione della nostra letizia con il gaudio degli altri.

Nelle nostre comunità parrocchiali infatti non possiamo omettere di mostrarci gai e lieti quando si abbia cognizione di un nostro fratello che, pentito, si riavvicina al Signore dopo un intenso passato di privazioni spirituali e di lotte contro se stesso e fondamentalmente non dovremmo restare impassibili e indifferenti sapendo di molta gente che continua a perseverare nell'errore a proprio danno: è necessario incoraggirci vicendevolmente verso il bene e dare fiducia e coraggio a quanti hanno esperito l'amore di Dio nei loro riguardi e adesso tendono a ritornare a Lui risolutamente.

2. Se Dio è il Dio della gioia nel perdono e nell'amore di riscatto e di riconciliazione, anche noi non si può essere da meno.

 

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