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TESTO Commento su Luca 12,13-21

Omelie.org - autori vari  

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/08/2007)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Avanti il prossimo!

Non mi piace pensare il vangelo che ascoltiamo ogni domenica come un francobollo a tema (questa domenica: la ricchezza; domenica scorsa: la preghiera; due domeniche fa: l'ospitalità o la contemplazione; tre domeniche fa: la carità verso il prossimo, ecc...). Mi piace pensare a questo vangelo come sviluppo di un dialogo fra noi e Dio di domenica in domenica. Mi piace pensare a questo vangelo come sviluppo - da parte di Gesù - di un unico tema: la nostra vita, la nostra vita felice, beata.. e a tutto il vangelo come risposta a questa nostra unica esigenza. Mi piace pensare alla vita che scorre nel vangelo che abbiamo appena ascoltato come a una goccia di sangue di Cristo il cui DNA è sempre lo stesso e racchiude la nostra identità più profonda. Mi piace pensare a questo vangelo come sviluppo di un'unica, fondamentale, centrale richiesta.. quella di domenica scorsa: "Signore, insegnaci a pregare! ". Credo che questa richiesta sia la chiave di tutto il vangelo, la chiave che apre il suo forziere e ottiene il suo tesoro: Dio Padre. Credo che imparare a pregare il Padre significhi imparare a vivere come il suo unigenito Figlio. Significa imparare dalla vita di Gesù ad essere preghiera di intercessione per i fratelli e le sorelle. Ad essere per loro ospitalità e casa. Imparare a pregare significa imparare a "non avere"... solo "essere", in relazione col Padre, l'amen della sua vita divina in noi. Questa è la vita felice, la vita beata, la vita eterna. Conoscere il Padre. Pregare il Padre. Adorare il Padre. Compiere la volontà del Padre.

1° spunto e sviluppo
La richiesta

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, dì a mio fratello che divida con me l'eredità». [Vangelo]

È strana la modalità con cui viene fatta questa richiesta .. Somiglia tanto alla maniera in cui Marta, due domeniche fa', si era rivolta a Gesù perché si pronunciasse sul comportamento di sua sorella: «Dille dunque che mi aiuti!»

Pur fatta nel rispetto del ruolo e dell'autorità di Gesù, la richiesta sembra piuttosto un'ingiunzione! Una congiunzione importante con il vangelo di domenica scorsa è la necessità di relazionarci con la vita e con Dio nel modo giusto. Se nella preghiera non ci sono le giuste premesse, non si verificano le meravigliose promesse:

"Chiedete e vi sarà dato".. ci aveva detto Gesù. Oggi Egli ci ricorda che spesso il nostro modo di pregare assume i toni di pretesa piuttosto che di domanda. Noi sovente pretendiamo di dire a Dio ciò che deve fare. Pretendiamo che Dio faccia quello che noi vogliamo. Invece di chiedere che sia fatta la volontà di Dio noi tentiamo di imporre a Dio di fare la nostra volontà. ("chiedete e non ottenete perché chiedete male"...)

"Cercate e troverete".. ci aveva detto Gesù. Oggi Egli ci ricorda che quasi sempre noi cerchiamo cose materiali (la salute, il lavoro, la casa, i soldi, la donna o l'uomo dei nostri sogni, un figlio) piuttosto che cose spirituali (la conversione, la santità, la partecipazione alla passione di Cristo, la fede, la fedeltà, la vita eterna). Noi pensiamo, cerchiamo, le cose della terra piuttosto che le cose di lassù [cfr. II Lettura]. Noi cerchiamo, cioè desideriamo, "qualcosa", che riguarda sempre la nostra natura umana... invece di cercare "qualcuno" che sviluppi la nostra natura divina. ("quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono"...)

"Bussate e vi sarà aperto".. ci aveva detto Gesù. Oggi Egli ci ricorda che per essere felici bisogna "bussare" alla porta di Dio Padre. "Forzare" la porta della felicità programmandoci la vita e realizzando il nostro programma di paradiso artificiale è vanità delle vanità [cfr. I lettura]. Gesù ci ricorda che "bussare" alla porta della vita è molto diverso che "sfondare" nella vita attraverso la porta del benessere, del godimento, della ricchezza («Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni»). Una porta blindata divide dalla vera gioia chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio. La porta della felicità è aperta solo a chi è aperto per condividere con i fratelli ciò riceve da Dio. ("Padre nostro.. dacci...")

2° spunto e sviluppo
l'eredità

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, dì a mio fratello che divida con me l'eredità». [Vangelo]

La materia di questa richiesta è strana .. Normalmente, quando un padre muore, l'eredità viene divisa equamente tra i figli (a quell'epoca, per la precisione, l'eredità veniva divisa tra i figli maschi; le figlie femmine ricevevano solo una dote per sposarsi. Unica eccezione - che conferma la regola - la troviamo nel libro di Giobbe).

Una domanda siffatta suppone una situazione particolare. Forse il padre ha fatto testamento escludendo volutamente un figlio. Forse quel figlio beneficiario dell'intera eredità ha assistito il padre, lo ha accudito per tutta la vita mentre l'altro se n'era andato da molti anni, non si era fatto più vedere né sentire... Lavorando un po' di fantasia e sapendo che Gesù traeva spunto per le sue parabole dalle situazioni della vita reale, potremmo anche immaginare che magari questi due fratelli sono proprio quelli descritti nel famoso racconto del padre misericordioso (anche detto del figliol prodigo). Il padre aveva detto al figlio maggiore: "Figlio, tutto quello che è mio è tuo". Forse riuscì a convincerlo in questo modo a rientrare in casa, rassicurandolo e promettendogli l'intera eredità. D'altronde sarà stato un padre misericordioso ma anche giusto! Aveva già dato la sua parte al figlio minore quando questi andò via da casa. Forse ora, come si dice: "il lupo perde il pelo ma non il vizio"... Forse il figlio minore dopo la morte del ricchissimo padre voleva dal fratello maggiore un po' di soldi.

Gesù rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».

Gesù rifiuta di entrare in questioni di soldi. Come fece quando venne interpellato circa il tributo a Cesare, così ricorda a ciascuno di noi che il suo giudizio e la sua mediazione vengono dal Padre che è nei cieli. Il giudizio e la mediazione di Gesù sono volti a salvare l'anima non il portafogli. Non si può servire a Dio e a Mammona.

Oggi tendiamo a fare troppo spesso compromessi pericolosi quando si tratta di denaro. In nome del Dio uno e "quattrino" si compiono una quantità innumerevoli di reati fiscali, di truffe, di delitti di ogni tipo contro la salute delle persone, della natura, della dignità dell'essere umano.

Quante famiglie ho visto "dividersi" per questioni di "divisione" dell'eredità... Non l'avrei mai immaginato se non l'avessi visto con i miei occhi e udito con le mie orecchie! Fratelli e sorelle anche molto abbienti, che sembravano così uniti, così disinteressati rispetto a questioni economiche!

L'istruzione di Gesù è perentoria e rivolta ad entrambi i fratelli: "E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni»". Non è una delicata esortazione. È un secco ammonimento per tutti (e dello stesso tono è la II lettura). C'è un vero pericolo che si annida nella ricchezza (cfr. il ricco epulone e il giovane ricco). Non si tratta del benessere in sé ma del modo di concepire la vita come autosufficiente e come autoesclusione dalla realtà invisibile della vita soprannaturale.

La ricchezza inoltre – ed è la cosa più pericolosa – produce una sorta di oblio della coscienza: "l'uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono". Diventa come una specie di AIDS per l'anima.

La ricchezza è simbolo e sinonimo di piacere carnale, di soddisfazione di bisogni materiali. Gesù sembra dirci che si può davvero essere esclusi dall'eredità del Padre. È successo ad Esaù quando vendette al fratello la benedizione che gli spettava come primogenito per il piacere di un piatto di lenticchie. Uno slogan pubblicitario dice così: "fai l'amore con il sapore"! Quante licenze e quanti atti illeciti nell'ambito del piacere soprattutto sessuale, quante eredità celesti perse per un po' di piacere terreno.

Gesù non vuole "dividere" ma addirittura "condividere" con ciascuno di noi tutta la sua eredità di Figlio Unigenito del Padre. Saremo così stolti da rinunciare a una fortuna così grande per qualche spicciolo? Adoreremo ancora il vitello d'oro, o quello di bronzo posizionato davanti alla borsa di New York, scambiando la nostra gloria (cfr. II lettura) per quella di un'animale che si nutre di fieno?

Commento a cura di don Giampaolo Perugini

 

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