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TESTO Che ci guadagno dal mio affanno?

don Marco Pratesi  

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/08/2007)

Brano biblico: Qo 1,2; 2,21-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Qoelet ci dipinge la condizione umana in due affermazioni: 1. essa è un continuo affanno, un'ansia permanente 2. che non ottiene alcun risultato proporzionato. Che cosa viene all'uomo da tutta la sua attività? Nemmeno di notte egli è tranquillo: ma per cosa si affanna tanto?

Nel brano di oggi si porta l'esempio del lavoro (ma nel libro ce ne sono altri): si lavora, magari bene, si ha successo, si guadagna, e poi? Che cosa si ottiene infine? Quello che abbiamo faticosamente ottenuto di chi sarà? La nostra vita dipende dai beni guadagnati? (Vangelo).

Qoelet paragona la condizione umana a un rincorrere il vento, attività evidentemente tanto inutile quanto faticosa (2,11). Questo intende dire quando afferma, ed è il celebre motto iniziale del suo libro, che anche la liturgia ha posto all'inizio della lettura quasi come un titolo, che tutto è vanità.

L'affermazione non significa affatto che niente è importante, che la vita sarebbe da vivere con distacco, come cosa di poco valore. Questo è assurdo, dal momento che essa è l'unica cosa che abbiamo, tanto più nella prospettiva di Qoelet, che non prevede una vita ultraterrena. No, la vita è importantissima! Però non sembra approdare da nessuna parte, o almeno non riusciamo a cogliere un significato che ne spieghi quelle molte incongruenze che Qoelet è bravissimo a scovare. "Vanità" significa qualcosa di inafferrabile, che non si riesce a padroneggiare, come il vento appunto, che è perfettamente inutile rincorrere.

Qoelet distrugge così le nostre care soluzioni a buon mercato, che ci permettono di vivere come se tutto tornasse perfettamente. Soluzioni umane, da "persone normali"; ma anche soluzioni che ci vengono dalla fede cristiana, troppo rapidamente sciorinate senza un'adeguata assimilazione, che comporta sempre una fatica, una conquista. In tal modo, le grandi risposte cristiane da un lato funzionano come dei tranquillanti, servendo a calmare una certa ansia; dall'altro rimangono concretamente ininfluenti perché, non essendo frutto di cammino personale, non orientano l'esistenza concreta.

No, la fede non è un prontuario di ricette preconfezionate. Lasciamoci mettere in crisi dal Qoelet: Insomma, che cosa ci viene dal nostro affanno? Soltanto così potremo metterci in ascolto autentico del Signore, nell'attesa ardente di una sua parola: "Fa' che ascoltiamo, Signore, la tua voce" (salmo responsoriale).

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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