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TESTO Non è mai troppo tardi...

don Elio Dotto  

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (22/09/2002)

Vangelo: Mt 20,1-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

La svogliatezza è una malattia oggi estremamente diffusa. Accade sempre più spesso di incontrare persone che hanno perso la voglia di vivere: magari stanno bene, hanno una situazione economica favorevole, sono circondati dall'affetto di famigliari e amici; e tuttavia sono svogliati, stanchi, senza prospettive. Per loro sono finiti gli entusiasmi e le avventure di un tempo, soprattutto di quel tempo unico che fu la giovinezza: essi si ritrovano quasi come irrigiditi dalle scelte già fatte, dall'immagine di sé ormai definita agli occhi propri e degli altri. Sono disillusi, disincantati, al punto di non provare più alcun gusto per le cose che fanno.

Assomigliano in tal modo a quegli operai della parabola che alle cinque del pomeriggio se ne stanno ancora là oziosi sulla pubblica piazza. Pure essi sono disillusi, disincantati: nessuno li ha presi a giornata, e loro rimangono là svogliati, persuasi che la giornata sia ormai persa, che non ci sia più nulla da fare. Ma, ad un certo punto, arriva la promettente chiamata: «Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò» (Mt 20,4).

Così racconta la parabola che leggiamo nel Vangelo di domenica (Mt 20,1-16). Essa riflette appunto quella sottile svogliatezza che, presto o tardi, colpisce il cuore di ogni uomo e di ogni donna. Ma soprattutto la parabola ribadisce quella promettente chiamata che sta alla base del Vangelo di Gesù; e cioè ribadisce quella promessa di speranza che è più forte di ogni svogliatezza umana: «Andate anche voi nella mia vigna», perché anche per voi, che vi sentite ultimi ed inutili, anche per voi è la ricompensa, anche per voi è il Regno di Dio. «Andate anche voi nella mia vigna».

Questa promessa può sembrare tanto bella quanto impossibile. Perché davvero insuperabile appare, a volte, quella sottile svogliatezza che avvolge i nostri giorni. Ogni tentativo sembra inutile e avvilente, al punto che perdiamo anche la voglia di provare: tutto diventa monotono e grigio. In fondo, ci sentiamo come prigionieri della nostra stessa vita, incapaci di qualsiasi novità ed impresa, e dunque chiusi ad ogni promessa di futuro.

Era pressappoco questa la situazione dell'apostolo Matteo, la cui festa cade proprio in questi giorni (21 settembre): prima di incontrare Gesù, egli se ne stava ogni giorno «seduto al banco delle imposte», come leggiamo nel Vangelo (Mt 9,9). Matteo appunto se ne stava là, ogni giorno, bloccato da quel lavoro redditizio ma ambiguo; se ne stava là, seduto, avvolto dalla svogliatezza, senza altre prospettive, senza altre attese. Eppure Matteo aveva nel cuore un'attesa profonda: perché non gli bastava quella misera vita di esattore delle tasse; e certo non voleva finire i suoi giorni così. Matteo aveva nel cuore un'attesa profonda: e tuttavia nessuna promessa sembrava dare risposta a quell'attesa. Fino al giorno in cui passò Gesù, il profeta di Nazareth, che lo colpì con la sua promettente chiamata: quel giorno Matteo si alzò dal banco delle imposte e lo seguì.

Quel giorno accadde dunque per Matteo la promettente chiamata della parabola che abbiamo ascoltato; perché quel giorno egli trovò nella chiamata di Gesù quella promessa di futuro che invano aveva cercato altrove: proprio come avviene nella parabola per gli operai dell'ultima ora. «Andate anche voi nella mia vigna»: di questa chiamata avevano bisogno gli operai per mettersi al lavoro; e di questa stessa chiamata aveva bisogno Matteo, per vincere la sua svogliatezza e così ritrovare la speranza.

Appunto di questa promettente chiamata abbiamo bisogno anche noi, oppressi come siamo dal peso del tempo passato inutilmente e dalla persuasione che non si possa più cambiare molto nella nostra vita. Certo, a volte l'ora è davvero tarda, la sera si avvicina, e c'è realmente poco da fare. E tuttavia la promettente chiamata del Vangelo di Gesù può ridarci speranza, rimettendo in moto il nostro futuro. Perché non è mai troppo tardi per il Signore: e sempre il suo Vangelo potrà rinnovare i nostri giorni...

 

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