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TESTO Contemplativa aliis tradere

padre Gian Franco Scarpitta  

XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (22/07/2007)

Vangelo: Lc 10,38-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 10,38-42

In quel tempo, 38mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Come riflettevamo la scorsa domenica, il farci prossimo degli altri ci aiuta a riconoscere nell'altro universalmente inteso il nostro prossimo: avvicinarci senza riserve a quanti sappiamo trovarsi in estrema difficoltà; aiutare chi incontriamo sulla nostra strada con i mezzi che abbiamo a disposizione e soprattutto con la nostra disponibilità di cuore; non nutrire riserve discriminatorie nei confronti di nessuno quanto alla razza, alla cultura e alla religione quando si tratti di riconoscere nell'altro un fratello bisognoso ci aiuta a riscoprire il nostro prossimo come colui che abbiamo immediatamente vicino e che è oggetto dell'amore che Dio riversa a lui nostro tramite.

Aiutare il prossimo in difficoltà vuol dire aiutare lo stesso Signore. Questo lo insegna dettagliatamente Gesù quando afferma che qualunque atto di amore si rivolga a un fratello bisognoso, questo viene fatto a Dio stesso (Mt 25, 40), e anche l'autore della Lettera agli Ebrei esorta all'accoglienza e all'ospitalità, poiché "molti nel praticarla, senza saperlo hanno accolto degli angeli"(Eb 13,2). Si riferisce senza dubbio all'episodio di cui alla prima lettura di oggi, cioè al capitolo 18 del libro della Genesi in cui troviamo un uomo di Dio, Abramo, che alle quercia di Mamre accoglie e rifocilla senza troppe esitazioni e senza nutrire sospetti o pregiudizi tre sconosciuti forestieri che giungono alla sua casa inaspettati e che poi si rivelano essere il Signore e i suoi angeli. Analogo episodio lo si legge a Zarepta, dove una donna vedova, sola con un figlioletto, nonostante le sue precarie condizioni economiche accoglie Elia, inizialmente senza riconoscere in lui l'inviato del Signore seguendo i suggerimenti di questo sconosciuto uomo che farà in modo che l'olio e la farina nella sua giara non manchino mai (1 Re 17, 8 – 24); come pure emblematico è il caso dell'accoglienza di Eliseo a casa della Sunamita (2 Re 4, 8 – 37). In tutti questi casi, sia pure in modo differente, il prossimo viene identificato con il Signore che viene accolto con fede e generosità e non mancano le ricompense proporzionate ai propri atti ora nella promessa di prole ora in fenomeni di resurrezione da morte prematura.

L'accoglienza e l'ospitalità immotivata e disinteressata sono una componente della carità e dell'amore di cui Dio ci rende latori agli altri e non possono non essere esercitati con spirito di attenzione perché scaturenti dalla nostra fede e dalla fiducia disinvolta in Dio poiché nel prossimo ci fanno rilevare la concretezza e la spontaneità del nostro servizio verso il Signore. Servire il prossimo equivale a servire Dio e l'amore verso gli altri è costitutivo immediato dell'amore verso Dio, per cui la carità attiva ed effettiva è un costitutivo irrinunciabile della nostra vita di fede.

Fatto salvo quanto abbiamo appena affermato, occorre tuttavia che prestiamo l'attenzione ad un ulteriore insegnamento che ci proviene dal Signore, questa volta nel brano evangelico odierno e che non di rado da parte nostra tendiamo a trascurare o a sottovalutarne l'importanza, anche nella vita della Chiesa. L'episodio di Marta e di Maria attesta infatti che il servizio attivo e disinvolto che da parte nostra si deve al Signore è indiscutibilmente necessario e irrinunciabile, come pure è lodevole lo sforzo di chi lo compie tutti i giorni attraverso concrete opere di bene e opportune iniziative di assistenza caritativa, o semplicemente attivandosi per aiutare il prossimo in tutti i modi. Il bene che viene svolto è sempre un prestito che facciamo a Dio e che ci verrà restituito. Tuttavia quello attivo non è il solo servizio che il Signore chiede da noi. Si impone infatti che prestiamo anche il servizio attento dell'ascolto della sua Parola nelle varie componenti della meditazione, del raccoglimento, della riflessione e della preghiera, non omettendo di preferire in ogni caso l'intimità con lui e trovando anche il tempo perché questa si realizzi con la dovuta regolarità, anche tralasciando per alcuni periodi lo stesso ministero pastorale o caritativo; sarebbe infatti molto utile se in tutte le Diocesi o in tutti gli Istituti Religiosi si prevedessero per i sacerdoti spazi più prolungati di quelli già in atto da finalizzare esclusivamente allo studio, alla preghiera e alla formazione personale, anche sospendendo per alcuni mesi il servizio ministeriale come pure sarebbe molto conveniente che nelle nostre famiglie ci si concedesse un periodo di sana evasione in tal senso.

Contrariamente a quanto possa sembrare, infatti, la vita contemplativa è anch'essa un servizio a Dio e al prossimo da esercitarsi con la medesima intensità e con lo stesso interesse, in quanto ascoltare il Signore nel silenzio, nella sosta e nella solitudine abbandonando per un determinato periodo di tempo le nostre attività corrisponde ad entrare in comunione diretta con Colui che ci affida lo stesso servizio della carità e vuole così qualificare l'intensità e la qualità del nostro agire, ragion per cui il soffermarsi in preghiera e ascoltare la Parola di Dio ci si richiede nella stessa misura del servizio materiale agli altri.

Anzi, la comunione intima con il Signore è ritenuta da Questi la "parte migliore" poiché è la dimensione edificante che riempie il nostro essere di Dio per predisporci a che questo Dio lo possiamo dare portare agli altri; che qualifica e fonda ogni attività del nostro ministero e che è alla base della nostra affabilità con le persone che noi serviamo. D'altro canto Paolo nella lettera ai Corinzi (cap. 13) è molto tassativo quando afferma che essere uomini di carità non necessariamente corrisponde a donare le nostre sostanze e perfino il nostro corpo: si può infatti donare anche con secondaria finalità di esibizionismo o di autoesaltazione, presunzione e tendenza a mostrare presunte qualità che non si possiedono, ma questo non può essere certo gradito al Signore che invece "ama chi dona con gioia".

E' mia esperienza personale che presso i seminari e in generale nell'intera contestualità della vita ecclesiale si guardi con un certo sarcasmo e note di derisione a quanti pere vocazione vivono in esclusiva contemplazione ritirata come le claustrali, i monaci e i solitari ma vi posso assicurare, almeno considerando le strutture monastiche del Secondo Ordine dei Minimi (che appunto è formato da monache di clausura), che raramente si riscontra tanto fervore di gioia, accoglienza e generosità come nelle comunità monacali, i cui membri si mostrano sempre allegri, gioiosi e contenti di esternare generosità concreta a quanti le avvicinano. E raramente nella chiesa si nota un retto equilibrio fra vita attiva e vita contemplativa sempre utile e producente, quale si vive nelle comunità claustrali, mentre le comunità religiose di assoluta contemplazione risultano appetibili laddove vengono a mancare. Parimenti è stata anche mia esperienza personale notare come in situazioni di necessità materiale e spirituale o per riversare una semplice confidenza la gente faccia ricorso al sacerdote religioso o comunque al prete particolarmente dedito all'orazione che acquista in definitiva molta più stima e fiducia rispetto al parroco esclusivamente "amicone" e "compagnone" la cui simpatia non sempre è destinata a durare.

Occorre che tale equilibrio fra azione e contemplazione venga svolto da chiunque nella chiesa, indipendentemente dal ruolo che si svolge e dalle attività che ci sembrano più congeniali considerando che nessun servizio di carità operosa è mai completo se non viene svolto nel nome e con l'energia che ci proviene dal Signore, quindi non omettendo la preghiera e la contemplazione.

Perché appunto queste prerogative ci ragguagliano che nel prossimo da servire vi è il Signore da lodare.

 

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