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TESTO Come sentinelle

don Elio Dotto  

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (08/09/2002)

Vangelo: Mt 18,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

«Figlio dell'uomo, io ti ho costituito sentinella per gli Israeliti; ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia» (Ez 33,7).

La raccomandazione che il Signore rivolge al profeta Ezechiele nella prima lettura di domenica (Ez 33,7-9) potrebbe sembrarci in qualche modo scontata. In realtà essa non era per nulla ovvia al tempo di Ezechiele: perché era difficile in quei giorni riferire agli Israeliti la parola di Dio. Il profeta infatti avrebbe preferito consolare il suo popolo, piuttosto che ammonirlo secondo il comando del Signore.

La condizione degli Israeliti era certo particolarmente difficile. Si trovavano in esilio a Babilonia, ridotti di numero e privati della libertà. C'era dunque molta tristezza nel loro cuore: ma soprattutto c'era rassegnazione. Il ricordo della terra perduta aveva in fretta assunto la forma della nostalgia impossibile: e di conseguenza gli Israeliti si erano a poco a poco rassegnati all'idea di vivere per sempre in esilio. Così anche la loro fede vacillava: perché era più comodo adeguarsi alle usanze dei babilonesi piuttosto che perseverare nelle tradizioni dei padri.

Era dunque difficile per il profeta ammonire il popolo in queste condizioni: sarebbe stato invece più facile lusingarlo con parole di consolazione. E infatti la gente accorreva da Ezechiele quando il suo discorso appariva piacevole e conciliante: «in folla vengono da te, si mettono a sedere davanti a te e ascoltano le tue parole... Ecco tu sei per loro come una canzone d'amore» (Ez 33,31-32). In tal modo però, nonostante le parole del profeta avessero ascolto, l'ammonizione del Signore veniva ignorata: «essi ascoltano le tue parole, ma non le mettono in pratica» (Ez 33,32).

Appunto così accade ancora oggi, nei quotidiani rapporti tra le persone: è più facile lusingare che ammonire. Lo sanno bene i genitori, che spesso si ritrovano ad essere "complici" dei loro figli, compagni di gioco più che educatori. Ma è certo la nostra società tutta a preferire le parole della lusinga a quelle dell'ammonizione reciproca: magari in nome del rispetto che deve essere accordato alla privacy di ciascuno.

Eppure appare sospetta – o perlomeno eccessiva – questa riduzione del rispetto a lusinga: perché siamo comunque legati gli uni agli altri da una corresponsabilità che non può mai essere completamente elusa. Così almeno sembra confermare anche il discorso di Gesù che leggiamo nel Vangelo di domenica (Mt 18,15-20): «se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo» (Mt 18,15).

Certo, a prima vista sorprendono queste parole del Maestro. Non ha detto Gesù stesso di non giudicare per non essere giudicati? Come può allora qui invitarci a correggere il fratello che sbaglia? La contraddizione è però soltanto apparente. Gesù infatti non chiede di giudicare il fratello che sbaglia: ma dice «va' e ammoniscilo fra te e lui solo». E cioè chiede di compromettersi con il fratello, di cercare con lui la verità perduta, di esplorare con lui le vie che rendono davvero liberi. Gesù raccomanda di essere vicini al fratello che sbaglia, di stargli accanto, e di non abbandonarlo neppure domani, con lealtà e premura.

Esattamente questa vicinanza ci spaventa e ci preoccupa: perché ci obbligherebbe a rendere ragione delle cose che noi stessi facciamo; e ci costringerebbe dunque ad avere un senso – una fede – per cui spendere la nostra vita. Appare invece più facile vivere senza troppi problemi, e dunque anche senza preoccuparci troppo delle persone che ci stanno accanto.

Certo, così tutto sarebbe più facile. Ma tutto sarebbe anche più grigio: resterebbero soltanto quell'estraneità e quella convenzionalità dei rapporti che a lungo andare stanca ed annoia. E invece abbiamo bisogno di una solidarietà reciproca vera, che ci aiuti nella fatica del vivere. Abbiamo bisogno di cercare insieme un senso – una fede – che dia consistenza ai nostri giorni, e ci faccia uscire da quell'indifferenza quotidiana che soffoca ed opprime le nostre giornate.

In ultimo, abbiamo bisogno di essere svegli ed attenti come le sentinelle, sempre pronti a vegliare sulla vita nostra e degli altri, nella certezza che al termine della notte – di qualsiasi notte – ogni umana attesa potrà avere il suo compimento.

 

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