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TESTO Commento su Luca 9,11-17

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Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (10/06/2007)

Vangelo: Lc 9,11-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,11-17

11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Il deserto non è la mancanza di cose, ma l'incapacità di vedere oltre. Con la solennità del Ss. Corpo e Sangue del Signore (Corpus Domini) si arriva all'apice delle feste che hanno prolungato, con tre tonalità diverse, il tempo di Pasqua. L'evangelista Luca pone la scena nel deserto. Ma sapendo che il Vangelo non si limita a raccontarci la cronaca ma porta sempre in sé un messaggio, il deserto in questione ben presto si svelerà come l'aridità e la cecità dei discepoli al seguito di Gesù.

È una gente affamata di senso quella che ricerca Gesù, lo segue, si informa sui suoi spostamenti. Gesù avverte questa richiesta che proviene dal popolo e lo accoglie in cuor suo. La prima fame e sete dell'uomo è di non essere solo, di aver qualcuno con cui condividere, parlare, ridere e piangere. Proprio perché, come dice la Genesi, l'uomo è creato per la relazione ed è bene che non stia solo. Gesù non chiede il perché della sequela della folla verso di lui; non chiede spiegazioni e non cerca motivazioni. Egli annuncia loro il Regno del Padre e guarisce chi è malato. Sarà il condividere e lo stare con loro che farà emergere tutto ciò. Da questo atteggiamento – tutt'altro che secondario –viene da pensare all'approccio con chi si avvicina alla fede cristiana, a chi ritorna dopo anni in parrocchia, a chi se ne è andato da essa sbattendo la porta e ora è proprio il sacramento del figlio a riavvicinarlo.

È umanamente e spiritualmente attrezzato il sacerdote di oggi ad accogliere e a guarire come il suo Maestro? È una domanda che riflette lo scontento che a volte una persona si trova a dover gustare nell'incontro con chi è chiamato, per vocazione, a "dar loro da mangiare". Non si può congedare con poche battute o con risposte dottrinali e cattedratiche chi cerca di ripartire, di ritrovare un senso (grazie alla fede) alla propria vita. Ma è bene essere chiari: tutto ciò, da parte del sacerdote, richiede tempo, capacità alta di ascolto, condivisione di dolori e gioie assieme a chi le racconta. I discepoli indicano a Gesù una soluzione di comodo e di non coinvolgimento: "Congeda la folla perché vada". I primi ad aver bisogno dell'accoglienza e della guarigione di Gesù sono proprio i suoi discepoli. La vicinanza al Maestro non è garanzia di condivisione perché questa è un'altra cosa.

La condivisione è il darsi con amore e gratuità senza fare calcoli. "Dategli voi stessi da mangiare": è lapidario e deciso Gesù, quasi come una forbice che recide una radice malata affinché non si ammali tutta la pianta. Non è un caso che San Giovanni della Croce arriva a dire che si sarà giudicati sull'amore. L'amore dato è cibo che nutre. Quando esso è troppo pensato e ragionato lascia a digiuno. Ed infatti i discepoli cadono nella morsa del calcolo "non abbiamo che cinque pani e due pesci"; è la mentalità che pensa al singolare. Gesù comprende che i primi ad essere a digiuno sono proprio i suoi discepoli ed è per questo che li invia alle folle dicendo loro di dividersi in gruppi. La fame di un singolo è ampliata quando viene lasciato solo. In quel "a gruppi di cinquanta" c'è la chiave del digiuno interiore. È necessario sedersi perché la mensa che il Signore sta preparando porta il nome di Eucaristia.

In questo periodo in cui si celebra in molte parrocchie il sacramento dell'Eucaristia, donata per la prima volta ai bambini, si valorizzi in tutte le sue forme e parti questa preziosa occasione data alla comunità, al bambino, alla famiglia. Non è rito magico e tanto meno un concentrato di emozioni sentimentaliste quello che si compie nel bambino che riceve per la prima volta il Corpo e Sangue di Gesù. Si aiuti in modo particolare la famiglia e la comunità tutta a vivere questa tappa della vita cristiana con grande fede e con profonda preghiera. C'è il rischio di uscire di chiesa e avere ancora fame perché non si è cercato il pane dell'intimità, della preghiera con Dio e del nutrimento della Parola, ma la "bella cerimonia" ha prevalso su tutto. Rimane pur vero e valido che l'espressione dei sentimenti vuole il suo spazio e visibilità, senza ridurre il tutto a quel giorno dimenticando che il giorno dopo si avrà ancora fare. "Ne portarono via dodici ceste".

Commento a cura di don Giacomo Ruggeri

 

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