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TESTO Alla fine di un anno scolastico...

don Elio Dotto  

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/06/2002)

Vangelo: Mt 9,36-10,8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù, 36vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! 38Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».

1Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.

2I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; 3Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; 4Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.

5Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. 7Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.

La conclusione dell'anno scolastico diventa sempre occasione di verifiche e di bilanci: per gli studenti, ma anche per gli insegnanti e per i genitori. Anzi, direi che sono soprattutto questi ultimi – gli educatori – ad essere coinvolti in un esame di coscienza più o meno approfondito. Infatti, mentre guardano all'anno trascorso, essi si accorgono di non essere stati del tutto all'altezza della loro missione educativa: specialmente quando pensano a quei ragazzi "difficili" che sono rimasti irrequieti e diffidenti sino alla fine. Si genera in questo modo un diffuso senso di avvilimento e di impotenza, davanti al quale l'unico rimedio pare essere la rassegnazione: perché tanto di più non si poteva fare...

Appunto così era tentato di pensare anche Gesù in quel tempo, quando vide le folle – come leggiamo nel Vangelo di domenica (Mt 9,36/10,8) – e "ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore" (Mt 9,36). Troppo numerose erano le difficoltà e le sofferenze di quella gente che andava alla ricerca di Gesù: ma troppe erano pure le ipocrisie, le ambiguità e le doppiezze che inquinavano tale ricerca. Proprio come Gesù stesso aveva fatto notare un giorno, parlando nella sinagoga di Cafarnao: "voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati" (Gv 6,26).

Dunque, le folle cercavano il Maestro di Nazareth perché era stato capace di riempire loro la pancia quando avevano avuto fame nel deserto: e non tanto perché volevano aderire al suo Vangelo. E così la loro giusta ricerca di aiuto veniva inquinata dall'ambiguità di chi non vuole lasciarsi aiutare veramente, ma si accontenta soltanto di soddisfare il bisogno del momento. Esattamente come fanno ancora le folle di oggi – o i tanti ragazzi "difficili" delle nostre scuole – la cui imprevedibilità ci manda in crisi, e alla fine ci scoraggia...

Diventa allora esemplare la risposta di Gesù, il quale non cedette alla facile tentazione di rassegnarsi, ma si affidò alla preghiera, invitando i suoi discepoli a fare altrettanto: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!" (Mt 9,37s.). Così, d'altronde, aveva già fatto Mosè, quando era salito sul monte Sinai, durante il cammino verso la terra promessa, come testimonia la prima lettura di domenica (Es 19,2-6). Anche Mosè infatti era avvilito e deluso davanti alla testardaggine del suo popolo: che si lamentava in continuazione, e non era più capace di ricordare le grandi opere che il Signore aveva compiuto in Egitto. Ma pure Mosè non si rassegnò davanti ad una simile realtà, perché voleva comunque portare a termine la sua missione. Decise però di ritirarsi per un po' di tempo sul monte Sinai, per pregare: e fu lassù che ritrovò la forza e lo slancio necessari.

Soprattutto Mosè ritrovò quel coraggio che lo aveva sostenuto in Egitto, quando si era messo alla testa del suo popolo pur sapendo di non esserne pienamente all'altezza. Fin dall'inizio infatti si era domandato: "chi sono io per andare dal faraone e far uscire dall'Egitto gli Israeliti?" (Es 3,11). E tuttavia fin dall'inizio la promessa del Signore era stata chiara: "io sarò con te... io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire" (Es 3,12. 4,12).

Proprio questa promessa si rinnovò sul monte Sinai, quando Mosè vi salì per pregare. E proprio a questa promessa si riferì Gesù, quando invitò i discepoli a pregare "il padrone della messe" per le folle stanche e sfinite. Certamente anche a lui appariva ardua l'impresa di annunciare il Vangelo a tutta quella gente, così dispersa e – a volte – distante. E tuttavia Gesù confidava nella promessa del Padre, e voleva che i suoi discepoli facessero altrettanto, andando senza paure di villaggio in villaggio per predicare che "il regno dei cieli è vicino" (Mt 10,7).

Così può accadere ancora oggi per i tanti educatori che si ritrovano alla fine di un anno scolastico con un po' di delusione nel cuore. Anche per loro – come per tutti – si rinnova l'invito incoraggiante di Gesù: "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10,8). E allora la rassegnazione lascia spazio alla memoria del dono ricevuto: al punto che diventa possibile ricominciare, con la pazienza di chi sa attendere che sia il Signore a compiere l'opera iniziata.

 

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