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TESTO Commento su Atti 10,34a.37-43; Salmo 117; Colonnesi 3,1-4 opp Prima Corinzi 5, 6b-8; Giovanni 20, 1-9 opp Marco 16,1-8 (Luca 24,13-35)

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Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore (Anno B) (08/04/2012)

Vangelo: At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4 opp 1Cor 5, 6b-8; Gv 20, 1-9 opp Mc 16,1-8 (Lc 24,13-35) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 20,1-9

1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti (At 10,39-41).
Era un giorno di Pasqua di molti anni fa. Al mattino presto mi recai nell'Ospedale della mia città dove, durante la notte, era stato ricoverato il figlio di pochi anni di una mia collega di lavoro. Niente di irreparabile, il bambino era robusto e se la sarebbe cavata, ma un ricovero desta sempre apprensione. Chiesi alla signora se potevo esserle di aiuto, se voleva prendersi qualche ora per sé, trascorrere tutto il giorno di Pasqua all'Ospedale non era certo il massimo... "No, mi rispose, non preoccuparti, intanto per me Pasqua è un giorno come un altro...". La risposta mi ferì intimamente, la signora proveniva dal cosiddetto "mondo cattolico", ma aveva vissuto delusioni profonde. Non risposi nulla, la guardai negli occhi, l'abbracciai.
Ancora oggi ricordo quell'episodio. Avrei voluto dirle che no, non è vero che i giorni sono tutti eguali, questo è un giorno diverso, ed i contorni delle cose, i volti stessi delle persone sembrano riflettere una gioia inedita. Ma come fare a spiegare che se Gesù è davvero risorto, se è vivo, allora questa gioia può passare anche attraverso le feritoie strette e profonde delle nostre fragilità? E che dunque, in questo orizzonte, tutti i giorni, anche i più difficili, i più faticosi, possono essere una Pasqua? Ma noi, uomini e donne della post-modernità, possiamo ancora sperare, ne abbiamo ancora la capacità?
Eppure, sì, una speranza nuova è entrata definitivamente da quell'evento nel cuore della storia. Il messaggio della risurrezione è l'unico che ogni uomo e ogni donna, di ogni latitudine e longitudine del pianeta, si attendono; è il fuoco che cova sotto la cenere della distrazione, la ragione ultima di una fede spesso oscura e tentennante, l'apertura della nostra volontà ad un progetto di cambiamento. Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo d'essere circondati da "cristiani anonimi", credenti non praticanti, Gesù sì, la Chiesa no... A quella signora avrei voluto dire che anche la fede che cova sotto la cenere, lo stoppino fumigante come lo avrebbe definito Gesù, ha una incredibile forza eversiva. È la speranza ad essere eversiva. Perché Cristo è risorto. È vero, noi, il popolo che cammina tra i viottoli impervi della storia, non lo abbiamo visto risorgere, ma neppure lo hanno visto coloro scelti da Dio come testimoni: hanno visto una tomba vuota. È da questa tomba vuota che si genera la nostra speranza.
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!» Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti (Gv 20,1-9).
Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"» (Mc 16,6-7 ).
La tomba vuota. Assenza e attesa. Il vuoto dell'assenza e la speranza del ritorno. È in questa tensione che si genera la speranza cristiana. È questo il passaggio (Pasqua significa appunto passaggio) che la parola ci invita a compiere. L'esperienza del vuoto, o dello "svuotamento" (la kénosis ) è l'esperienza stessa di Gesù, come ci ricorda San Paolo nella lettera ai Filippesi. Deve diventare esperienza di Chiesa.
In un tempo segnato dall'integralismo religioso e politico non si tratta di un'esperienza di poco conto. Il paradosso è che sempre più frequentemente gli integralismi religiosi sono sostenuti non solo dalle religioni istituzionali che, in questo senso, sono funeste, ma hanno altresì attraversato le frontiere stesse della laicità, come ci dimostrano i molti laici "devoti" che fanno scuola nelle nostre televisioni e nelle nostre Università.
Occorre dunque far riemergere, anche nelle religioni, il senso del "vuoto". Non si tratta di aggiungere qualcosa, ma di eliminare tutto quanto non è essenziale. Scopriremo allora che l'essenziale è quella tomba vuota da cui sale tutta la nostra tensione verso la ricerca di un senso all'esistere. Da questa filtrazione di senso può nascere (o ri-nascere) la speranza in un mondo nuovo la cui precondizione non è il dire, ma il fare. Vuoto di verità assolute, di certezze incrollabili, di potenza e di ricchezza non solo materiale ma anche simbolica, come vedremo domenica prossima. Senza il recupero del "vuoto" continuerà a correre sangue sulle frontiere religiose e conseguentemente su quelle politiche, continuerà la violenza contro le donne, la violenza morale degli irrigidimenti moralistici, continueranno le scomuniche reciproche. Le religioni - e le comunità che in esse si riconoscono - potranno così essere testimoni del sepolcro vuoto e dell'attesa che da esso si genera, cioè della risurrezione. Che è per ognuno di noi una ricerca di senso nel dramma umano perenne che vede fronteggiarsi la vita e la morte. Un senso che costantemente si rigenera e riscatta il non senso della nostra vita quotidiana. Perché la speranza è una virtù che nasce dalla nostra fragilità. È tensione a ricostruire, come hanno fatto Pietro, Giovanni, Maria di Magdala, gli apostoli e i discepoli, un sogno infranto. L'attesa feconda dell'incontro con Gesù che "ci precede in Galilea". Perché egli ci precede sempre. L'amore - quello quotidiano in cui eros, philìa e agàpe misteriosamente ma inestricabilmente si intrecciano - diventa il premio dell'attesa. Chi ci separerà dall'amore di Cristo?, si chiede san Paolo.
Se voi siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo seduto alla destra di Dio... (Col 3,1).
Mi piace immaginare "lassù" come il luogo non solo simbolico, sul quale, confessiamolo, si sbizzarrisce spesso a briglia sciolta la nostra immaginazione, ma come un luogo reale e antropologico in cui non ci saranno più crocifissi e crocifissori, vittime e carnefici, ingiustizie e guerre. In questo senso la morte di Gesù continua ad alimentare la speranza in questo mondo rinnovato. In questo senso, è la vita stessa di Gesù che dà significato alla sua morte, così come la nostra morte non potrà che essere solidale con il modello etico della nostra esistenza. Questo vorrà dire per noi, per le nostre famiglie, essere testimoni credibili. Non è cosa di poco conto.
Eppure, forse oggi, giorno del passaggio dalla morte alla vita, il nostro cuore è ancora sepolto in quell'antro buio, chiuso dalla nostra stessa paura che attende ancora, come la pietra, di essere rimossa o spezzata. Ma l'orizzonte che intravediamo è quel "lassù" - in cui il Cristo regna accanto a Dio - e che deve essere inteso come un "qui e ora" se non vogliamo trasformare la nostra religiosità in devozione privata, in pura alienazione. Questo orizzonte ci obbliga a mettere in conto qualche rischio, ad abbassare la guardia quando sarebbe più ragionevole stare coperti, a percorrere ad un tempo le strade apparentemente contraddittorie dell'annuncio e del silenzio - quando tutti parlano di tutto, sarebbe meglio lasciar parlare il nostro silenzio - e a liberare la fantasia e il sogno, proprio come i primi discepoli che apparivano ai più ubriachi di vino nuovo.
E proporre gesti concreti di riconciliazione e di perdono, di misericordia vera, non a parole che non costano nulla, a partire dal rapporto di coppia e di famiglia. Prendere il passo di chi non crede più, di chi fa fatica, della coppia alla quale è stata negata l'Eucaristia perché convivente, di chi dice che Pasqua è "un giorno come un altro"... Che siano queste "le cose di lassù"? Se è così potremo finalmente cantare con il Salmista:
La destra del Signore si è alzata,
la destra del Signore ha fatto meraviglie.
Non morirò, resterò in vita
E annunzierò le opere del Signore

 

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