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TESTO Dove possiamo trovare il pane per questa grande folla?

mons. Antonio Riboldi

XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (26/07/2009)

Vangelo: Gv 6,1-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Dopo questi fatti, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, 2e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. 3Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.

5Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». 6Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. 7Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». 8Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». 10Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. 11Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. 12E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». 13Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

14Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». 15Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

E' la grande domanda, l'invito di Gesù ai suoi apostoli a dare da mangiare alla folla immensa, che aveva lasciato alle spalle ogni certezza - o forse non ne aveva - e cercava Gesù per avere da Lui quella speranza, che nella vita era ed è difficile trovare.

Quello che stupisce ed interpella ciascuno di noi è la sensibilità e tenerezza di Gesù che, non richiesto, si fa voce delle necessità della gente.

In un altro passo del Vangelo leggiamo che Gesù 'sente compassioné per la folla, 'che era un gregge senza pastore'.

E questa Sua tenerezza ce la consegna nel Padre nostro, la Sua e nostra preghiera: 'Dacci oggi il nostro pane quotidiano'.

Viviamo un tempo di grave crisi economica. Tante persone non sanno come far fronte alla vita con quel poco che ricevono: operai licenziati, piccoli imprenditori o lavoratori autonomi, che si sentono letteralmente sul lastrico, in preda a gravi difficoltà per sostenere se stessi e la famiglia. 'Eravamo abituati a vivere nell'abbondanza, al punto da svenderci alla follia del consumismo, che invitava a comprare anche il non necessario. A volte abbiamo riempito la casa di tante cose, che ora sono li, servono a nulla, se non a prendere polvere: un'abbondanza che era uno schiaffo al buonsenso, al risparmio, alla gente che soffre, ed ora siamo chiamati a renderci conto che la semplicità, che ci faceva conoscere la bellezza della beatitudine della 'povertà in spirito', non era un bene da dimenticare e svilire, ma da prendere come 'regola di vità. Ci hanno predicato politicamente di 'produrre e consumare', ed ora paghiamo il prezzo di questa follia'. È quanto mi dicono in tanti, al punto da mettere in discussione in cosiddetto 'progresso', che poco tiene conto della vera felicità, frutto di semplicità e sobrietà.

Un tempo si viveva di poco, del necessario, e si era felici; la ricchezza erano gli affetti, la famiglia, i grandi valori dell'uomo. Non importava che tutto trasudasse semplicità: una vita semplice - diverso da banale! - era la vera ricchezza che si conservava con gelosia.

Ora ci si trova con le mani nude, costretti a mettere dietro le spalle, i capricci.

Bisognerebbe interpretare questa situazione come una lezione di vita, per preservarci, anche in futuro, da quella corsa al benessere a tutti i costi, che presto o tardi chiede il conto da pagare., e, soprattutto, avere il coraggio cristiano di guardare in faccia chi davvero sta male, 'vedere' quanto avviene in tanti Paesi dell'Africa, del mondo, dove centinaia di milioni non vivono, ma sopravvivono, altrettanti ogni giorno muoiono di fame, emarginati dal nostro, comunque, benessere!

Davvero abbiamo un grave 'conto' da rendere al Padre, davanti a cui tutti siamo uguali e tutti dovremmo avere la possibilità, non solo di avere il necessario, ma di poter cooperare alla crescita del mondo con uno sviluppo che deve essere per tutti.

Mi pare una favola da incorniciare, quanto, una vigilia di Natale, vissi in famiglia.

Ero ragazzo e in casa c'era nulla per fare festa. Con papà, a sera, andammo da una zia che gestiva una macelleria, chiedendo se avesse conservato qualcosa. Spolpò le ossa dei prosciutti e ne ricavò 'briciole' che per noi furono la gioia del Natale.

Per questo il Vangelo di oggi ci invita a ritrovare nella solidarietà la bellezza dell'uomo e, quindi, anche una possibile rinascita per la società.
Così l'apostolo Giovanni descrive il miracolo:

“Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè dì Tiberiade, e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù sali sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.

Alzati gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare? Diceva questo per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo. Gli disse allora Andrea, fratello di Simon Pietro: C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci, ma che cosa è questo per tanta gente?

Rispose Gesù: ‘Fateli sedere’. C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che erano seduti e lo stesso dei pesci, finché ne vollero.

E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: 'Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto.' Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

Allora la gente, visto il segno che aveva compiuto, cominciò a dire: Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo! Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo” (Gv 6, 1-15).
Consideriamo alcuni particolari per riflettere:

- Gesù 'vede una grande folla' di gente, attirata dalla sua bontà e dalla capacità di liberarli dai mali naturali, le malattie, o forse dalla stessa miseria, e 'prova compassioné, che è davvero mettersi nei panni del prossimo e riempire il 'vuoto', qualunque sia, con il proprio amore: la carità.

Chiede che siano i Suoi a soddisfare tanta necessità, per metterli alla prova: 'Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?'. E i discepoli confessano la propria incapacità. Troppo grande, ieri e oggi, attuare la giustizia nel mondo e fare tutti, ma proprio tutti, partecipi del benessere almeno sufficiente. É quello che ci chiediamo anche noi, a volte: cosa fare per andare incontro alle tante povertà che ogni giorno bussano alla porta del nostro cuore, sapendo che, per quello che possiamo intervenire, con la carità, diventeranno la ricchezza che troveremo un giorno in Cielo?

- C'è anche un avvertimento a non sprecare nulla: 'Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto.' Ci sono studi su quanto noi, che apparteniamo al cosiddetto mondo dei Paesi Sviluppati, gettiamo nei rifiuti. Una cifra spaventosa, scandalosa, definita da uno studioso 'sufficiente a soddisfare la fame di tanta parte dell'Africa!'.

- Ed infine Gesù, dopo aver saziato la folla di pane, 'si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo': si sottrae cioè alla tentazione di essere ritenuto 'un messia per il benessere della terrà, quando invece la sua missione era altra, quella della nostra salvezza, che va 'oltre questa terrà.

Quello che ci conforta come cristiani è constatare come la Chiesa in tutte le sue Diocesi, parrocchie, nei gruppi, apra le porte a chi ha bisogno, offrendo da mangiare, da vestirsi, e, se necessario, con aiuti più significativi.

Ho sempre ritenuto che i Centri di ascolto nelle Caritas siano il cuore della Chiesa, che si apre ai poveri, che cosi sanno che c'è sempre chi può dare loro una mano.

Penso alle tantissime iniziative di solidarietà, che sono ovunque e sono una concreta evangelizzazione: è la compassione di Gesù, che continua nell'oggi!

Penso alle tante iniziative per le missioni. In questo tempo di riposo, sono davvero tanti i laici che rinunciano alle proprie ferie e scelgono di stare vicino ai missionari per dare una mano. Non donano qualcosa, ma se stessi.

L'ultimo esempio di grande generosità del nostro popolo è stato dato dalla partecipazione, in tanti modi, alle sofferenze e ai disagi del terremoto de L'Aquila.

Una generosità, in tempi di crisi, che ha mostrato il volto bello della nostra gente.

Finché vivrà e si moltiplicherà la 'compassioné per chi non ha, su di noi e in noi, continuerà a splendere il Volto del Padre. La nostra vera ricchezza è quella di fare ricchi gli altri, come fece Gesù... senza cercare gloria, non usando mai il bene per 'farsi re': è questa una stortura, che non si addice mai a chi vuoi fare davvero del bene!
Scriveva il nostro sempre caro e grande Paolo VI:

“Noi abbiamo tra tante angustie e amarezze questo quotidiano conforto di vedere ogni giorno scintillare gli esempi di carità, a volte eroica, nella santa Chiesa: e potremmo fare il giornale della carità, che sarebbe il documento quotidiano di quei segni commoventi e meravigliosi dell'attualità di Cristo fra di noi.

Questi segni sono, per fortuna, dappertutto, nelle nostre istituzioni di assistenza, nelle nostre case di cura agli infermi, nella formazione cristiana dei fanciulli e dei giovani, all'opera buona, nelle missioni; e se davvero uno spirito di carità suggerisce queste molteplici attività, Cristo vi appare, perché sono cristianesimo vissuto. E anche quando l'intenzione cristiana non fosse palese, ma palese è la bontà dell'azione, noi scorgiamo nel sentimento generoso e nel gesto fraterno di tale solidarietà, uno stile, un'umanità che ci dicono essere, almeno in queste nobili manifestazioni, tuttora cristiana la nostra civiltà? I segni lo dimostrano. E per noi credenti, poi, hanno questo di bello simili atti di generosità e di carità, che tutti li possiamo compiere con quello spirito che li trasfigura: tutti abbiamo una certa capacità di fare della nostra Chiesa, a cui abbiamo la grazia di appartenere, un segno di Cristo: di rendere presente così Cristo nel nostro tempo e nel nostro ambiente. Lo dice il Concilio: Lo spirito di povertà e di carità è la gloria e la testimonianza della Chiesa di Cristo” (novembre 1966).

Non ci resta che entrare in questo clima di carità, che davvero diventerà pietra fondamentale per la civiltà dell'amore, contro ogni intolleranza e spregio per la dignità della persona umana. Ho sempre presente, nella mia vita di vescovo, quanto mi disse un caro amico, che era stupefatto nel vedere come, ogni giorno, bussasse alla mia porta, ogni tipo di persona, con le sue urgenze e tribolazioni: ‘Finché su queste scale saliranno i poveri - mi diceva - la bellezza della Chiesa continuerà ad apparire e sarà credibile’.
Gli devo dare ragione.

 

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