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PREGHIERA

1. Maria, donna innamorata   3

don Tonino Bello, Maria, donna dei nostri giorni

I love you. Je t'aime. Te quiero. Ich liebe Dich. Ti voglio bene, insomma.

Io non so se ai tempi di Maria si adoperassero gli stessi messaggi d'amore, teneri come giaculatorie e rapidi come graffiti, che le ragazze di oggi incidono furtivamente sul libro di storia o sugli zaini colorati dei loro compagni di scuola.

Penso, però, che, se non proprio con la penna a sfera sui jeans, o con i gessetti sui muri, le adolescenti di Palestina si comportassero come le loro coetanee di oggi.

Con «stilo di scriba veloce» su una corteccia di sicomòro, o con la punta del vincastro sulle sabbie dei pascoli, un codice dovevano pure averlo per trasmettere ad altri quel sentimento, antico e sempre nuovo, che scuote l'anima di ogni essere umano quando si apre al mistero della vita: ti voglio bene!

Anche Maria ha sperimentato quella stagione splendida dell'esistenza, fatta di stupori e di lacrime, di trasalimenti e di dubbi, di tenerezza e di trepidazione, in cui, come in una coppa di cristallo, sembrano distillarsi tutti i profumi dell'universo.

Ha assaporato pure lei la gioia degli incontri, l'attesa delle feste, gli slanci dell'amicizia, l'ebbrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo.

Cresceva come un'anfora sotto le mani del vasaio, e tutti si interrogavano sul mistero di quella trasparenza senza scorie e di quella freschezza senza ombre.

Una sera, un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: «Maria, ti amo». Lei gli rispose, veloce come un brivido: «Anch'io». E nell'iride degli occhi le sfavillarono, riflesse, tutte le stelle del firmamento.

Le compagne, che sui prati sfogliavano con lei i petali di verbena, non riuscivano a spiegarsi come facesse a comporre i suoi rapimenti in Dio e la sua passione per una creatura. Il sabato la vedevano assorta nell'esperienza sovrumana dell'estasi, quando, nei cori della sinagoga, cantava: «O Dio, tu sei il mio Dio, dall'aurora ti cerco: di te ha sete l'anima mia come terra deserta, arida, senz' acqua». Poi la sera rimanevano stupite quando, raccontandosi a vicenda le loro pene d'amore sotto il plenilunio, la sentivano parlare del suo fidanzato, con le cadenze del Cantico dei Cantici: «Il mio diletto è riconoscibile tra mille... I suoi occhi, come colombe su ruscelli di acqua... Il suo aspetto è come quello del Libano, magnifico tra i cedri...».

Per loro, questa composizione era un'impresa disperata. Per Maria, invece, era come mettere insieme i due emistichi d'un versetto dei salmi.

Per loro, l'amore umano che sperimentavano era come l'acqua di una cisterna: limpidissima, sì, ma con tanti detriti sul fondo. Bastava un nonnulla perché i fondigli si rimescolassero e le acque divenissero torbide. Per lei, no.

Non potevano mai capire, le ragazze di Nazaret, che l'amore di Maria non aveva fondigli, perché il suo era un pozzo senza fondo.

Santa Maria, donna innamorata, roveto inestinguibile di amore, noi dobbiamo chiederti perdono per aver fatto un torto alla tua umanità. Ti abbiamo ritenuta capace solo di fiamme che si alzano verso il cielo, ma poi, forse per paura di contaminarti con le cose della terra, ti abbiamo esclusa dall'esperienza delle piccole scintille di quaggiù. Tu, invece, rogo di carità per il Creatore, ci sei maestra anche di come si amano le creature. Aiutaci, perciò, a ricomporre le assurde dissociazioni con cui, in tema di amore, portiamo avanti contabilità separate: una per il cielo (troppo povera in verità), e l'altra per la terra (ricca di voci, ma anemica di contenuti) .

Facci capire che l'amore è sempre santo, perché le sue vampe partono dall'unico incendio di Dio. Ma facci comprendere anche che, con lo stesso fuoco, oltre che accendere lampade di gioia, abbiamo la triste possibilità di fare terra bruciata delle cose più belle della vita.

Perciò, Santa Maria, donna innamorata, se è vero, come canta la liturgia, che tu sei la «Madre del bell'amore», accoglici alla tua scuola. lnsegnaci ad amare. È un'arte difficile che si impara lentamente. Perché si tratta di liberare la brace, senza spegnerla, da tante stratificazioni di cenere.

Amare, voce del verbo morire, significa decentrarsi. Uscire da sé. Dare senza chiedere. Essere discreti al limite del silenzio. Soffrire per far cadere le squame dell'egoismo. Togliersi di mezzo quando si rischia di compromettere la pace di una casa. Desiderare la felicità dell'altro. Rispettare il suo destino. E scomparire, quando ci si accorge di turbare la sua missione.

Santa Maria, donna innamorata, visto che il Signore ti ha detto: «Sono in te tutte le mie sorgenti», facci percepire che è sempre l'amore la rete sotterranea di quelle lame improvvise di felicità, che in alcuni momenti della vita ti trapassano lo spirito, ti riconciliano con le cose e ti danno la gioia di esistere.

Solo tu puoi farci cogliere la santità che soggiace a quegli arcani trasalimenti dello spirito, quando il cuore sembra fermarsi o battere più forte, dinanzi al miracolo delle cose: i pastelli del tramonto, il profumo dell'oceano, la pioggia nel pineto, l'ultima neve di primavera, gli accordi di mille violini suonati dal vento, tutti i colori dell'arcobaleno... Vaporano allora, dal sotto suolo delle memorie, aneliti religiosi di pace, che si congiungono con attese di approdi futuri, e ti fanno sentire la presenza di Dio.

Aiutaci, perché, in quegli attimi veloci di innamoramento con l'universo, possiamo intuire che le salmodie notturne delle claustrali e i balletti delle danzatrici del Bolscjoi hanno la medesima sorgente di carità. E che la fonte ispiratrice della melodia che al mattino risuona in una cattedrale è la stessa del ritornello che si sente giungere la sera... da una rotonda sul mare: «Parlami d'amore, Mariù».

Mariainnamoramentoamore

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inviato da Barbara Battilana, inserito il 13/03/2013

PREGHIERA

2. Parlami d'Amore (versione 1)   2

Michel Quoist

L'Amore supera l'amore, mio caro.

L'amore è volo d'uccello nel cielo infinito.
Ma il volo dell'uccello
è più che il volteggiare in aria di un esserino di carne,
più che le sue ali innamorate, corteggiate dal vento,
è più che l'indicibile gioia quando muoiono i battiti delle ali
e il corpo in pace plana nella luce.

L'amore è canto di violino che canta il canto del mondo.
Ma il canto del violino
è più che il legno e l'archetto, inerti e solitari,
più che le note in abito da sera che danzano sulla partitura,
e più che le dita dell'artista che corrono sulle corde.

L'amore è luce, per le strade umane.
Ma la luce che si dà
è più che carezza mattutina che apre gli occhi notturni,
più che raggi di fuoco che riscaldano i corpi,
e più che mille pennelli d seta che colorano i volti.

L'amore è fiume d'argento che scorre verso il mare.
Ma il fiume vivo, che indugia o che si affretta,
è più che il suo letto accogliente, scrigno che non trattiene,
più che l'acqua che si arrossa allo sguardo del tramonto,
e più che l'uomo sulla riva che getta l'esca e ne estrae i frutti.

L'amore è veliero che sulle acque fende le onde.
Ma la corsa del veliero
è più che la prora sedotta che penetra il mare, che si offre o i dibatte,
più che le vele frementi sotto il tocco della brezza o gli schiaffi del vento,
è più che le mani del marinaio afferrate al timone,
mentre instancabile insegue la sua selvaggina.

...l'Amore supera l'amore.

L'Amore è soffio infinito, che viene da un altrove e vola verso l'altrove.

L'amore è mente d'uomo che conosce e riconosce il soffio,
è libertà d'uomo che tutto si volge verso di Lui.
L'amore è consenso dell'uomo al soffio che invita,
è cuore dell'uomo che si apre per accoglierlo e donarLo,
è corpo dell'uomo che si raccoglie, disponibile,
perché da Lui abitato, da Lui invaso
prenda il volo verso gli altri,
verso... l'altro,
e perché infine
ciò che era lontano si ricongiunga e si accordi
ciò che era separato diventi uno
e che dall'uno sgorghi una nuova vita.

Clicca qui per un altro testo di Michel Quoist sullo stesso tema.

amoreinnamoramentoamaredonarsigratuitàlibertàcrescerematurità

inviato da Mariangela Molari, inserito il 08/05/2002

PREGHIERA

3. Il dono di nozze da parte di Dio   3

La creatura che hai al fianco è mia. Io l'ho creata.
Io le ho voluto bene da sempre, prima di te e più di te.
Per lei non ho esitato a dare la mia vita. Te la affido.
La prendi dalle mie mani e ne diventi responsabile.
Quando l'hai incontrata l'hai trovata amabile e bella.
Sono le mie mani che hanno plasmato la sua bellezza,
è il mio cuore che ha messo in lei tenerezza ed amore,
è la mia sapienza che ha formato la sua sensibilità,
la sua intelligenza e tutte le qualità che hai trovato in lei.
Ma non puoi limitarti a godere del suo fascino.
Devi impegnarti a rispondere ai suoi bisogni, ai suoi desideri.
Ha bisogno di serenità e di gioia, di affetto e di tenerezza,
di piacere e di divertimento, di accoglienza e di dialogo,
di rapporti umani, di soddisfazione nel lavoro, e di tante altre cose.
Ma ricorda che ha bisogno soprattutto di me.
Sono Io, e non tu, il principio, il fine, il destino di tutta la sua vita.
Aiutala ad incontrarmi nella preghiera, nella Parola,
nel perdono, nella speranza.
Abbi fiducia in me.
La ameremo insieme. Io la amo da sempre.
Tu hai cominciato ad amarla da qualche anno,
da quando vi siete innamorati.
Sono Io che ho messo nel tuo cuore l'amore per lei.
Era il modo più bello per dirti "Ecco te l'affido.
Gioisci della sua bellezza e delle sue qualità".
Con le parole "Prometto di esserti fedele,
di amarti e rispettarti per tutta la vita",
è come se mi rispondessi che sei felice di accoglierla
nella tua vita e di prenderti cura di lei.
Da quel momento siamo in due ad amarla.
Anzi Io ti rendo capace di amarla "da Dio",
regalandoti un supplemento di amore
che trasforma il tuo amore di creatura e lo rende simile al mio.
E' il mio dono di nozze: la grazia del sacramento del matrimonio.
Io sarò sempre con voi e farò di voi gli strumenti del mio amore
e della mia tenerezza:
continuerò ad amarvi attraverso i vostri gesti d'amore.

matrimoniocoppiaamorefamigliainnamoramento

5.0/5 (1 voto)

inviato da Francesco Sessa, inserito il 04/05/2002