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RACCONTO

1. I biscotti bruciati   3

Quando ero piccola, a mia mamma piaceva preparare come cena ciò che solitamente si mangia a colazione. Quella sera, una lunga e dura giornata di lavoro, mia mamma mise davanti a mio padre un piatto di uova, salsiccia e biscotti estremamente bruciati. Io aspettavo in silenzio per vedere se qualcuno se ne fosse accorto!

Mio padre prese il suo biscotto, sorrise a mia madre e mi chiede come era andata la mia giornata a scuola. Non ricordo cosa gli ho detto, ma ricordo benissimo di averlo visto spalmare burro e gelatina su quel brutto biscotto bruciato. Mangiò ogni boccone senza scomporsi e senza pronunciare una parola al riguardo!

Quando mi sono alzato dal tavolo quella sera, mia madre si scusò con mio padre per aver bruciato i biscotti. E non dimenticherò mai quello che risposte mio padre: «Tesoro, adoro i biscotti bruciati di tanto in tanto.»

Più tardi quella sera andai a baciare la buonanotte a papà e gli chiesi se gli piacevano davvero i suoi biscotti bruciati. Mi abbracciò e mi disse: «Tua mamma ha passato una dura giornata di lavoro oggi ed è davvero stanca. E poi un biscotto bruciato non ha mai fatto male a nessuno!»

Quando sono cresciuto, ci ho pensato molte volte. La vita è piena di cose imperfette e persone imperfette. Non sono il migliore in quasi nulla, e dimentico compleanni e anniversari proprio come tutti gli altri. Ma quello che ho imparato nel corso degli anni è che imparare ad accettare i reciproci difetti e scegliere di celebrare le reciproche differenze è una delle chiavi più importanti per creare una relazione sana, in crescita e duratura.

E questa è la mia preghiera per te oggi: che imparerai a prendere le parti buone, cattive e brutte della tua vita e metterle da parte. Potremmo estenderlo a qualsiasi relazione. In effetti, la comprensione è la base di ogni relazione, che si tratti di marito-moglie o genitore-figlio o amicizia!

"Non mettere la chiave della tua felicità nella tasca di qualcun altro, tienila nella tua."

Quindi, per favore, passami un biscotto e sì, quello bruciato andrà bene.

Sii più gentile del necessario perché tutti quelli che incontri stanno combattendo un qualche tipo di battaglia.

gentilezzaaccettazioneamorefamigliacomprensionecoppiamatrimoniolimitiimperfezionidifetti

3.5/5 (2 voti)

inserito il 23/06/2020

RACCONTO

2. La maestra e la lavagna   5

Un giorno un insegnante scrisse alla lavagna:

9×1=7
9×2=18
9×3=27
9×4=36
9×5=45
9×6=54
9×7=63
9×8=72
9x9=81
9x10=90

Quando ebbe finito di scrivere e si girò verso la classe tutti gli alunni stavano ridendo per l'errore fatto nella prima operazione. A questo punto l'insegnante disse:

«Ho scritto la prima operazione sbagliata di proposito, perché volevo che imparaste una lezione molto importante. Era solo per spiegarvi come il mondo là fuori vi tratterà. Ho scritto giusto 9 volte ma nessuno mi ha detto che sono stata brava, tutti voi però avete riso e mi avete criticata per l'unica cosa sbagliata che ho fatto. Quindi questa è la lezione: il mondo non apprezzerà le milioni di cose giuste che farete ma sarà pronto a criticare l'unica sbagliata.»

errorisbaglicrescitaimpararecrescerecriticaregiudicaremigliorarevita

4.0/5 (2 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 28/12/2016

RACCONTO

3. Una penna disobbediente   4

Angelo Valente, Nove Vie in Betlemme, Elledici

C'era una volta un grande e bravissimo poeta che nessuno conosceva perché nessuno aveva mai letto le sue poesie.
Il poeta, fin da piccolo, si era affezionato ad una sola ed unica penna e non ne aveva mai utilizzate altre.
Questa penna, però, si era sempre rifiutata di scrivere per paura di finire il suo inchiostro: perciò nessuno conosceva le bellissime poesie del poeta.
Un giorno il poeta si recò presso una biblioteca e portò con sé anche la sua penna.
Fu lì che la penna conobbe tante altre penne come lei e vide che tutte scrivevano, senza farsi troppi problemi.
C'era lì anche una penna appoggiata su una scrivania che sembrava molto anziana, perché aveva quasi terminato tutto il suo inchiostro.
Dopo averle rivolto il saluto, la penna del poeta le parlò delle sue resistenze a scrivere. Ma l'anziana penna, che aveva scritto tanto, le disse:
«Guarda intorno quanti libri. Tanta gente può venire qui a leggere ed imparare cose nuove proprio perché delle penne come noi sono state utili ai loro padroni. Non serve a nulla e a nessuno tenere per sé ciò che loro ci dicono. Noi abbiamo il grande compito di manifestare agli altri il loro pensiero, le loro idee, cioè di scrivere ciò che di più profondo c'è in loro utilizzando ciò che di più profondo c'è in noi, cioè l'inchiostro. Questo ci rende utili e fa crescere la gente».
La penna del poeta ringraziò di cuore l'anziana penna e da quel giorno iniziò a scrivere tutte le poesie che il poeta recitava.
Il poeta fu apprezzato e conosciuto da molti perché da quel giorno tanta gente poté leggere le sue splendide poesie.

Anche noi siamo come quella penna, non siamo utili a nessuno e non serve a nessuno se incontriamo Gesù Cristo e non raccontiamo agli altri questa splendida avventura.
Come per la penna costa inchiostro scrivere, anche per noi costa coraggio testimoniare.
Se lo faremo, però, saremo strumenti contenti ed efficaci nelle mani del Signore, perché lo aiuteremo a non restare anonimo e sconosciuto, ma lo manifesteremo a chi ancora fa fatica a riconoscerlo.

testimonianzaevangelizzazioneessere utilitalentiservizioservire

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 27/12/2016

RACCONTO

4. Quanto pesa un bicchiere d'acqua?   27

Siamo all'Università di Berkley, in California. Un professore della Facoltà di Psicologia fa il suo ingresso in aula, come ogni martedì. Il corso è uno dei più gremiti e decine di studenti parlano del più e del meno prima dell'inizio della lezione. Il professore arriva con il classico quarto d'ora accademico di ritardo. Tutto sembra nella norma, ad eccezione di un piccolo particolare: il prof. ha in mano un bicchiere d'acqua.

Nessuno nota questo dettaglio finché il professore, sempre con il bicchiere d'acqua in mano, inizia a girovagare tra i banchi dell'aula. In silenzio. Gli studenti si scambiano sguardi divertiti, ma non particolarmente sorpresi. Sembrano dirsi: "Eccoci qua: oggi la lezione riguarderà sicuramente l'ottimismo. Il prof. ci chiederà se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. Alcuni diranno che è mezzo pieno. Altri diranno che è mezzo vuoto. I nerd diranno che è completamente pieno: per metà d'acqua e per l'altra metà d'aria! Tutto così scontato!".

Il professore invece si ferma e domanda ai suoi studenti: "Secondo voi quanto pesa questo bicchiere d'acqua?". Gli studenti sembrano un po' spiazzati da questa domanda, ma in molti rispondono: il bicchiere ha certamente un peso compreso tra i 200 e i 300 grammi. Il professore aspetta che tutti gli studenti abbiano risposto e poi propone il suo punto di vista: "Il peso assoluto del bicchiere d'acqua è irrilevante. Ciò che conta davvero è per quanto tempo lo tenete sollevato". Felice di aver catturato l'attenzione dei suoi studenti, il professore continua: "Sollevatelo per un minuto e non avrete problemi. Sollevatelo per un'ora e vi ritroverete un braccio dolorante. Sollevatelo per un'intera giornata e vi ritroverete un braccio paralizzato".

Gli studenti continuano ad ascoltare attentamente il loro professore di psicologia: "In ognuno di questi tre casi il peso del bicchiere non è cambiato. Eppure, più il tempo passa, più il bicchiere sembra diventare pesante. Lo stress e le preoccupazioni sono come questo bicchiere d'acqua. Piccole o grandi che siano, ciò che conta è quanto tempo dedichiamo loro. Se gli dedichiamo il tempo minimo indispensabile, la nostra mente non ne risente. Se iniziamo a pensarci più volte durante la giornata, la nostra mente inizia ad essere stanca e nervosa. Se pensiamo continuamente alle nostre preoccupazioni, la nostra mente si paralizza." Il professore capisce di avere la completa attenzione dei suoi studenti e decide di concludere il suo ragionamento: "Per ritrovare la serenità dovete imparare a lasciare andare stress e preoccupazioni. Dovete imparare a dedicare loro il minor tempo possibile, focalizzando la vostra attenzione su ciò che volete e non su ciò che non volete. Dovete imparare a mettere giù il bicchiere d'acqua".

stresspreoccupazioniserenitàtranquillitàfaticaconcentrazione

4.5/5 (31 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 06/08/2013

RACCONTO

5. La gioia del dare   7

Due fratelli, uno di cinque anni e l'altro di dieci, vestiti di stracci, continuavano a chiedere un po' di cibo per le case della strada che circondava la collina. Erano affamati, ma non riuscirono ad ottenere niente, i loro tentativi frustanti li rattistavano.

Finalmente, una signora diede loro una bottiglia di latte. Che festa per i due bambini! Allora si sedettero sul marciapiede, e il più piccolo disse a quello di dieci anni: "Tu sei il maggiore, bevi per primo...", e lo guardava coi suoi denti bianchi, con la bocca mezza aperta.

Il grande si portò la bottiglia alla bocca e, facendo finta di bere, stringeva le labbra per non far entrare nemmeno una sola goccia di latte. Poi passò la bottiglia al fratellino che, dando un sorso, esclamò: "Com'è saporito!".

Poi fu di nuovo il turno del maggiore. Anche questa volta si portò la bottiglia alla bocca, ormai già quasi mezza vuota, ma non bevve niente. E fecero così finché il latte non finì.

A quel punto il fratello maggiore, benché con lo stomaco vuoto ma col cuore traboccante di gioia, cominciò a cantare e a danzare.

Saltava con la semplicità di chi non fa niente di straordinario, o ancora meglio, con la semplicità di chi è abituato a fare cose straordinarie senza dargli importanza.

Noi che viviamo in un mondo di agiatezze, possiamo imparare una grande lezione da quel ragazzo: "Chi dà è più felice di chi riceve".

donaredareamoregratuitàfamiglia

4.7/5 (7 voti)

inviato da Cinzia Novello, inserito il 06/07/2013

RACCONTO

6. Hai dimenticato una cosa!

Vita di san Girolamo

Ben prima di diventare un sapiente e stimato esegeta, brillante consigliere di nobildonne dell'alta società romana, Girolamo aveva tentato un periodo di vita da eremita in una grotta del deserto di Giuda.

Con la presunzione tipica dell'età, il giovane Girolamo si era dedicato con ardore alle molteplici forme di ascesi allora in uso tra i monaci. Ma i risultati si facevano attendere: il tempo gli avrebbe fatto presto capire che la sua vera vocazione era altrove nella Chiesa e che il suo soggiorno tra i monaci della Palestina ne costituiva solo il preludio.

Tuttavia Girolamo doveva ancora imparare molte cose e intanto, da giovane novizio si trovava immerso nella disperazione: nonostante i suoi sforzi generosi, non riceveva alcuna risposta dal cielo.

Andava alla deriva, senza timone, in mezzo alle tempeste interiori, al punto che le vecchie tentazioni, già così familiari, non tardarono a rialzare la cresta. Girolamo era scoraggiato: cosa aveva fatto di male? Dov'era la causa di questo cortocircuito tra Dio e lui?

Come ristabilire il contatto con la grazia? Mentre Girolamo si arrovellava il cervello, notò all'improvviso un crocifisso che era comparso tra i rami secchi di un albero. Girolamo si gettò a terra e si percosse il petto con gesto solenne e vigoroso. E' in questa posizione umile e supplicante che lo raffigura la maggior parte dei pittori.

Subito Gesù rompe il silenzio e si rivolge a Girolamo dall'alto della croce: «Girolamo - gli dice - cos'hai da darmi? Cosa riceverò da te?». Girolamo non esita un attimo. Certo che aveva un sacco di cose da offrire a Gesù: «Naturalmente, Signore: i miei digiuni, la fame, la sete. Mangio solo al tramonto del sole!»

Di nuovo Gesù risponde: «Ottimo Girolamo, ti ringrazio. Lo so, hai fatto del tuo meglio. Ma hai ancora altro da darmi?» Girolamo ripensa a cosa potrebbe ancora offrire a Gesù. Ecco allora le veglie, la lunga recita dei salmi, lo studio assiduo giorno e notte della Bibbia, il celibato nel quale si impegnava con più o meno successo, la mancanza di comodità, la povertà, gli imprevisti che si sforzava di accogliere senza brontolare e infine il caldo di giorno e il freddo di notte. Ad ogni offerta, Gesù si complimenta e lo ringrazia.

Lo sapeva da tempo: Girolamo ci tiene così tanto a fare del suo meglio! Ma ad ogni offerta, Gesù, con un sorriso astuto sulle labbra, lo incalza ancora e gli chiede: «Girolamo, hai qualcos'altro da darmi?»

Alla fine, dopo che Girolamo ha enumerato tutte le cose buone che ricorda e siccome Gesù gli pone per l'ennesima volta la stessa domanda, un po' scoraggiato e non sapendo più a che santo votarsi, finisce per balbettare: «Signore, ti ho dato già tutto, non mi resta davvero più niente!».

Allora un grande silenzio piomba nella grotta e fino alle estremità del deserto di Giuda; Gesù replica un'ultima volta: «Eppure Girolamo hai dimenticato una cosa: dammi anche i tuoi peccati affinché possa perdonarteli...».

conversionepenitenzapeccatopeccatoregraziaperdono

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 14/04/2011

RACCONTO

7. Il funerale della volpe

Gianni Rodari

Una volta le galline trovarono la volpe in mezzo al sentiero. Aveva gli occhi chiusi, la coda non si muoveva. - È morta, è morta - gridarono le galline. - Facciamole il funerale.

Difatti suonarono le campane a morto, si vestirono di nero e il gallo andò a scavare la fossa in fondo al prato. Fu un bellissimo funerale e i pulcini portavano i fiori. Quando arrivarono vicino alla buca la volpe saltò fuori dalla cassa e mangiò tutte le galline.

La notizia volò di pollaio in pollaio. Ne parlò perfino la radio, ma la volpe non se ne preoccupò. Lasciò passare un po' di tempo, cambiò paese, si sdraiò in mezzo al sentiero e chiuse gli occhi. Vennero le galline di quel paese e subito gridarono anche loro: - È morta, è morta! Facciamole il funerale.

Suonarono le campane, si vestirono di nero e il gallo andò a scavare la fossa in mezzo al granoturco. Fu un bellissimo funerale e i pulcini cantavano che si sentivano in Francia. Quando furono vicini alla buca, la volpe saltò fuori dalla cassa e mangiò tutto il corteo.

La notizia volò di pollaio in pollaio e fece versare molte lacrime. Ne parlò anche la televisione, ma la volpe non si prese paura per nulla. Essa sapeva che le galline hanno poca memoria e campò tutta la vita facendo la morta. E chi farà come quelle galline vuol dire che non ha capito la storia.

informazionenotiziaesperienzaimpararestoltezza

inviato da Paola Berrettini, inserito il 11/02/2011

RACCONTO

8. Un piccolo gesto   4

Un giorno, ero un ragazzino delle superiori, vidi un ragazzo della mia classe che stava tornando a casa da scuola. Il suo nome era Kyle e sembrava stesse portando tutti i suoi libri. Dissi tra me e me: "Perché mai uno dovrebbe portarsi a casa tutti i libri di venerdì? Deve essere un ragazzo strano".

Io avevo il mio week-end pianificato (feste e una partita di football con i miei amici), così ho scrollato le spalle e mi sono incamminato.

Mentre stavo camminando vidi un gruppo di ragazzini che correvano incontro a Kyle. Gli corsero addosso facendo cadere tutti i suoi libri e lo spinsero facendolo cadere nel fango. I suoi occhiali volarono via, e li vidi cadere nell'erba un paio di metri più in là. Lui guardò in su e vidi una terribile tristezza nei suoi occhi. Mi rapì il cuore! Così mi incamminai verso di lui mentre stava cercando i suoi occhiali e vidi una lacrima nei suoi occhi. Raccolsi gli occhiali e glieli diedi dicendogli: "Quei ragazzi sono proprio dei selvaggi, dovrebbero imparare a vivere". Kyle mi guardò e disse: "Grazie!". C'era un grosso sorriso sul suo viso, era uno di quei sorrisi che mostrano vera gratitudine.

Lo aiutai a raccogliere i libri e gli chiesi dove viveva. Scoprii che viveva vicino a me così gli chiesi come mai non lo avessi mai visto prima. Lui mi spiegò che prima andava in una scuola privata. Prima di allora non sarei mai andato in giro con un ragazzo che frequentava le scuole private. Parlammo per tutta la strada e io lo aiutai a portare alcuni libri.

Mi sembrò un ragazzo molto carino ed educato così gli chiesi se gli andava di giocare a football con i miei amici e lui disse di sì. Stemmo in giro tutto il week end e più lo conoscevo più Kyle mi piaceva così come piaceva ai miei amici.

Arrivò il lunedì mattina ed ecco Kyle con tutta la pila dei libri ancora. Lo fermai e gli dissi: "Ragazzo finirà che ti costruirai dei muscoli incredibili con questa pila di libri ogni giorno!". Egli rise e mi passo la metà dei libri.

Nei successivi quattro anni io e Kyle diventammo amici per la pelle.

Una volta adolescenti cominciammo a pensare al college, Kyle decise per Georgetown e io per Duke. Sapevo che saremmo sempre stati amici e che la distanza non sarebbe stata un problema per noi. Kyle sarebbe diventato un dottore mentre io mi sarei occupato di scuole di football.

Kyle era il primo della nostra classe e io l'ho sempre preso in giro per essere un secchione. Kyle doveva preparare un discorso per il diploma. Io fui molto felice di non essere al suo posto sul podio a parlare. Il giorno dei diplomi vidi Kyle, aveva un ottimo aspetto. Lui era uno di quei ragazzi che aveva veramente trovato se stesso durante le scuole superiori. Si era un po' riempito nell'aspetto e stava molto bene con gli occhiali. Aveva qualcosa in più e tutte le ragazze lo amavano. Ragazzi qualche volta ero un po' geloso!

Oggi era uno di quei giorni, potevo vedere che era un po' nervoso per il discorso che doveva fare, così gli diedi una pacca sulla spalla e gli dissi: "Ehi ragazzo, te la caverai alla grande!". Mi guardò con uno di quegli sguardi (quelli pieni di gratitudine) e sorrise mentre mi disse: "Grazie".

Iniziò il suo discorso schiarendosi la voce: "Nel giorno del diploma si usa ringraziare coloro che ci hanno aiutato a farcela in questi anni duri. I genitori, gli insegnanti, gli allenatori ma più di tutti i tuoi amici. Sono qui per dire a tutti voi che essere amico di qualcuno è il più bel regalo che voi potete fare. Voglio raccontarvene una".

Guardai il mio amico Kyle incredulo non appena cominciò a raccontare il giorno del nostro incontro. Lui aveva pianificato di suicidarsi durante il week-end. Egli raccontò di come aveva pulito il suo armadietto a scuola, così che la madre non avesse dovuto farlo dopo, e di come si stava portando a casa tutte le sue cose.

Kyle mi guardò intensamente e fece un piccolo sorriso. "Ringraziando il cielo fui salvato, il mio amico mi salvò dal fare quel terribile gesto".

Udii un brusio tra la gente a queste rivelazioni. Il ragazzo più popolare ci aveva appena raccontato il suo momento più debole.

Vidi sua madre e suo padre che mi guardavano e mi sorridevano, lo stesso sorriso pieno di gratitudine.

Non avevo mai realizzato la profondità di quel sorriso fino a quel momento.

Non sottovalutate mai il potere delle vostre azioni.

Con un piccolo gesto potete cambiare la vita di una persona, in meglio o in peggio. Dio fa incrociare le nostre vite perché ne possiamo beneficiare in qualche modo. Cercate il buono negli altri.

"Gli amici sono angeli che ci sollevano in piedi quando le nostre ali hanno problemi nel ricordare come si vola".

amiciziagentilezzaimportanza delle piccole cosesemplicitàbontà

5.0/5 (4 voti)

inviato da Lisa, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

9. La storia della matita   5

Paolo Coelho

Il bambino guardava la nonna che stava scrivendo una lettera. Ad un certo punto, le domandò: "Stai scrivendo una storia che è capitata a noi? E che magari parla di me".

La nonna interruppe la scrittura, sorrise e disse al nipote: "E' vero, sto scrivendo qualcosa di te. Tuttavia, più importante delle parole è la matita con la quale scrivo. Vorrei che la usassi tu, quando sarai cresciuto".

Incuriosito il bimbo guardò la matita senza trovarvi alcunché di speciale.

"Ma è uguale a tutte le altre matite che ho visto nella mia vita!".

"Dipende tutto dal modo in cui guardi le cose. Questa matita possiede cinque qualità: se riuscirai a trasporle nell'esistenza, sarai sempre una persona in pace con il mondo.

Prima qualità: puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una mano che guida i tuoi passi."Dio": ecco come chiamiamo questa mano! Egli deve condurti sempre verso la sua volontà.

Seconda qualità: di tanto in tanto, devo interrompere la scrittura e usare il temperino. E' un'azione che provoca una certa sofferenza alla matita ma, alla fine, essa risulta più appuntita. Ecco perché devi imparare a sopportare alcuni dolori: ti faranno diventare un uomo migliore.

Terza qualità: il tratto della matita ci permette di usare una gomma per cancellare ciò che è sbagliato. Correggere è un'azione o un comportamento non è necessariamente qualcosa di negativo: anzi, è importante per riuscire a mantenere la retta via della giustizia.

Quarta qualità: ciò che è realmente importante nella matita non è il legno o la sua forma esteriore, bensì la grafite della mina racchiusa in essa. Dunque, presta sempre attenzione a quello che accade dentro di te.

Ecco la quinta qualità della matita: essa lascia sempre un segno. Allo stesso modo, tutto ciò che farai nella vita lascerà una traccia: di conseguenza, impegnati per avere piena coscienza di ogni tua azione".

vitaviverepaceimpegnoresponsabilitàsofferenzacamminocrescitainterioritàesterioritàrapporto con Diocorrezione

5.0/5 (3 voti)

inviato da Raffaella Pisanti, inserito il 07/09/2008

RACCONTO

10. Un pezzo di umanità

A una cena di raccolta fondi per una scuola che serve i disabili mentali, il padre di uno degli studenti fece un discorso che nessuno di coloro che partecipavano avrebbe mai dimenticato.

Dopo aver lodato la scuola e il personale dedito, fece una domanda: "Quando influenze esterne non interferiscono dall'esterno, la natura di tutti è perfetta. Mio figlio Shay, tuttavia, non può imparare le cose che imparano gli altri. Non può capire le cose come gli altri. Dov'è l'ordine naturale delle cose, in mio figlio?". Il pubblico fu zittito dalla domanda.

Il padre continuò. "Io ritengo che, quando un bambino come Shay, fisicamente e mentalmente handicappato viene al mondo, si presenta un'opportunità di realizzare la vera natura umana, ed essa si presenta nel modo in cui le altre persone trattano quel bambino".

Poi raccontò la storia che segue: Shay e suo padre stavano camminando vicino a un parco, dove c'erano alcuni ragazzi che Shay conosceva che giocavano a baseball. Shay chiese: "Credi che mi lascerebbero giocare?". Il padre di Shay sapeva che la maggior parte dei ragazzi non volevano un ragazzo come lui nella squadra, ma comprendeva anche che se al figlio fosse stato permesso giocare, la cosa gli avrebbe dato un senso di appartenenza di cui aveva molto bisogno, e un po' di fiducia nell'essere accettato dagli altri, nonostante i suoi handicap.

Il padre di Shay si avvicinò a uno dei ragazzi sul campo e chiese se Shay poteva giocare, non aspettandosi un granché in riposta. Il ragazzo si guardò attorno, in cerca di consiglio e disse: "Siamo sotto di sei e il gioco è all'ottavo inning. Immagino che possa stare con noi e noi cercheremo di farlo battere all'ultimo inning".

Shay si avvicinò faticosamente alla panchina della squadra, indossò una maglietta della squadra con un ampio sorriso e suo padre si sentì le lacrime negli occhi e una sensazione di tepore al cuore. Il ragazzo vide la gioia di suo padre per essere stato accettato. In fondo all'ottavo inning, la squadra di Shay ottenne un paio di basi, ma era ancora indietro di tre. Al culmine del nono e ultimo inning, Shay si mise il guantone e giocò nel campo giusto. Anche se dalla sua parte non arrivarono dei lanci, era ovviamente in estasi solo per essere nel gioco e in campo, con un sorriso che gli arrivava da un orecchio all'altro, mentre suo padre lo salutava dalle gradinate.
Alla fine del nono inning, la squadra di Shay segnò ancora.

Ora, con due fuori e le basi occupate, avevano l'opportunità di segnare la battuta vincente e Shay era il prossimo, al turno di battuta.

A questo punto, avrebbero lasciato battere Shay e perso l'opportunità di far vincere la squadra? Sorprendentemente, a Shay fu assegnato il turno di battuta. Tutti sapevano che gli era impossibile colpire la palla, perché Shay non sapeva neppure tenere bene la mazza, per non dire cogliere la palla. Comunque, mentre Shay andava alla battuta, il lanciatore, capendo che l'altra squadra stava mettendo da parte la vincita per far sì che Shay avesse questo momento, nella sua vita, si spostò di alcuni passi per lanciare la palla morbidamente, così che Shay potesse almeno riuscire a toccarla con la mazza. Arrivò il primo lancio e Shay girò la mazza a vuoto. Il lanciatore fece ancora un paio di passi avanti e gettò di nuovo lentamente la palla verso Shay.

Mentre la palla era in arrivo, Shay girò goffamente la mazza, la colpì e la spedì lentamente sul terreno, dritta verso il lanciatore.

Il gioco avrebbe dovuto finire, a quel punto, ma il lanciatore raccolse la palla e avrebbe potuto facilmente lanciarla al primo che copriva la base e squalificare il battitore. Shay sarebbe stato fuori e questo avrebbe segnato la fine della partita. Invece, il lanciatore raccolse la palla e la lanciò proprio al di là della testa

del primo in base, fuori dalla portata dei compagni di squadra. Tutti quelli che si trovavano sugli spalti e i giocatori cominciarono a gridare: "Shay, corri in prima base! Corri in prima!" Shay non aveva mai corso in vita sua così lontano, ma riuscì ad arrivare in prima base. Corse lungo la linea, con gli occhi spalancati e pieno di meraviglia. Tutti gli gridarono: "Corri alla seconda, alla seconda, ora!" Trattenendo il fiato, Shay corse ancor più goffamente verso la seconda, ansimando e sforzandosi di raggiungerla. Quando Shay curvò verso la seconda base, la palla era fra le mani del giocatore giusto, un piccoletto, che ora aveva la possibilità per la prima volta di essere lui l'eroe della propria squadra. Avrebbe potuto lanciarla alla seconda base per squalificare il battitore, ma comprese le intenzioni del lanciatore e anche lui gettò intenzionalmente la palla in alto, ben oltre la portata della terza base. Shay corse verso la terza base in delirio, mentre gli altri si spostavano per andare alla casa base. Tutti gridavano: "Shay, Shay, Shay, vai Shay".

Shay raggiunse la terza base, quello opposto a lui corse per aiutarlo e voltarlo nella direzione giusta, e gridò: "Shay, corri in terza! Corri in terza!".

Mentre Shay girava per la terza base, i ragazzi di entrambe le squadre e quelli che guardavano erano tutti in piedi e strillavano: "Shay, corri alla base! Corri alla base, sali sul piatto!" Shay corse, salì sul piatto e fu acclamato come l'eroe che aveva segnato un 'grand slam' e fatto vincere la sua squadra.

Quel giorno, disse il padre a bassa voce e con le lacrime che ora gli rigavano la faccia, i ragazzi di entrambe le squadre aiutarono a portare in questo mondo un pezzo di vero amore e umanità.

Shay non superò l'estate e morì in inverno, senza mai scordare di essere stato l'eroe e di aver reso suo padre così felice, e di essere tornato a casa fra il tenero abbraccio di sua madre per il piccolo eroe del giorno!

accoglienzadiversitàhandicappregiudiziamoresolidarietàunità

4.0/5 (3 voti)

inviato da Stefania Calzavara, inserito il 29/10/2007

RACCONTO

11. Sassi   3

Un giorno, un anziano professore della "Scuola Nazionale di Amministrazione Pubblica" (ENAP) fu assunto per tenere un corso sulla Pianificazione efficace del proprio tempo a un gruppo di una quindicina di dirigenti di grandi compagnie nordamericane.

Il corso costituiva una delle 5 materie della loro giornata di formazione. Il vecchio professore disponeva solo di un'ora per il suo corso. Stando in piedi, davanti a quest'elite (pronta a prender nota di tutto quello che l'esperto avrebbe insegnato) l'anziano insegnante li guardò uno ad uno, lentamente, poi disse:
"Oggi faremo un'esperienza".

E tirò fuori da sotto la cattedra che li separava un grosso recipiente (che conteneva più di 4 litri) che posò delicatamente davanti a sé. Subito dopo tirò fuori una dozzina di sassi, grandi come una palla da tennis, e li pose con delicatezza, uno per uno, dentro al grande vaso. Quando fu pieno, di modo che non era più possibile aggiungerci un altro sasso, domandò ai suoi allievi: "Secondo voi, il vaso è pieno?".
Essi risposero in coro: "Sì".

Il vecchio attese qualche secondo e poi domandò: "Veramente?". Allora si piegò e tirò fuori da sotto il tavolo un recipiente contenente del granigliato di marmo. Con minuzia, versò il granigliato nel vaso e i pezzettini andarono ad infilarsi fra un sasso e l'altro... fino alla base.

Sollevando lo sguardo verso il suo uditorio, domandò di nuovo: "E adesso è pieno?". Questa volta i suoi brillanti allievi cominciarono a comprendere, e uno di essi disse:
"Probabilmente, no".

"Bene" - riprese l'insegnante. Si piegò di nuovo, e questa volta tirò fuori un sacchetto di sabbia. Con precisione, versò la sabbia nel vaso. La sabbia riempì gli interstizi lasciati liberi dai sassi e dal granigliato.
Ancora una volta, domandò: "E adesso, il vaso è pieno?".

E questa volta, senza esitare, tutti gli allievi risposero in coro: "No!".

"Bene!", disse il vecchio. E come i suoi prestigiosi allievi si attendevano, prese la caraffa d'acqua che era sulla cattedra e riempì il vaso fino al bordo. Sollevando lo sguardo verso il gruppo, l'insegnante domandò: "Qual è la grande verità che ci dimostra questo esperimento?".

Il più audace degli allievi, riflettendo sul soggetto della materia, disse con orgoglio: "Questo dimostra che, anche quando crediamo che la nostra agenda sia completamente piena, se lo si vuole veramente, possiamo aggiungere ancora qualche appuntamento, qualcosa da fare".

"No - rispose il vecchio prof. - non si tratta di questo. La grande verità che ci dimostra quest'esperienza è la seguente: Se noi non infiliamo i sassi per primi nel vaso, non potremo mai farceli stare tutti, dopo!".

Ci fu un profondo silenzio. Ciascuno prendeva coscienza dell'evidenza di questa verità.

Il vecchio prof., allora, aggiunse: "Quali sono i grandi sassi nella vostra vita? La salute? La Famiglia? Gli amici? Realizzare i vostri sogni? Fare quello che vi piace? Imparare? Difendere una causa? Riposarsi? Dare ad ogni cosa il suo tempo? O... qualsiasi altra cosa? Quello che dovete imparare, è l'importanza di mettere i GROSSI SASSI in primo piano, nella vostra vita, se no rischierete di fallire! Se darete la precedenza alle quisquiglie (il granigliato, la sabbia) riempirete la vita di stupidaggini e non avrete abbastanza tempo da consacrare agli elementi importanti della vostra vita. Allora, non dimenticate di porvi la domanda: Quali sono le grosse pietre della mia vita? E in seguito, mettetele nel vaso!".

Con un gesto amicale della mano, il professore salutò il suo auditorio e abbandonò lentamente l'aula.

tempoessenzialitàessenzialeprogrammazioneprioritàsuperfluo

5.0/5 (4 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 10/11/2005

RACCONTO

12. Liberi davvero   1

Un ebreo salvò la vita del faraone che stava per essere morso da un serpente velenoso. Il faraone, grato, permise allo schiavo di esprimere un desiderio. Invece di chiedere libertà per se stesso o per i suoi parenti o doni materiali, l'ebreo fece una richiesta incomprensibile per il faraone: chiese che tutti i giovani ebrei avessero ogni giorno due ore libere per pregare, studiare, imparare.
«Un popolo che rivolge il suo pensiero al Signore - disse ai giovani - non sarà mai un popolo di schiavi, perché si può rendere schiavo il corpo, mai lo spirito!»

libertàpreghierarapporto con Dio

inviato da Antonella Longo, inserito il 29/07/2004

RACCONTO

13. Il messaggio del petalo di rosa

Baba Bedi [Guru Baba Nanak]

Il Maestro dei Maestri, il Grande Guru, traboccava di ricchezza interiore. E siccome la sua anima traboccava, suo scopo e suo desiderio era di riversare sugli altri l'abbondanza della sua saggezza, disperdendo le tenebre dell'ignoranza. Ma difficilmente qualcuno accetta di essere l'oggetto si cui si riversa uno straripamento. Anzitutto, perché tutti credono di essere già tanto colmi da averne d'avanzo; e poi, essere "straripati", ossia disturbati, non manca di suscitare un po' di sgomento.

Avvenne così che un giorno il Grande Guru si recò a visitare il luogo di ritiro dove parecchi monaci Sufi vivevano in grande concentrazione spirituale. L'arrivo del Maestro suscitò grande subbuglio.

"Misericordia", dicevano i monaci, "costui vorrà ancora farci imparare qualcosa? Abbiamo già il nostro da fare a non dimenticare quello che sappiamo. E poi, qui dentro siamo già in troppi. Ognuno vuol dire la sua e si finisce col non capirci niente. Facciamogli dunque comprendere, con qualche segno che non lo offenda, che il nostro convento è al completo, che non c'è posto per lui". Perciò il Capo dei Sufi gli fece portare una coppa ricolma di latte, volendo significargli: questo luogo è già sovraffollato di maestri spirituali, non c'è posto per te.

Quando la coppa gli venne presentata, il Grande Guru la osservò, poi sorrise, e, colto un petalo di rosa, lo depose a galleggiare sul latte.

Il messaggio voleva significare che come il petalo di rosa galleggiava sul latte senza farlo straripare dalla ciotola, così anche in quel luogo la sapienza del Maestro poteva trovar posto senza sconvolgere le coscienze.

Il messaggio fu compreso, e le porte del romitaggio vennero spalancate di fronte all'ospite sacro.

La saggezza è come l'orizzonte: più ci si avvicina ad esso, più retrocede (Inayat Khan).

saggezzaintelligenzaprofonditàsuperficialità

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inviato da Andrea Zamba, inserito il 24/11/2002

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14. Imparare ad amare   1

Rivista Pregare

Un uomo, che si sentiva orgoglioso del verde tappeto del suo giardino, un brutto giorno scoprì che il suo bel prato era infestato da una grande quantità di "denti di leone". Cercò con tutti i mezzi di liberarsene, ma non poté impedire che divenissero una vera piaga.

Alla fine si decise di scrivere al ministero dell'Agricoltura, riferendo tutti gli sforzi che aveva fatto, e concluse la lettera chiedendo: "Che cosa posso fare?".

Giunse la risposta: "Le suggeriamo d'imparare ad amarli".

Autentica piaga è per una persona non accettare gli avvenimenti, non amare tutto ciò che c'è nel suo giardino. Se non si può averla vinta con tanti "denti di leone" che esistono, è necessario apprendere una nuova tecnica: quella dell'amore. Imparare ad amare non è per nulla facile, poiché bisogna perdere, impiegare molto tempo per ascoltare gli altri: piante, animali, persone.

Il vivere in comunità, è come essere piantato in un giardino. In essa ci ogni specie di fiori, piante... Alcuni fioriscono più degli altri; alcuni in un tempo, altri più tardi. Ci sono addirittura piante che non fioriscono mai. Però tutte hanno una funzione, una missione.

I primi cristiani erano "un cuor solo ed un'anima sola, e nessuno riteneva niente come proprio, anzi tutto era di tutti" (Atti, 4,32). Si distinguevano da coloro che non erano cristiani per il solo fatto d'aver appreso ad amare e di crescere nell'amore. Dei primi cristiani affermava Diogneto:

"Amano tutti e da tutti sono perseguitati... Sono poveri, ma arricchiscono tutti. Sono privi d'ogni cosa, ma abbondano in tutto... Li caricano di vituperi, e loro li benedicono... Li si ingiuria e loro onorano. Si comportano bene e sono castigati come malfattori. Condannati a morte, si rallegrano come se fosse loro donata la vita".

comunitàamoreaccettazionetolleranza

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 24/10/2002

RACCONTO

15. Ascoltare   1

Anthony De Mello

Quando un uomo, il cui matrimonio era in crisi, cercò il suo consiglio, il maestro disse: «Devi imparare ad ascoltare tua moglie.»
L'uomo prese a cuore questo consiglio e tornò dopo un mese per dire che aveva imparato ad ascoltare ogni parola che la moglie dicesse.
Il maestro gli disse sorridendo: «Ora torna a casa e ascolta ogni parola che non dice.»

ascoltomatrimoniocoppiafamiglia

4.0/5 (3 voti)

inviato da Emilio Centomo, inserito il 22/05/2002

RACCONTO

16. La storia di Jerry   1

Jerry era il tipo di persona che si ama e si odia.

Era sempre di buon umore ed aveva sempre qualcosa di positivo da dire.

Quando qualcuno gli domandava come stava, rispondeva: "Se stessi meglio, scoppierei!".

Era un manager unico, con un gruppo di camerieri che lo seguivano ogni volta che prendeva la gestione di un nuovo ristorante. Il motivo per cui i camerieri lo seguivano era che Jerry aveva un grande atteggiamento positivo. Era un motivatore naturale, se un dipendente aveva la luna storta, Jerry era lì a spiegargli come guardare al lato positivo della situazione.

Trovavo il suo stile molto strano e quindi un giorno gli dissi "Adesso basta! Spiegami come fai ad essere sempre cosìpositivo, qualunque cosa succeda?".

"Oggi hai una scelta da fare: puoi decidere di essere di buon umore o di cattivo umore, e scelgo di essere di buon umore. Tutti i giorni mi capita qualcosa di spiacevole, posso fare la vittima oppure imparare qualcosa dai problemi, io scelgo di imparare. Ogni giorno qualcuno viene da me a lamentarsi, io posso scegliere di subire passivamente le sue lamentele o di trovare il lato positivo della cosa, beh, io scelgo sempre il lato positivo della vita".
"Si, vabhé, dissi io, "ma non è sempre cosi facile!".

"Sì invece," disse Jerry, "la vita è tutta fatta di scelte. A parte le necessità più o meno fisiologiche in ogni situazione c'è una scelta da fare.

Sei tu a scegliere come reagire in tutte le situazioni, a decidere come la gente può influire sul tuo umore.

Sei tu che scegli se essere di buon umore o di cattivo umore, e quindi in definitiva come vivere la tua vita".

Per molto tempo dopo quell'incontro, ripensai a quello che Jerry aveva detto, poi un giorno lasciai il business della ristorazione e mi dedicai ad un'altra attività in proprio; mi persi di vista con Jerry ma spesso ripensai a lui quando mi trovavo nella situazione di scegliere nella vita invece che subirla.

Diversi anni dopo, venni a sapere che Jerry aveva commesso un errore imperdonabile per un gestore di ristorante: aveva lasciato la porta posteriore del ristorante aperta una mattina, ed era stato attaccato da tre rapinatori armati; mentre cercava di aprire la cassaforte, le sue mani sudate e tremanti dalla paura non riuscivano a trovare la combinazione ed i rapinatori, presi dal panico, gli avevano sparato ferendolo gravemente. Fortunatamente Jerry era stato soccorso rapidamente e portato immediatamente al pronto soccorso.Dopo 18 ore di intervento chirurgico ed alcune settimane di osservazione, Jerry era stato dimesso dall'ospedale con frammenti di pallottole ancora nel suo corpo.

Incontrai Jerry circa sei mesi dopo l'incidente, quandi gli chiesi come andava mi disse: "Se stessi meglio, scoppierei. Vuoi dare un'occhiata alle cicatrici?". Declinai l'invito, ma gli chiesi che cosa gli era passato per la testa durante la terribile esperienza. "La prima cosa che pensai fu che avrei dovuto chiudere la porta posteriore del ristorante" mi disse Jerry, "poi, quando ero già stato colpito e mi trovavo per terra, mi ricordai che avevo due scelte: potevo scegliere di vivere o di morire".
"Ma non avevi paura. Non sei svenuto?".

Jerry continuò: "Gli infermieri furono bravissimi. Continuavano a dirmi che andava tutto bene. Ma fu quando mi portarono sulla barella in sala operatoria e vidi le espressioni sulle faccie dei dottori e degli assistenti, che mi spaventai veramente, potevo leggere nei loro occhi 'quest'uomo è già morto!'... dovevo assolutamente fare qualcosa".
"E cosa hai fatto?" gli domandai.

"C'era questa infermiera veramente grassa che continuava a farmi domande, e mi chiese se ero allergico a qualche cosa. 'Sì!, io risposi, a quel punto tutti dottori e le assistenti si fermarono ad aspettare che finissi la mia risposta... Io presi un respiro profondo e con tutte le mie forze gli gridai 'Sono allergico alle pallottole!'... Mentre ancora ridevano aggiunsi: 'Sto scegliendo di vivere. Operatemi come se fossi un vivo, non come fossi già morto'".

Jerry è sopravvissuto grazie alle capacità dei chirurghi, ma anche grazie al suo atteggiamento positivo.

Ho imparato da lui che tutti i giorni abbiamo la scelta di vivere pienamente.

Un attegiamento positivo, alla fine, vale più di tutto il resto.

buon umorepensare positivovitaottimismo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Barbara, inserito il 08/04/2002