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TESTO

21. Come Dio creò l'amico   2

Dio, nella sua estrema saggezza, osservando l'uomo, notò che oltre alla moglie, ai genitori e ai figli necessitava di qualcun altro per completare la sua felicità ed allora Egli decise di creare un tipo molto speciale. E per raggiungere lo scopo si propose di unire alcune buone qualità per formare questa persona molto speciale.
Egli unì la pazienza, la comprensione, l'affetto e l'amore che sono tipici della madre.
Adattò un po' di determinazione, di forza e di decisione estratti del padre.
E vedendo che ancora mancava qualcosa mescolò, con tutto quello, la purezza, la spontaneità, l'allegria, l'irriverenza e la sincerità dei bambini.
Per dare il tocco finale, egli aggiunse la pazienza e la moderazione dei nonni.
Da tutto questo emerse un qualcuno molto speciale, importante e fondamentale nella vita di tutti noi.
Da tutto quel miscuglio di buone qualità, da tutto ciò che è buono, creò l'Amico.

amiciziacreazione

4.5/5 (2 voti)

inviato da Giovanna M., inserito il 10/11/2011

TESTO

22. Dinnanzi all'altare arde una lampada

Beato Don Luigi Monza

Dinnanzi all'altare arde una lampada che annuncia la presenza reale del Cristo sotto le specie eucaristiche. Interroghiamola e diciamole: "Che cosa dobbiamo fare per piacere a Dio?".

La lampada ci risponde e ci dice: "Io ardo e ardendo do luce: fa' anche tu di essere un uomo di grande fede. Sia la tua fede come la mia luce: viva, intensa, efficace. Io nutro la mia fiamma con l'olio puro: anche tu devi nutrire la tua fede con l'olio purissimo delle buone opere. Guai a te se quest'olio venisse a mancare: tu saresti simile alle vergini stolte di cui parla il Vangelo".

La lampada continua e dice: "Io ardo e ardendo do calore; dà tu pure al Signore il calore dell'amor tuo, l'affetto più sincero, costante".

Dice ancora: "Io sto costantemente presso il Tabernacolo, ardo giorno e notte e questa mia costanza forma la mia caratteristica. Sii anche tu costante nella fede e nelle virtù. In questa risposta sta l'essenza della vita spirituale".

preghierafedetestimonianzafedeltàadorazione

inviato da Rita Guazzi, inserito il 08/01/2011

TESTO

23. I dieci comandamenti del bambino   5

p. Gianni Fanzolato

1° Non avrai altri bambini che noi oggi:
rispettaci, difendici, amaci: solo così saremo gli uomini del domani.

2° Non deturpare il nostro nome di bambini:
lasciaci giocare, sorridere e sognare; permettici di essere bambini.

3° Siamo noi bambini la festa della famiglia e del mondo,
perché siamo nati dal cuore stesso di Dio e siamo il futuro: santificaci col tuo amore.

4° Amando noi, onorerai Dio che è nostro Padre e Madre;
anche noi domani saremo Padre e Madre, se ci avrai trasmesso valori da vivere.

5° La vita è vita dal concepimento alla morte: dopo inizia la definitiva:
rispetta la nostra vita fin dal seno materno e continua a generarci, permettendo di nascere, vivere e cantare.

6° Non c'è niente al mondo di più bello, semplice e puro di un bambino;
difendi la nostra trasparenza col tuo affetto vero e non sporcarti della nostra innocenza.

7° Non rubarci la nostra spontaneità, il nostro sorriso, la nostra allegria con i tuoi idoli:
lasciaci essere bambini e non voler bruciare le tappe per noi: c'è tempo.

8° Non dire che ci vuoi bene finché ci saranno bambini soldati, minatori, schiavi del sesso e fonte di guadagni, piccoli lavoratori senza diritti e difesa: quante bugie su di noi.

9° Non desiderare di arricchirti, aver prestigio, potere e forza, magari calpestandoci, sfruttandoci, non trovando tempo da perdere con noi per giocare insieme: troppo in fretta diventeremo grandi.

10° Non desiderare l'ideale di noi, magari additandoci il figlio del vicino perché migliore: amaci come siamo, nel reale, perché così Dio ama anche te: solo così potremo cambiare insieme.

bambinicomandamentiinnocenzarispettoinfanziadieci comandamenti

inviato da Gianni Fanzolato, inserito il 08/01/2011

PREGHIERA

24. Apriti!   1

Pierfortunato Raimondo, Abbiate sale in voi stessi - Effatà, Ed. Cantalupa (TO), 2005

Ed oggi ancora, Signore,
pronunzia quella parola:
"Effatà, àpriti!"
di fronte a ciascuno di noi.
Apri le nostre orecchie
affinché non siamo sordi
agli appelli del nostro prossimo,
amico o traditore che sia,
e della tua voce nella coscienza,
piacevole o antipatica che sia.
Apri le nostre bocche
perché possa sgorgare sincera
la voce dell'affetto e della stima,
ferma e convinta,
quella che difende la giustizia e la pace.
Apri le nostre mani
affinché restino pulite
nella nostra professione,
leste e operative
nelle nostre attività,
capaci di stringere le mani di tutti,
indipendentemente
dal loro colore e calore.
Apri i nostri cuori
affinché vibrino all'unisono col tuo,
vivendo emozioni
che conducono a scelte concrete
e sentimenti che resistono
alla corsa del tempo e dei tempi.

battesimoimpegnodisponibilità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 03/09/2010

RACCONTO

25. Perché le persone gridano quando sono arrabbiate   3

Mahatma Gandhi

Un giorno un pensatore indiano fece la seguente domanda ai suoi discepoli:
"Perché le persone gridano quando sono arrabbiate?".
"Gridano perché perdono la calma", rispose uno di loro.
"Ma perché gridare, se la persona è vicina?", disse nuovamente il pensatore.
"Bene, gridiamo perché desideriamo che l'altra persona ci ascolti", replicò un altro discepolo.
E il maestro tornò a domandare: "Allora non è possibile parlargli a voce bassa?".
Varie altre risposte furono date ma nessuna convinse il pensatore.

Allora egli esclamò: "Voi sapete perché si grida contro un'altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che, quando due persone sono arrabbiate, i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono, tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l'uno con l'altro. D'altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente. E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano, solamente sussurrano. E, quando l'amore è più intenso, non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. E' questo che accade quando due persone che si amano si avvicinano!".

Infine il pensatore concluse dicendo: "Quando voi discuterete, non lasciate che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare di più, perché arriverà un giorno in cui la distanza sarà tanta che non incontreranno mai più la strada per tornare".



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4.5/5 (4 voti)

inviato da Massimo Fasanaro, inserito il 22/06/2009

TESTO

26. Se sapessi che è l'ultima volta   2

Vittorio Peri, Pregare è dire Amen

Se sapessi che è l'ultima volta
ti guarderei mentre ti addormenti,
ti rimboccherei le coperte più strettamente,
e ringrazierei il Signore per la tua vita preziosa.

Se sapessi che è l'ultima volta
ti accompagnerei fino alla porta quando esci;
ti darei un bacio e un abbraccio,
e ti chiamerei indietro per un altro ancora.

Se sapessi che è l'ultima volta
spegnerei il televisore per udire la tua voce,
per ricordarne il tono e l'accento.

Se sapessi che è l'ultima volta
che stiamo insieme, vorrei regalarti
ogni istante per renderti felice.

Se sapessi, o Signore,
che questo è l'ultimo mio giorno
distribuirei ogni mio avere
per presentarmi a te
ricco soltanto di amore.

riconoscenzagratitudineattenzioneamoreaffettomortesenso della vitavita

4.0/5 (2 voti)

inviato da Paola Ferrazzani, inserito il 17/06/2009

TESTO

27. L'educazione dei figli

Sette dialoghi con Ambrogio, Vescovo di Milano, IV secolo d.C.

L'educazione dei figli è impresa per adulti disposti a una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l'affetto necessario.

Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri.

Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna.

Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro: siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani con slancio, anche quando sembrerà che si dimentichino di voi.

Non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande non siate voi la zavorra che impedisce loro di volare.

Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è più insopportabile una vita vissuta per niente.

Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e che voi avete di loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio della passione, il gusto per le cose belle e l'arte, la forza anche di sorridere.

E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.

I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia in Dio e il gusto di vivere bene.

genitorifiglieducareeducazione

inviato da Daniela Filippino, inserito il 11/06/2009

TESTO

28. Il figlio prodigo

Pietro Crisologo, Sermoni

Il figlio prodigo giaceva a terra: quando prende coscienza della sua miseria, quando avverte di trovarsi in una perdizione senza rimedio, vedendosi così immerso nel fango della lussuria, esclama: «Voglio andarmene e ritornare da mio padre».

Di dove gli viene questa speranza, questa sicurezza, questa fiducia? Dal semplice fatto che si tratta di suo padre. Non sarà un estraneo a intercedere per me presso mio padre: il suo stesso affetto interverrà a commuoverlo per me nel più profondo del suo cuore.

Ed ecco che il padre, appena vede il figlio, si dimentica della colpa: preferisce essere padre, e perciò non si mostra come giudice, e trasforma immediatamente la sentenza in perdono. L'amore non riesce a vedere la colpa: per questo il padre redime con un bacio il peccato del figlio, lo chiude nel suo abbraccio.

conversioneritornopentimentoperdono

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 05/06/2009

TESTO

29. Mia madre

card. Joseph Mindszenty, Memorie

Un decennio prima della mia terza prigionia avevo scritto queste parole sull'amore materno: «Sarai dimenticato dai tuoi superiori dopo averli serviti; dai tuoi dipendenti, allorché essi non percepiranno più il tuo potere; i tuoi amici, quando verrai a trovarti in difficoltà... Solo tua madre ti attende davanti al portone della prigione. Nella profondità del carcere possiedi soltanto l'amore della madre. Solo lei scende con te laggiù. E se sarai precipitato ancor più in basso del carcere, nell'abisso del penitenziario, della casa dei condannati a morte, solo lei non avrà paura di varcare quella soglia...».

Quando scrivevo quelle parole non pensavo che la mia vecchia madre sarebbe stata l'unica stella nel cielo oscuro della mia prigionia e che lei sola mi avrebbe visitato e abbracciato durante gli otto anni di segregazione in carcere.

Chi è mia madre? Una donna di ottantacinque anni, madre di sei figli, che viveva nella sua casa di Mindszent circondata dal rispetto e dall'amore di quattordici nipoti e altrettanti pronipoti. Al tempo del mio arresto e quando io finii trascinato nel fango, ella aveva settantaquattro anni ed era rimasta vedova da due anni. Anche se proveniva da un ambiente semplice e paesano, si precipitò per aiutarmi e mi stette a fianco fino alla sua morte con intelligenza e con tatto. Fu capace di rintracciarmi nel mondo disumano delle prigioni comuniste. Prima d'allora non aveva mai varcato la soglia di un ministero. Ora invece abbordava i dirigenti del partito che erano giunti al potere in maniera illegale. Ciò fu per lei una croce pesante. Ma dovunque compariva, nei ministeri, in prigione, nel penitenziario, il suo atteggiamento testimoniava la sua forza d'animo.

Mia madre mi visitò ventidue volte durante la mia prigionia. Dei sette diversi posti in cui fui detenuto ella ne vide solo tre: l'ospedale della prigione, Püspökszentlàsló e Felső; Petény. Non potè vedere gli altri quattro.

Per compiere quei viaggi ella aveva coperto una distanza di dodicimila chilometri. E quando Dio la chiamò da questa vita terrena, suo figlio prigioniero non poté prender parte neppure alla sua sepoltura per ripagarla un po' di tante fatiche e di tanti sacrifici.

Era molto triste per l'imminente nuova collettivizzazione delle vigne, dei campi, dei prati e dei boschi della nostra famiglia. Quello che la faceva soffrire non erano in primo luogo le perdite materiali ma l'attaccamento al proprio pezzo di terra che aveva coltivato per tutta una vita. Ciò rappresentava la fine dell'indipendenza delle famiglie; l'educazione dei figli e la santificazione delle domeniche e dei giorni festivi ne avrebbero sofferto.

Il 5 febbraio 1960 ruppi le lenti degli occhiali e non fui in grado di sostituirle subito in quella clausura. Così mi limitai a recitare il rosario e a leggere il messale con l'aiuto di una lente. Come al solito, al memento dei vivi la ricordai, ma avrei già dovuto includerla nel memento dei morti. Verso le undici dello stesso giorno il segretario dell'ambasciata venne a trovarmi con in mano un telegramma. Non lo aveva ancora deposto sul tavolo che io già lo sapevo: mia madre era morta.

In quel giorno oscuro non toccai cibo e non aprii libro; la sua morte mi aveva sconvolto. Recitai la sua preghiera preferita, il rosario. Piansi la sua perdita e poi mi calmai. La gratitudine per averla avuta durante la vita doveva essere più grande del dolore per la sua dipartita verso la patria.

In quelle ore ripensai ai giorni passati a Ostia e alle lacrime versate su sua madre dall'Agostino ormai convertito al cristianesimo.

Durante la notte mia sorella notò un cambiamento e mandò subito a chiamare il parroco. Mia mamma sapeva che era venuta la sua ora. Nella sua mano teneva accesa la candela dei moribondi.

Negli ultimi quarti d'ora aveva pregato con devozione assieme ai famigliari e si era addormentata nell'eternità senza agonia.

Tutti gli anni mia madre soleva passare in preghiera la notte della vigilia di Pasqua al cimitero, in compagnia delle donne del villaggio sue amiche. Solo quando cominciava ad albeggiare ritornavano a casa per preparare i cibi pasquali per la benedizione. La fede nella risurrezione dei morti era profondamente radicata nel suo cuore. Per lei la risurrezione di Cristo e la risurrezione della carne erano due proposizioni di fede strettamente unite, conforme all'insegnamento dell'apostolo Paolo. Sapeva in chi aveva creduto e perciò non sarà delusa; questa è la mia ferma convinzione.

Quanto spesso ho pensato: "...Solo quando giacerà sotto terra capirò veramente il suo valore e la grazia inestimabile che ho avuto in lei". Oggi mi sento non solo povero ma anche profondamente in colpa di fronte a quella tomba, che non ho mai potuto visitare e che verosimilmente non vedrò mai.

Mia madre è stata una santa. In lei e attorno a lei non ho mai visto alcunché di disdicevole, ma solo cose buone e belle. Sono fermamente convinto che ella è felice nell'eternità e sospiro in questa valle di lacrime di poterla un giorno rivedere nella gioia.

affetto filialematernità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cristiano Ballan, inserito il 02/06/2009

PREGHIERA

30. Una verità al di là di tutto   2

Carlo Maria Martini

Donaci, Signore,
una vera, nuova e più approfondita
conoscenza di te.
Anche attraverso le parole
che non comprendiamo,
fa' che possiamo intuire con l'affetto del cuore
il mistero tuo che è al di là di ogni comprendere.
Fa' che l'esercizio di pazienza della mente,
il percorso spinoso dell'intelligenza
sia il segno di una verità
che non è raggiunta semplicemente
coi canoni della ragione umana,
ma è al di là di tutto
e, proprio per questo, è la luce senza confini,
mistero inaccessibile e insieme nutritivo
per l'esistenza dell'uomo,
per i suoi drammi e le sue apparenti assurdità.
Donaci di conoscere te, di conoscere noi stessi,
di conoscere le sofferenze dell'umanità,
di conoscere le difficoltà
nelle quali si dibattono molti cuori
e di ritornare a una sempre nuova
e più vera esperienza di te. Amen.

veritàconoscenza

1.0/5 (1 voto)

inviato da Cesarina, inserito il 16/03/2009

TESTO

31. Sulla morte   2

Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa

Non c'è nulla che possa sostituire l'assenza di una persona a noi cara.
Non c'è alcun tentativo da fare, bisogna semplicemente tenere duro e sopportare.
Ciò può sembrare a prima vista molto difficile, ma è al tempo stesso una grande consolazione, perché finché il vuoto resta aperto si rimane legati l'un l'altro per suo mezzo.
E' falso dire che Dio riempie il vuoto; Egli non lo riempie affatto, ma lo tiene espressamente aperto, aiutandoci in tal modo a conservare la nostra antica reciproca comunione, sia pure nel dolore.
Ma la gratitudine trasforma il tormento del ricordo in una gioia silenziosa.
I bei tempi passati si portano in sé non come una spina, ma come un dono prezioso.
Bisogna evitare di avvoltolarsi nei ricordi, di consegnarci ad essi; così come non si resta a contemplare di continuo un dono prezioso, ma lo si osserva in momenti particolari e per il resto lo si conserva come un tesoro nascosto di cui si ha la certezza.
Allora sì che dal passato emanano una gioia e una forza durevoli.

morteparadisovita eternadefuntimemoriaricordiaffetto

5.0/5 (2 voti)

inserito il 20/04/2008

RACCONTO

32. Quando le croci sono troppe

Giovanni Francile

Un uomo viaggiava, portando sulle spalle tante croci pesantissime. Era ansante, trafelato, oppresso e, passando un giorno davanti ad un crocifisso, se ne lamentò con il signore così:

"Ah, signore, io ho imparato nel catechismo che tu ci hai creato per conoscerti, amarti e servirti... Ma invece mi sembra di essere stato creato soltanto per portare le croci! Me ne hai date tante e così pesanti che io non ho più forza per portarle...".

Il Signore però gli disse: "ieni qui, figlio mio, posa queste croci per terra ed esaminiamole un poco... Ecco, questa è la croce più grossa e la più pesante; guarda cosa c' è scritto sopra...".
Quell'uomo guardò e lesse questa parola: sensualità.

"Lo vedi?", disse il Signore, "questa croce non te l'ho data io, ma te la sei fabbricata da solo. Hai avuto troppa smania di godere, sei andato in cerca di piaceri, di golosità, di divertimenti... E di conseguenza hai avuto malattie, povertà, rimorsi".

"Purtroppo è vero, soggiunse l'uomo, questa croce l'ho fabbricata io! E' giusto che io la porti!". Sollevò da terra quella croce e se la pose di nuovo sulle spalle.

Il Signore continuò: "Guarda quest' altra croce. C'è scritto sopra: ambizione. Anche questa l'hai fabbricata tu, non te l'ho data io. Hai avuto troppo desiderio di salire in alto, di occupare i primi posti, di stare al di sopra degli altri... E di conseguenza hai avuto odio, persecuzione, calunnie, disinganni".

"E' vero, è vero! Anche questa croce l'ho fabbricata io! E' giusto che io la porti!". Sollevò da terra quella seconda croce e se la mise sulle spalle.

Il Signore additò altre croci, e disse: "Leggi. Su questa è scritto gelosia, su quell'altra: avarizia, su quest'altra...".

"Ho capito, ho capito Signore, è troppo giusto quello che tu dici...".

E prima che il Signore avesse finito di parlare, il povero uomo aveva raccolto da terra tutte le sue croci e se le era poste sulle spalle.

Per ultima era rimasta per terra una crocetta piccola piccola e quando l'uomo la sollevò per porsela sulle spalle, esclamò:

"Oh! Come è piccola questa! E pesa poco!". Guardò quello che c'era scritto sopra e lesse queste parole: "La croce di Gesù".

Vivamente commosso, sollevò lo sguardo verso il Signore ed esclamò: "Quanto sei buono!". Poi baciò quella croce con grande affetto.

E il Signore gli disse: "Vedi, figlio mio, questa piccola croce te l'ho data io, ma te l'ho data con amore di padre; te l'ho data perché voglio farti acquistare merito con la pazienza; te l'ho data perché tu possa somigliare a me e starmi vicino per giungere al cielo, perché io l'ho detto: 'Chi vuole venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua...', ma ho detto anche: 'il mio giogo è soave e il mio peso è leggerò".

L'uomo delle croci riprese silenzioso il cammino della vita; fece ogni sforzo per correggersi dei suoi vizi e si diede con ogni premura a conoscere, amare e servire Dio.

Le croci più grosse e più pesanti caddero, una dopo l'altra dalle sue spalle e gli rimase soltanto quella di Gesù.

Questa se la tenne stretta al cuore fino all'ultimo giorno della sua vita, e quando arrivò al termine del viaggio, quella croce gli servì da chiave per aprire la porta del paradiso.

crocedifficoltàviziegoismoconversionecroci

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cosimo Di Lella, inserito il 15/11/2007

ESPERIENZA

33. Felice di vivere!   1

Angelo Comastri, Dio è Amore

Non molto tempo fa ho avuto un incontro indimenticabile. Erano le dieci di sera: avevo appena terminato la preghiera serale e la piazza del Santuario di Loreto si animava di voci, di saluti, di sorrisi e di "buona notte".

Mi accosto ad una culletta sostenuta dalle braccia robuste di un barelliere. Ma non vedo un bambino bensì una donna adulta: un piccolissimo corpo (58 centimetri!) con un volto splendidamente sorridente. Tendo la mano per salutare, ma l'ammalata con gentilezza mi risponde: «Padre non posso darle la mano, perché potrebbe fratturarmi le dita: io soffro di osteogenesi imperfetta e le mie ossa sono fragilissime. Voglia scusarmi». Non c'era nulla da scusare, evidentemente.

Rimasi affascinato dalla serenità e dalla dolcezza dell'ammalata e volevo sapere qualcosa di più della sua vita. Mi prevenne e mi disse: «Padre, sotto il cuscino della mia culletta c'è un piccolo diario. E' la mia storia! Se ha tempo, può leggerla». Presi i fogli e lessi il titolo: Felice di vivere! I miei occhi tornarono a guardare quel mistero di gioia crocifissa e domandai: «Perché sei felice di vivere? Puoi anticiparmi qualcosa di quello che hai scritto?». Ecco la risposta che consegno alla vostra meditazione.

L'ammalata mi disse: «Anticiparmi qualcosa di quello che hai scritto? Padre, lei vede le mie condizioni... ma la cosa più triste è la mia storia! Potrei intitolarla così: abbandono! Eppure sono felice, perché ho capito qual è la mia vocazione. Si, è la mia vocazione! Io, per un disegno d'amore del Signore, esisto per gridare a coloro che hanno la salute: "Non avete il diritto di tenerla per voi, la dovete donare a chi non ce l'ha, altrimenti la salute marcirà nell'egoismo e non vi darà la felicità!". Io esisto per gridare a coloro che si annoiano: "Le ore in cui voi vi annoiate... mancano a qualcuno che ha bisogno di affetto, di cure, di premure, di compagnia; se non regalerete quelle ore, esse marciranno e non vi daranno la felicità". Io esisto per gridare a coloro che vivono di notte e corrono da una discoteca all'altra: "Quelle notti, sappiatelo!, mancano, drammaticamente mancano a tanti ammalati, a tanti anziani, a tante persone sole che aspettano una mano che asciughi una lacrima: quelle lacrime mancano anche a voi, perché esse sono il seme della gioia vera! Se non cambierete vita non sarete mai felici!"».

Io guardavo l'ammalata, che parlava dal suo pulpito autorevole: il pulpito del dolore! Non osavo commentare, perché tutto era stupendamente e drammaticamente vero. L'ammalata aggiunse: «Padre, non è bella la mia vocazione?».

vocazionedoloreesistenzavitasenso della vitasofferenzacroce

inviato da Mario Varano, inserito il 20/08/2007

TESTO

34. Vittoria! Alleluia!   1

Vito Groppelli

C'era un Uomo che perdeva sangue nel giardino degli ulivi,
ma un traditore, baciandolo, rivelò l'amore
di cui quell'Uomo era capace.

C'era un uomo in silenzio davanti all'adultero Erode,
ma il silenzio del condannato sconfisse l'eloquenza del peccatore.

C'era un uomo sapiente davanti al debole Pilato,
ma fu invano che i flagellatori aggredirono la verità.

C'era un Uomo di bene che portava una croce
tra le grida di quelli del sinedrio e le lacrime delle pie donne,
ma l'affetto della madre rese più leggero il suo cammino.

C'era un uomo che moriva sulla croce, ma il suo volto pieno di luce,
fu risposta d'amore alla crudeltà dei suoi boia.

Si udì un grido di dolore uscire dal petto ferito:
«Padre, perdona loro».
La voce si perse nel vento,
ma spaccò il velo del tempio rivelando l'unità nell'amore.

Ci furono segni di fallimento nell'ultimo sospiro del crocefisso,
ma un grido di fede esplose dal petto del centurione romano.

Ci furono tenebre che dominavano la terra,
mentre il buon ladrone entrava nella vera luce.

Ci fu un corpo inerte fra le braccia di una donna piena di vita,
prima che un sepolcro prestato accogliesse il redentore dell'umanità.

All'improvviso dal sepolcro sbocciò la vita,
ed il risuscitato riempì di festa la terra redenta.
La notte fuggì spaventata facendo sorgere l'eterna aurora.

C'erano apostoli tremanti, quando il Cristo apparve,
ma divennero intrepidi eroi dopo la sua ascensione.
Ci fu un tempo di paura a metter in fuga gli amici,
ma lo Spirito di Cristo vinse per sempre la barriera del timore.

La notte tragica cedette così il posto alla risurrezione.
È la storia di un condannato che era giudice dei vivi e speranza dei morti.

C'era una volta un unico Cristo che predicava la Buona Novella,
ma Egli si moltiplicò in ognuno di noi,
e fece di ogni giorno della Chiesa una nuova Pentecoste.

risurrezionerisortopasqua

3.7/5 (3 voti)

inviato da Alessandro Bianco, inserito il 13/08/2007

PREGHIERA

35. A te Maria

S. Bernardo di Chiaravalle

A te, Maria, fonte della vita, si accosta la mia anima assetata.
A te, tesoro di misericordia, ricorre con fiducia la mia miseria.
Come sei vicina, anzi intima al Signore! Egli abita in te e tu in lui.
Nella tua luce, posso contemplare la luce di Gesù, sole di giustizia.
Santa Madre di Dio, io confido nel tuo tenerissimo e purissimo affetto.
Sii per me mediatrice di grazia presso Gesù, nostro salvatore.
Egli ti ha amata sopra tutte le creature, e ti ha rivestito di gloria e di bellezza.
Vieni in aiuto a me che sono povero e fammi attingere alla tua anfora traboccante di grazia.

MariaMadonna

inviato da Qumran2, inserito il 24/05/2007

TESTO

36. L'amore può guarire

Paulo Coelho

Ho letto sul giornale che un bambino, a Brasilia, è stato brutalmente picchiato dai genitori. Per questo motivo ha perso la capacità di muoversi e di parlare.

Ricoverato in ospedale, è stato curato da una infermiera che ogni giorno gli diceva: «Io ti amo». Anche se i medici garantivano che non poteva udirla e che i suoi sforzi erano inutili, l'infermiera continuava a ripetergli: «Io ti amo, non dimenticarlo». Tre settimane dopo, il bambino aveva riacquistato la capacità motoria. Quattro settimane dopo, tornava a parlare e a sorridere.

L'infermiera non ha mai rilasciato interviste e il giornale non pubblicava il suo nome, ma qui ne rimane l'annotazione, affinché non dimentichiamo mai che l'amore guarisce.

amoreguarigioneaffetto

inviato da Qumran2, inserito il 06/10/2006

RACCONTO

37. Il miracolo di Natale   1

Suor Angela Benedetta, clarissa

Nella valle incantata, in una fattoria felice, viveva un bue di nome Barny. Grande e grosso, con due occhi buoni e sinceri, lavorava tutto il giorno spingendo l'aratro. Questo bue era l'amico di tutta la fattoria: i contadini con i quali lavorava gli volevano un gran bene e i bambini non si stancavano mai di giocare con lui. Nonostante fosse così grande e grosso non faceva paura a nessuno, perché era l'animale più buono che potesse esserci. Alla sera quando tramontava il sole e si stendevano le prime ombre, tutti gli animali si radunavano intorno a lui per sentirlo narrare le sue tante storie. Appena finiva di raccontarne una, subito gli chiedevano: "Dai, dai, raccontane un'altra"; lui continuava fino al crepuscolo e allo spuntare delle prime stelle, poi diceva: "Ora andiamo a dormire, domani ci aspetta una lunga giornata di lavoro". Allora tutti gli animali andavano a dormire e nella fattoria scendeva un grande silenzio.

Il bue Barny era simpatico a tutti: alle pecore e alle oche, alle anatre e agli agnellini, alle mucche e ai maialini, alle galline e al vecchio cane da guardia, al padrone della fattoria e ai suoi bambini, ma il suo migliore amico era il piccolo asinello Tim con cui condivideva la stalla, la paglia e il duro lavoro. Quando arrivava la notte e si coricavano vicini, si guardavano a lungo senza dirsi nulla e poi si addormentavano, stanchi ma felici.

Il bue aveva un piccolo segreto nel cuore che conosceva solo l'asinello: gli piaceva danzare. Un giorno l'asinello gli disse: "Perché non ci provi, tanto non ci vede nessuno: ti prometto che questo segreto rimarrà in questa stalla". Tra veri amici anche i desideri più assurdi si possono realizzare e da quel giorno il bue incominciò ad improvvisare dei semplici balletti. L'asinello si divertiva tantissimo. Poi toccò a Tim realizzare il suo desiderio: a lui piaceva moltissimo cantare. E siccome tra amici anche i desideri più assurdi si possono realizzare, l'asinello, tutte le domeniche, inventava delle allegre canzoncine che mai nessuno aveva ascoltato all'infuori dell'amico bue.

Quei momenti, quegli scherzi, quelle risate erano tutta la vita e il divertimento dei due amici, che sapevano rendere grazie a Dio per ogni nuovo giorno loro donato. Appena sorgeva l'alba i due amici iniziavano il loro lavoro: il bue spingeva l'aratro e l'asinello trasportava la legna. Fino a sera non si vedevano più, ma non c'era istante della giornata in cui non sentivano l'uno la presenza e il sostegno dell'altro.

Tim era tutto per il bue Barny: fin dal giorno del suo arrivo nella fattoria gli era sempre stato accanto con il suo affetto e con la sua amicizia. Gli aveva insegnato le prime cose e si era preso cura di lui come un fratello, gli aveva fatto conoscere tutti gli animali della fattoria e l'aveva incoraggiato nei momenti di fatica. Anche Barny, sin dall'inizio, aveva ricambiato l'affetto per l'asino Tim e con il passare degli anni erano divenuti sempre più uniti, quasi una cosa sola. Quante difficoltà, quante sofferenze, ma il calore della loro amicizia aveva reso tutto più leggero, più bello.

Una sera, mentre tutti gli animali erano riuniti intorno al bue per ascoltare le sue storie, l'anatra chiese al bue: "Perché non ci racconti la tua storia, la storia della tua famiglia?". Il bue per un attimo esitò, ma poi iniziò il suo racconto.

"In verità non ho molto da dire", disse il bue, inizialmente un po' imbarazzato dall'argomento. "Nella fattoria dove sono nato eravamo tanti vitellini: gli altri sono stati scelti per diventare dei tori e io invece per essere un bue e fare lavori pesanti. Poiché nella mia fattoria non serviva un trasportatore di aratro sono stato venduto e sono finito qui. Io sono molto contento, sapete, non mi lamento, ma ringrazio ogni giorno il buon Dio di essere utile per il duro lavoro della terra e di alleviare il peso dei contadini. Ma i miei fratelli, ahimé, si vergognano di avere un fratello bue, loro, così famosi in tutto il mondo: partecipano alle più importanti corride, gareggiano con i toreri più famosi, figurano su tutti i quotidiani e per questo mi disprezzano. Ma io non li invidio affatto, io non vorrei essere come loro: non fanno altro che fomentare la violenza e l'odio delle persone che assistono alle loro gare, nelle quali, pensate un po', anche morire fa parte dello spettacolo".

Il bue concluse così il suo racconto. Gli animali erano ammutoliti e nessuno osava più domandare nulla. L'asinello prese la parola rompendo il grande silenzio che aveva seguito il racconto del bue e disse: "Anch'io ho dei cugini molto famosi: sono cavalli da corsa. Partecipano alle gare e la gente scommette fior di quattrini sulle loro vittorie. Si vergognano di avere un lontano parente asino e si vantano di avere avuto antenati che hanno portato sulla loro groppa i più coraggiosi cavalieri partecipando alle più cruenti guerre. Sì, io sono un asino da soma e perciò disprezzato, ma non ho mai fatto guerra a nessuno". "Bravo! Giusto!", incominciarono a commentare gli animali, infervorati dal racconto dell'asinello.

Ormai era notte inoltrata quando gli animali della fattoria sciolsero la seduta. Incominciava a far freddo poiché l'autunno stava per fini e l'inverno era alle porte.

Il giorno successivo iniziò con un gran trambusto nella fattoria. Alle prime luci dell'alba era infatti giunto nella valle incantata un gran numero di persone. C'erano il parroco del paese, le autorità e personalità molto importanti. "Chissà chi cercano", iniziarono a chiedersi curiosi gli animali.

Ben presto tutti iniziarono a fare castelli in aria. "Sicuramente cercano me - disse la mucca con presunzione - avranno bisogno del mio latte". "No! - ribatté l'anatra - è me che cercano: avranno bisogno della mia carne pregiata per un pranzo succulento". "No! - interruppe il maiale - il Natale si avvicina e certamente staranno cercando me per il cenone con il gustoso cotechino". "Siete tutti in errore - dissero le galline - certamente è delle nostre uova che avranno bisogno".

Barny e Tim ascoltarono un po' divertiti le dispute dei loro amici, poi si avviarono ad iniziare il loro lavoro, alquanto indifferenti alla questione: di sicuro non era loro due che cercavano. Mentre camminavano, all'improvviso si sentirono chiamare. "Barny, Tim venite qui - gridò il padrone della fattoria - vi stanno cercando". I due amici non credevano alle loro orecchie. Tim avanzò un po' timoroso e Barny lo seguì, restando leggermente indietro. Quando giunsero davanti a tutta quella folla di persone, l'enigma fu presto risolto. "Stiamo preparando per la prima volta un presepe vivente nel nostro paese", disse il parroco sorridendo ai due buffi amici. "E' un evento importante - continuò il sindaco - verrà la gente anche dai paesi vicini per poter rivivere dal vero la nascita del nostro Salvatore". Barny e Tim guardavano i due interlocutori un po' stupiti: cosa c'entravano loro in tutto questo discorso? "Voi saprete che il Bimbo divino fu scaldato nella gelida notte da un bue e un asinello - disse il parroco, concludendo il discorso - abbiamo bisogno di voi per preparare la grotta di Betlemme. Accettate il nostro invito?". "Noi?" disse Tim, talmente stupito da non riuscire quasi a reggersi in piedi, "Accettiamo con gioia immensa - disse Barny - è un dono senza misura poter scaldare Gesù Bambino".

Così nella fattoria iniziarono i preparativi per il grande evento. Tutti gli animali si sentivano onorati della parte assegnata a Tim e Barny e per questo venne loro l'idea di formare una piccola banda musicale per accompagnare il bue e l'asinello in paese la notte di Natale. Le oche suonavano la tromba, le galline i tamburi, i maiali la grancassa, le pecore i piatti, le mucche il trombone e il grosso cane da guardia era nientepopodimeno che il direttore d'orchestra. Intanto anche i bambini iniziarono ad ornare la fattoria con gli addobbi natalizi e tutto si colorò di attesa e di festa, Non c'era sera in cui, dopo il lavoro, gli animali non si riunissero per suonare i brani natalizi, preparati ed eseguiti dalla loro banda, mentre il bue e l'asinello provavano la loro parte nell'immaginaria grotta di Betlemme.

Passarono i giorni e presto giunse il momento tanto atteso: la vigilia di Natale. Gli animali non stavano più nella pelle dalla gioia. Poche ore prima della mezzanotte tutti gli amici si predisposero per scendere in paese suonando. Al cenno del cane da guardia la banda attaccò: prima le oche intonarono con le trombette le dolci melodie, accompagnate dai tromboni; si unirono ad essi i piatti e i tamburi che intervallavano la musica con dei bei ritmi. Ultimi seguivano la banda Tim e Barny, gli ospiti d'onore. E così, passo dopo passo, la processione arrivò in paese. Gli abitanti, usciti dalle case per attendere la nascita di Gesù, non credevano ai loro occhi: mai si era visto uno spettacolo così bello. Finito di suonare, gli animali fecero venire avanti Tim e Barny che presero posto nella grotta.

Eccoli dunque pronti per il fatidico momento. Allo scoccare della mezzanotte, iniziarono a suonare le campane: Gesù era nato. Mentre tutti cantavano "Gloria a Dio su nel cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà", il sacerdote pose il bimbo di gesso nella grotta e i due amici commossi si chinarono per scaldarlo con il loro fiato, come era stato loro detto. Ma all'improvviso, il piccolo bimbo di gesso si animò, aprì gli occhi e guardando il bue e l'asinello disse: "Non è il calore del vostro fiato a scaldarmi in questa gelida notte, ma l'amore che regna tra voi, l'amore della vostra amicizia. Tutte le volte che continuerete a volervi bene, così come avete sempre fatto, io sarò tra voi, come in questa notte".

Questione di pochi attimi e il bimbo ritornò immobile, di gesso. La funzione finì e Barny e Tim ritornarono nella loro fattoria.

Era stato un sogno, uno scherzo della loro fantasia, o davvero un miracolo di Gesù Bambino? E chi lo sa! I due amici non raccontarono mai a nessuno l'episodio, che tennero conservato nel loro cuore fino alla morte. Ma nei loro occhi, da quella notte, ci fu una luce nuova che non passò inosservata agli amici della fattoria: la certezza che quel loro piccolo amore e quella loro semplice amicizia, era qualcosa di grande agli occhi di Dio.

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inviato da Marcello, inserito il 23/05/2006

TESTO

38. L'apostolato dei laici   1

Charles de Foucauld

E' certo che accanto ai preti ci vogliono delle Priscilla e degli Aquila che vedano quello che il prete non vede, arrivino dove il prete non può arrivare, vadano da chi lo evita, evangelizzino, con un contatto benefico, una bontà che si riversi su tutti, un affetto sempre pronto a donarsi, un buon esempio che attiri quanti girano le spalle al prete e gli sono ostili. Essere apostoli con quali mezzi? Con quelli che Dio mette a sua disposizione. (...) I laici devono essere apostoli con tutti coloro che possono raggiungere: i vicini e gli amici anzitutto, ma non soltanto loro, perché la carità non ha confini, abbraccia tutti quelli che abbraccia il cuore di Gesù.

Con quali mezzi? Con i migliori secondo quelli ai quali si rivolgono: con tutti quelli con cui sono in rapporto, senza eccezione, con la bontà, la tenerezza, l'affetto fraterno, l'esempio delle virtù, con l'umiltà e la dolcezza che sempre attraggono e sono così cristiane; con alcuni senza mai dir loro una parola su Dio e la religione, pazientando come pazienta Dio, essendo buoni com'è buono Dio, mostrandosi loro fratelli e pregando; con altri, parlando di Dio nella misura in cui sono in grado di accettarlo e, appena hanno in mente di ricercare la verità con lo studio della religione, mettendoli in contatto con un prete scelto molto bene e capace di far loro del bene... soprattutto, bisogna vedere in ogni essere umano un fratello - "Voi siete tutti fratelli, voi avete un solo padre che è nei cieli".

laicimissionarietàapostolatopreti

inviato da Anna, inserito il 01/05/2006

ESPERIENZA

39. Marocchino

Mi sto dirigendo verso l'ospedale di Borgomanero, provo a parcheggiare l'auto dove non parcheggio di solito. Appena sceso, mi si fa incontro un marocchino sulla cinquantina molto cordiale e per nulla insistente, che mi richiede del farmaco antinfiammatorio per un insistente mal di schiena che lo affligge da tempo. Con me non ne ho e rispondo, forse anche per acquietarmi la coscienza, che lo avrei cercato nei reparti verso cui mi stavo dirigendo all'interno dell'ospedale.

Terminata la mia visita al reparto oncologico, mi appresto a tornare verso l'auto. Naturalmente mi ero scordato di quella richiesta fattami in precedenza e quindi il farmaco non era in mio possesso.

Non so al suo apparire cosa dire. Mi viene spontaneo, era lunedì, garantirgli un mio nuovo passaggio da quelle parti il mercoledì o il giovedì seguenti, ma dovevo ripassarci appositamente e quindi non mi era per nulla "comodo". Decisi, a tal punto, di tornare solo quando si fosse presentata l'occasione buona, magari anche dopo quindici giorni.

Lungo il viaggio di ritorno a casa, mi sovvenne alla memoria una frase, letta e meditata, nella quale, si diceva che S. Chiara, "contava" gli atti di amore compiuti in un giorno. Inoltre mi ricordavo come sia estremamente importante rispettare la parola data, sempre.

E allora, chi era per me in quel dato momento quel marocchino se non Gesù in persona affetto da mal di schiena che chiedeva a "me" quella data medicina, per di più difficile da reperire in quanto distribuita da un'azienda poco presente sul territorio nazionale?

Non so come fare, decido di passare comunque il mercoledì seguente anche se devo allungare la strada. Ma la pomata di quella data marca...?

Il giorno seguente sono all'ospedale di Busto Arsizio. Dopo il mio solito giro mi dirigo all'ora di pranzo verso casa anche per costatare le condizioni di mia moglie. Dirigendomi verso l'auto, passo sotto i portici ove è sito il bar presso il quale i colleghi si fermano per una spuntino. Passo vicino ad un tavolino.Mi arresto di colpo, mi volto e... trovo proprio quel collega di quella data ditta che produce la pomata che mi serve.Faccio presente che quel collega in un anno lo vedrò si e no sette, otto volte. Mi faccio consegnare i campioni di antinfiammatorio, pronto per correre il giorno seguente a Borgomanero. Arrivato intravedo il marocchino, abbasso il finestrino, consegno quanto dovuto ricevendo un grande sorriso ed un "grazie amico". Con rinnovata gioia nel cuore riprendo il mio "solito" giro.

coerenzasolidarietàcarità

inviato da Don Ambrogio Villa, inserito il 05/02/2006

TESTO

40. Un decalogo per il papà   4

Bruno Ferrero, Bollettino Salesiano, marzo 2005

1°. Il primo dovere di un padre verso i suoi figli è amare la madre. La famiglia è un sistema che si regge sull'amore. Non quello presupposto, ma quello reale, effettivo. Senza amore è impossibile sostenere a lungo le sollecitazioni della vita familiare. Non si può fare i genitori "per dovere". E l'educazione è sempre un "gioco di squadra". Nella coppia, come con i figli che crescono, un accordo profondo, un'intima unione danno piacere e promuovono la crescita, perché rappresentano una base sicura. Un papà può proteggere la mamma dandole in "cambio", il tempo di riprendersi, di riposare e ritrovare un po' di spazio per sé.

2°. Il padre deve soprattutto esserci. Una presenza che significa "voi siete il primo interesse della mia vita". Affermano le statistiche che, in media, un papà trascorre meno di cinque minuti al giorno in modo autenticamente educativo con i propri figli. Esistono ricerche che hanno riscontrato un nesso tra l'assenza del padre e lo scarso profitto scolastico, il basso quoziente di intelligenza, la delinquenza e l'aggressività. Non è questione di tempo, ma di effettiva comunicazione. Esserci, per un papà vuol dire parlare con i figli, discorrere del lavoro e dei problemi, farli partecipare il più possibile alla sua vita. E' anche imparare a notare tutti quei piccoli e grandi segnali che i ragazzi inviano continuamente.

3°. Un padre è un modello, che lo voglia o no. Oggi la figura del padre ha un enorme importanza come appoggio e guida del figlio. In primo luogo come esempio di comportamenti, come stimolo a scegliere determinate condotte in accordo con i principi di correttezza e civiltà. In breve, come modello di onestà, di lealtà e di benevolenza. Anche se non lo dimostrano, anche se persino lo negano, i ragazzi badano molto di più a ciò che il padre fa', alle ragioni per cui lo fa. La dimostrazione di ciò che chiamiamo "coscienza" ha un notevole peso quando venga fornita dalla figura paterna.

4°. Un padre dà sicurezza. Il papà è il custode. Tutti in famiglia si aspettano protezione dal papà. Un papà protegge anche imponendo delle regole e dei limiti di spazio e di tempo, dicendo ogni tanto "no", che è il modo migliore per comunicare: "ho cura di te".

5°. Un padre incoraggia e dà forza. Il papà dimostra il suo amore con la stima, il rispetto, l'ascolto, l'accettazione. Ha la vera tenerezza di chi dice: "Qualunque cosa capiti, sono qui per te!". Di qui nasce nei figli quell'atteggiamento vitale che è la fiducia in se stessi. Un papà è sempre pronto ad aiutare i figli, a compensare i punti deboli.

6°. Un padre ricorda e racconta. Paternità è essere l'isola accogliente per i "naufraghi della giornata". E' fare di qualche momento particolare, la cena per esempio, un punto d'incontro per la famiglia, dove si possa conversare in un clima sereno. Un buon papà sa creare la magia dei ricordi, attraverso i piccoli rituali dell'affetto. Nel passato il padre era il portatore dei "valori", e per trasmettere i valori ai figli basta imporli. Ora bisogna dimostrarli. E la vita moderna ci impedisce di farlo. Come si fa a dimostrare qualcosa ai figli, quando non si ha neppure il tempo di parlare con loro, di stare insieme tranquillamente, di scambiare idee, progetti, opinioni, di palesare speranze, gioie o delusioni?

7°. Un padre insegna a risolvere i problemi. Un papà è il miglior passaporto per il mondo " di fuori". Il punto sul quale influisce fortemente il padre è la capacità di dominio della realtà, l'attitudine ad affrontare e controllare il mondo in cui si vive. Elemento anche questo che contribuisce non poco alla strutturazione della personalità del figlio. Il papà è la persona che fornisce ai figli la mappa della vita.

8°. Un padre perdona. Il perdono del papà è la qualità più grande, più attesa, più sentita da un figlio. Un giovane rinchiuso in un carcere minorile confida: "Mio padre con me è sempre stato freddo di amore e di comprensione. Quand'ero piccolo mi voleva un gran bene; ci fu un giorno che commisi uno sbaglio; da allora non ebbe più il coraggio di avvicinarmi e di baciarmi come faceva prima. L'amore che nutriva per me scomparve: ero sui tredici anni... Mi ha tolto l'affetto proprio quando ne avevo estremamente bisogno. Non avevo uno a cui confidare le mie pene. La colpa è anche sua se sono finito così in basso. Se fossi stato al suo posto, mi sarei comportato diversamente. Non avrei abbandonato mio figlio nel momento più delicato della sua vita. Lo avrei incoraggiato a ritornare sulla retta via con la comprensione di un vero padre. A me è mancato tutto questo".

9°. Il padre è sempre il padre. Anche se vive lontano. Ogni figlio ha il diritto di avere il suo papà. Essere trascurati, trascurati o abbandonati dal proprio padre è una ferita che non si rimargina mai.

10°. Un padre è immagine di Dio. Essere padre è una vocazione, non solo una scelta personale. Tutte le ricerche psicologiche dicono che i bambini si fanno l'immagine di Dio sul modello del loro papà. La preghiera che Gesù ci ha insegnato è il Padre Nostro. Una mamma che prega con i propri figli è una cosa bella, ma quasi normale. Un papà che prega con i propri figli lascerà in loro un'impronta indelebile.

papàpadregenitorifamigliafiglieducazioneeducare

inviato da Gianni Andrea Granzotto, inserito il 29/09/2005

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