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TESTO
Oggi, amici miei, vi dico: anche se dobbiamo affrontare le difficoltà di oggi e di domani, io continuo ad avere un sogno.
È un sogno che ha radici profonde nel sogno americano.
Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali.
Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternità.
Ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, dove si patisce il caldo afoso dell'ingiustizia, il caldo afoso dell'oppressione, si trasformerà in un'oasi di libertà e di giustizia.
Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l'essenza della loro personalità.
Oggi ho un sogno.
Ho un sogno, che un giorno, laggiù nell'Alabama, dove i razzisti sono più che mai accaniti, dove il governatore non parla d'altro che di potere di compromesso interlocutorio e di nullification delle leggi federali, un giorno, proprio là nell'Alabama, i bambini neri e le bambine nere potranno prendere per mano bambini bianchi e bambine bianche, come fratelli e sorelle.
Oggi ho un sogno.
Ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà innalzata, ogni monte e ogni collina saranno abbassati, i luoghi scoscesi diventeranno piani, e i luoghi tortuosi diventeranno diritti, e la gloria del Signore sarà rivelata, e tutte le creature la vedranno insieme.
pacegiustiziadiscriminazionemulticulturalitàrazzismointegrazione
inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002
PREGHIERA
1362. E' Natale, Signore, o già subito Pasqua? 1
E' Natale, Signore, o già subito Pasqua?
Il legno del presepe è duro, come legno di croce.
Il freddo ti punge, quasi corona di spine.
L'odio dei potenti ti spia e ti teme.
...quanti segni di morte, Signore in questa tua nascita,
comincia così il tuo cammino tra noi, la tua ostinata decisione
di essere Dio, non di sembrarlo.
Grazie, Signore, per questa ostinazione,
per questo sparire, per questo ritirarti
che schiude un libero spazio
per la mia libera decisione di amarti.
Dio che ti nascondi, Dio che non sembri Dio,
Dio degli stracci e delle piaghe,
Dio dei pesi e delle infamie,
io ti amo.
Non so come dirtelo, ho paura di dirtelo
perché talvolta mi spavento e ritiro la parola;
eppure sento che devo dirtelo:
io ti amo!
In questa possibilità di amarti che la tua povertà mi schiude
divento veramente uomo,
scopro di essere uomo, non di sembrarlo.
Il tuo Natale è il mio Natale.
Nella gioia di questo nascere,
nello stupore di poterti amare,
io accetto, io voglio, io chiedo che anche per me,
Signore,
sia subito Pasqua.
inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002
PREGHIERA
1363. Signore insegnami a parlare 2
Signore, insegnami a non parlare
come un bronzo risonante
o un cembalo squillante,
ma con amore.
Rendimi capace di comprendere
e dammi la fede che muove le montagne,
ma con l'amore.
Insegnami quell'amore che è sempre paziente
e sempre gentile;
mai geloso, presuntuoso, egoista o permaloso;
l'amore che prova gioia nella verità,
sempre pronto a perdonare,
a credere, a sperare e a sopportare.
Infine, quando tutte le cose finite
si dissolveranno
e tutto sarà chiaro,
che io possa essere stato il debole ma costante
riflesso del tuo amore perfetto.
inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002
RACCONTO
C'era una volta un giovane ramo di un grande albero. Era nato in primavera, tra il tepore dell'aria e il canto degli uccelli. In mezzo all'aria, alle lunghe giornate estive, al sole caldo, alle notti frizzanti, trascorse i suoi primi mesi di vita. Era felice: aveva foglie bellissime, e, poi, erano sopraggiunti fiori colorati ad adornano e, dopo ancora, grandi frutti succosi di cui tutti gli uccelli del cielo potevano nutrirsi.
Ma un giorno cominciò a sentirsi stanco: era settembre... I frutti si staccarono, le foglie cominciarono a cambiare colore divenivano sempre più pallide... Addirittura, di tanto in tanto il vento se ne portava via qualcuna. Venne la pioggia e poi l'aria fredda, e il ramo si sentiva sempre peggio: non capiva cosa stesse succedendo. In pochi giorni e in poche notti si trovò spoglio, infreddolito, completamente solo.
Rimase così qualche tempo fin quando non capì che non poteva far altro che mettersi a cercare i suoi fiori, le sue foglie, i suoi frutti per poter di nuovo stare insieme a loro. "Devo darmi da fare", disse risoluto tra sé e sé.
Cominciò allora, a chiedere aiuto a tutti i suoi amici. Si rivolse dapprima al Mattino: "Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le mie foglie, sai dove le posso trovare?". Il Mattino rispose "Ci sono alberi che ne hanno tante, prova a chiedere a loro".
Si rivolse a quegli alberi: "Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le mie foglie, sapete dirmi dove le posso trovare?". Gli alberi risposero: "Noi le abbiamo sempre avute, prova a chiedere agli alberi uguali a te". Si rivolse ai rami spogli come lui. "Abbiamo tanto freddo anche noi, non sappiamo cosa dirti...", gli risposero.
Queste parole lo fecero sentire meno solo. Si disse che, se avesse ritrovato le foglie, sarebbe subito corso dai suoi simili a rivelare il luogo in cui si trovavano. Continuò la sua ricerca e chiese al Vento. "Io le foglie le porto solo via è la pioggia che le fa crescere", disse il Vento a gran voce. Si rivolse alla Pioggia. "Le farò crescere a suo tempo", gli disse la pioggia tintinnando. Si rivolse allora al Tempo. "Io so tante cose", gli disse con voce profonda. "Il Tempo aggiusta tutto, non ti preoccupare occorrono tanti giorni e tante notti".
Si rivolse alla Notte, ma la Notte tacque e lo invitò a riposare. Si sentiva infatti molto stanco.
Mentre stava per addormentarsi uno gnomo passò di là. Al vedere quel ramo così spoglio e infreddolito, dal freddo e dalle intemperie si fermò e un po' preoccupato, gli chiese cosa stesse succedendo. Il ramo gli raccontò tutta la sua storia. Lo gnomo stette con lui, si fermò nel suo silenzio, lo ascoltò, sentì il suo dolore. Allora il ramo parlò ancora e disse: "Mi è sembrato di chiudere gli occhi e dopo averli riaperti non ho più trovato le mie foglie, non sono stato più capace di vederle".
Lo gnomo pensò a lungo, poi capì: si tolse gli occhiali e li posò sul naso del ramo, spiegandogli che erano occhiali magici che servivano per guardare dentro di sè. Il ramo, allora, apri bene gli occhi e... meraviglia...
Vide che dentro di sé qualcosa si muoveva, sentiva un rumore, vedeva qualcosa circolare provò ad ascoltare, guardò a fondo: era linfa, linfa viva che si muoveva in lui.
Incredulo disse allo gnomo ciò che vedeva. Lo gnomo gli spiegò che le foglie, i fiori, e i frutti, nascono grazie alla linfa oltre che al caldo sole, all'aria di primavera e alla pioggia.
"Se hai linfa dentro di te hai tutto", gli disse, "Non occorre chiedere più nulla a nessuno ma insieme all'acqua, alla luce, all'aria, agli altri rami, le foglie rinasceranno: le hai già dentro".
Il ramo, immediatamente si sentì più forte, rinvigorì: aveva la linfa in sé, non doveva più chiedere consigli, gli bastava lasciar vivere la linfa' che circolava in lui.
La linfa da cui un giorno, sarebbero rinate le amiche foglie.
inviato da Luana Minto, inserito il 26/05/2002
ESPERIENZA
1365. Andate in missione per cercare luoghi e modi per dare la vita
Questo titolo un po' strano è quello che meglio descrive il mio viaggio in Bangladesh fatto proprio lo scorso settembre. Fin dall'inizio del mio cammino di preparazione al PIME, iniziato lo scorso ottobre, ho sempre avuto come motivazione principale quella di scoprire cosa avrei potuto fare come medico in una Missione.
E così mi sono completamente affidata a questo cammino, io ho deciso di parteciparvi, tutto il resto mi è stato donato.
Nel mese di aprile ho saputo che la mia destinazione sarebbe stata il Bangladesh.
Non sapevo nulla di questo paese, solo che è il più povero del mondo...
Sono partita per questa esperienza caricata molto positivamente, la gioia e la curiosità erano davvero grandi, ma avevo anche un po' di paura. Le aspettative erano molte ma ho voluto un po' accantonarle dicendo: "Lascio al Signore di decidere quello che vorrà donarmi con questa esperienza".
Al momento della partenza sapevo solo che io, a differenza delle due ragazze che sono partite con me, sarei stata da sola in un'altra missione più a nord del paese, dove mi aspettava il lavoro in un dispensario.
Il primo impatto all'arrivo a Dahka è stato davvero traumatico, la prima sera i miei sentimenti e le emozioni erano incontrollabili continuavo a ripetermi: Perché sono qui? Non potevo seguire i consigli di chi mi ha sempre un po' scoraggiato in questo viaggio?!. Ma chi me lo ha fatto fare? Voglio tornare a casa!
Dahka è una città lasciata a metà, tutto è stato iniziato ma ben poco è stato portato a termine, grande caos, forti rumori, traffico peggio che a Milano, odori nauseabondi...
Ma in fondo la mia destinazione era un piccolo villaggio del nord, questo mi faceva avere la speranza che le cose sarebbero cambiate.
Dopo due giorni ho raggiunto Boldipukur, la mia piccola e accogliente missione. Le case diroccate hanno lasciato spazio al verde che è la nota caratteristica del B, qua la gente vive nelle capanne in mezzo alla natura, proprio intorno alla missione.
Uno spettacolo meraviglioso!
Così le angosce e le paure che mi avevano accompagnato fino a quel momento hanno lasciato spazio ad una sensazione di pace. Sono stata ospite di una piccola comunità di cinque suore, tre bengalesi e due italiane, suor Eleonora e suor Mariangela. Mi sono sentita subito ben accolta, mi sentivo come a casa mia.
A differenza di Dahka dove sono stata solo spettatrice di un mondo che sentivo estremamente estraneo a me e anche un po' ostile, in questo ambiente sono dovuta scendere allo scoperto, entrando nella quotidianità di questa gente, nelle loro case, nelle loro vite.
Sono entrata con timore, quasi in punta di piedi per non voler far notare troppo la differenza e mi sono scontrata subito con una povertà che disarma e fa cadere tutte le certezze.
Appena arrivata in missione mi hanno mostrato la mia camera e subito mi ha colto una sensazione di disagio: non funzionava il ventilatore, assolutamente necessario per affrontare alcuni momenti della giornata, e l'acqua che scendeva dal mio rubinetto era arancione. "Voglio tornare a casa" e il solito "Chi me lo ha fatto fare?!".
In risposta a queste mie domande mi hanno portato a fare un giro nel villaggio appena fuori le mura della missione e ho visto gente che vive nelle capanne, in una unica stanza c'è tutto e soprattutto nessuna comodità, niente ventilatore, niente acqua corrente, solo la luce per chi è fortunato.
La povertà che ho incontrato nel piccolo villaggio è diversa da quella di Dahka, è una povertà dignitosa, hanno davvero poco per il loro sostentamento, ma quel poco lo condividono.
Ho voluto conoscere la realtà della Sanità in B, suor Mariangela si è fatta carico di questa cosa e mi ha fatto vedere tutto quello che le era possibile, portandomi da una cittadina all'altra, consapevole che di fronte ad alcune realtà sarei rimasta senza parole.
Così ho visitato l'ospedale governativo di Rangpur, la città più grande vicino alla mia missione, una decina di chilometri, penso che le parole non riescano a rendere il significato di quello che ho visto: non credevo di essere in un ospedale. La struttura è fatiscente, mi verrebbe da paragonarla alla stazione centrale, ogni angolo di corridoio o di scala è utilizzato come bagno o spazzatura. Nel reparto di chirurgia generale, uno stanzone enorme nel quale sono ricoverati una cinquantina di persone, uomini e donne insieme, chi su di un letto dalle lenzuola putride, chi addirittura per terra adagiato su delle coperte di lana anch'esse molto sporche. Ogni paziente ha al suo fianco la famiglia per qualsiasi necessità, l'ospedale non dà cibo, ma nemmeno i farmaci necessari al ricovero. Tutto è a carico del paziente.
E' stato sufficiente vedere quel reparto per chiedere alla suora di portarmi via, non volevo veder più nulla e nel cuore la speranza che non succeda mai nulla per cui i missionari abbiano bisogno di un ricovero urgente.
La speranza si è accesa quando invece a Dinajpur ho visto l'ospedale gestito dai Missionari, una stretta al cuore, nella povertà e nella semplicità della struttura, riesco comunque a riconoscere un ospedale. Corridoi e stanze pulite, ognuno ha un proprio letto con lenzuola degne di essere chiamate tali.
L'esperienza comunque più significativa l'ho vissuta proprio al dispensario dove ho potuto agire direttamente.
Il dispensario raccoglie tutti i giorni dalle 100 alle 150 persone e più provenienti dai villaggi limitrofi, solo donne e bambini. Vi lavorano solo due suore infermiere, il numero di utenti sarebbe troppo alto con gli uomini.
Vengono fatte accomodare 5 o 6 persone tutte insieme e ognuno dice apertamente il proprio problema, non esiste certo la legge sulla privacy.
Così le suore gestiscono i loro pazienti, ascoltandoli, facendo diagnosi, consigliando terapie con farmaci che loro stessi devono pagare. E non si può certo eccedere con i farmaci, dipende da quanti soldi può offrire il paziente.
I primi giorni mi domandavo che senso avessero tali terapie che non duravano più di quattro giorni a dosi che da noi non utilizziamo nemmeno nei bambini. E ho fatto fatica a mettere da parte le mie conoscenze e le mie certezze per entrare in un'ottica che è completamente diversa dalla mia.
Ho subito pensato a come noi, facilmente, possiamo avere dei farmaci che ci aiutano e a quanti Km di strada devono fare loro per raggiungere il dispensario che copre un territorio vastissimo. Certo nei villaggi ci sono i loro dottori che nella maggior parte dei casi sono stregoni che impongono terapie che io non ho voluto nemmeno conoscere.
Certo che i ricordi sono davvero tanti e potrei stare raccontare per ore...
Prima di partire mi hanno consigliato di non andare a vivere un'esperienza di questo tipo con l'idea di andare a fare grandi cose, con l'idea di salvare il mondo, ma anzi, di lavorare poco e di guardare, ascoltare, imparare.
E così ho fatto, sono partita dicendo: "Non dirò di no a nulla e farò tutto quello che mi verrà proposto...".
Ora il sentimento che sento davvero forte nel mio cuore è quello della gratitudine, io non ho fatto assolutamente nulla in questa esperienza, ho solo ricevuto tanti doni.
E quello davvero più grosso è stato quello di una comunità accogliente che mi ha permesso di essere davvero libera di guardare, ascoltare, registrare tutto quello che veniva messo sul mio cammino.
Ho fatto migliaia di km per scoprire in terra straniera uomini e donne italiane, sì, i missionari!!
"Negli occhi una terra lontana, nel cuore una speranza, andare ai confini del mondo per far conoscere te" sono le parole di un canto che porto nel cuore da quando sono tornata e racchiudono davvero il senso del mio viaggio.
Porto nel cuore queste persone che mi hanno insegnato uno stile di vita davvero semplice e sobrio, il loro sguardo carico di amore, i loro sorrisi... riflesso di un amore più grande che li accompagna e li sostiene ogni giorno.
Non posso che chiedervi di pregare per queste persone perché possano davvero continuare questa grande opera che non è altro che la loro vita per Dio!
inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002
PREGHIERA
1366. Preghiera per chi cammina da solo 1
Signore, tante volte mi vien la tentazione di andarmene via da solo, di lasciare che gli altri se la cavino senza di me. Sento la fatica di dovermi fermare per attendere chi cammina lentamente o batte la fiacca, mentre io vorrei correre in avanti. La strada da percorrere è tanto lunga, non vedo l'ora di arrivare e mi tocca perder tempo con chi non ha voglia di camminare.
Ma tu, Signore, mi fai capire che sto sbagliando. Da solo potrei forse arrivare primo, ma tu mi domanderesti conto dei miei fratelli, e sarei condannato a retrocedere all'ultimo posto.
Insegnami, Signore, la pazienza di aspettare, la generosità di aiutare gli altri a scoprire la bellezza del cammino, l'umiltà per non ritenermi il più bravo di tutti. Non è importante che uno arrivi per primo, ma che l'ultimo di noi possa giungere al traguardo sostenuto da una comunità di fratelli e sorelle.
Sulla strada non siamo mai soli, non possiamo esser soli, perché tu cammini con noi, come facevi con i discepoli di Emmaus, e ci insegni a spezzare il pane con i fratelli, per riprendere la strada con entusiasmo e con speranza nuova.
comunitàstradacamminoroutescout
inviato da Andrea Aversa, inserito il 25/05/2002
TESTO
1367. Tanti fiori in uno stesso campo: così è l'umanità
Ci sono tanti fiori in uno stesso campo; tanti uccelli in uno stesso bosco, tanti profumi che salgono dalla terra; tanti ronzii strani, mormorii confusi; voci rauche o sonore, tante forze, colori, linee.
E tuttavia questo si confonde, si armonizza e si completa nel tutto che si chiama "natura".
Accade lo stesso per l'umanità.
Ogni uomo deve essere quello che è, fedele a se stesso, forte nella sua opinione, nel suo pensiero, nella sua azione; ma deve ammettere attorno a se tutti gli uomini che non pensano come lui, che non agiscono come lui, che perseguono un altro scopo, e che adorano un altro Dio.
E la bontà sarà la forza che permetterà agli uomini di vivere in pace gli uni accanto agli altri, senza nuocersi, rispettosi e benevoli.
La bontà fresca e spontanea sarà la forza che al di sopra del dovere e della virtù austera condurrà gli uomini all'indulgenza reciproca, alla buona volontà, alla cortesia, all'obbedienza, alla giustizia.
E tu sarai indulgente verso gli altri, perché sarai severo verso te stesso.
E chiederai poco agli altri, perché esigerai molto da te stesso.
E sarai cortese, non per abitudine, freddamente, ma perché ti addolorerebbe non esserlo.
E sarai obbediente e giusto, non per timore o per dovere, ma perché qualcosa si sarà schiuso in te; qualcosa che trema, freme e si ribella davanti alla sofferenza e alla tristezza; qualcosa che canta ed esulta davanti alla gioia e alla felicità.
E sarà la bontà, niente altro che la bontà.
Una bontà fresca e ridente che diverrà la forza della tua vita.
conviveremulticulturalitàdiversità
inviato da Andrea Aversa, inserito il 25/05/2002
TESTO
Michel Quoist, Parlami d'amore
Se la nota dicesse: non è una nota che fa la musica
...non ci sarebbero le sinfonie.
Se la parola dicesse: non è una parola che può fare una pagina
...non ci sarebbero i libri.
Se la pietra dicesse: non è una pietra che può alzare un muro
...non ci sarebbero case.
Se la goccia d'acqua dicesse: non è una goccia d'acqua che può fare un fiume
...non ci sarebbe l'oceano.
Se il chicco di grano dicesse: non è un chicco di grano che può seminare un campo
...non ci sarebbe la messe.
Se l'uomo dicesse: non è un gesto d'amore che può salvare l'umanità
...non ci sarebbero mai né giustizia né pace, né dignità né felicità sulla terra degli uomini.
Come la sinfonia ha bisogno di ogni nota
Come il libro ha bisogno di ogni parola
Come la casa ha bisogno di ogni pietra
Come l'oceano ha bisogno di ogni goccia d'acqua
Come la messe ha bisogno di ogni chicco
l'umanità intera ha bisogno di te,
qui dove sei,
unico,
e perciò insostituibile.
versione breve
L'umanità ha bisogno di te
Come la sinfonia ha bisogno di ogni nota
Come il libro ha bisogno di ogni parola
Come la casa ha bisogno di ogni pietra
Come l'oceano ha bisogno di ogni goccia d'acqua
Come la messe ha bisogno di ogni chicco
l'umanità intera ha bisogno di te, qui dove sei, unico, e perciò insostituibile.
responsabilitàmissionevocazioneimportanza del singolo
inviato da Andrea Aversa, inserito il 24/05/2002
TESTO
Se dividi il tuo pane con timore, senza fiducia, senza audacia, il tuo pane ti mancherà... Prova a dividerlo senza calcolo, senza risparmio come figlio del padrone di tutte le messi del mondo...
condivisionegenerositàaltruismoegoismodonare
inviato da Andrea Aversa, inserito il 24/05/2002
TESTO
1370. Se tu mi addomestichi... 2
Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe
Tu fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. lo non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo... la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo mi farà uscire dalla tana, come una musica... Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore.
inviato da Mariangela Molari, inserito il 24/05/2002
PREGHIERA
Gesù, senza troppa difficoltà credo che Tu sia Dio.
Tuo Padre me lo ha suggerito, ne sono sicuro,
poiché ci hai detto che da soli li non potevamo crederlo,
e lo ringrazio per questo dono meraviglioso
che trasforma la mia vita;
ma confesso, non è facile per me credere che Tu sia uomo.
Non un superuomo: un uomo. Uno vero.
E che non hai giocato a fare l'uomo, mascherato da uomo
per fingere di essere come noi, solidale per tutta la nostra vita.
Eppure, Signore, se ogni tanto faccio fatica a crederlo
quando medito questo mistero soltanto nella mia testa,
è per me la più meravigliosa delle notizie
quella che mi colma di riconoscenza e di gioia,
quando la contemplo nel mio cuore.
Poiché è ai miei occhi la prova più sicura, la più sconvolgente,
che ci ami sopra ogni altra cosa,
e che questo amore ci è vicino, così vicino da toccarci,
da mettere radici in noi.
In questa umanità da Te creata, ma così lontana,
da Te così lontana se non fossi venuto.
Perché avresti potuto amare dall'alto, Signore,
e mandarci un ambasciatore che Ti rappresentasse,
e invece ti sei spostato personalmente.
Saresti potuto venire accanto a noi, Tu, Dio, per trascinarci.
E noi, uomini, per seguirti.
Ma Tu sei venuto tra di noi, uomo come noi,
talmente come noi che siamo diventati fratelli.
Fratelli del bimbo che piangeva, beveva il latte di sua madre.
Fratelli del fanciullo che imparava a leggere, a pregare.
Fratelli dell'uomo che predicava così bene... troppo bene,
da morirne fra le torture, offrendo la sua vita per noi.
Fratello.
Nostro fratello Gesù,
grazie perché sei venuto tra noi come uomo vero.
Amen.
umanitàNataleincarnazioneamore di Dio
inviato da Mariangela Molari, inserito il 24/05/2002
PREGHIERA
Signore, fa' di me ciò che vuoi!
Non cerco di sapere in anticipo i tuoi disegni su di me,
voglio ciò che tu vuoi per me.
Non dico:
"Dovunque andrai, io ti seguirò!",
perché sono debole,
ma mi dono a te perché sia tu a condurmi.
Voglio seguirti nell'oscurità,
non ti chiedo che la forza necessaria.
O Signore, fa' ch'io porti ogni cosa davanti a te,
e cerchi ciò che a te piace in ogni mia decisione
e la benedizione su tutte le mie azioni.
Come una meridiana non indica l'ora se non con il sole,
così io voglio essere orientato da te,
Tu vuoi guidarmi e servirti di me.
Così sia, Signore Gesù!
Fedeabbandono in Dioprogetto di Dio
inviato da Suor Irina Mandro, inserito il 24/05/2002
RACCONTO
Mark Eklund era in terza elementare e io insegnavo al Saint Mary's School a Morris, Minnesota. Ero affezionata a tutti e 34 i miei studenti, ma Mark era uno su un milione. Molto ordinato e preciso in apparenza, ma aveva quell'atteggiamento di essere-felice-di-vivere (happy-to-be-alive attitude) che faceva perfino la sua occasionale birbanteria deliziosa.
Mark parlava incessantemente. Dovevo ricordargli sempre che parlare senza permesso non era accettabile. Ciò che mi impressionava tanto, però, era la sua sincera risposta ogni volta che io dovevo correggerlo per cattivo comportamento: "Grazie per avermi corretto, Sorella!". All'inizio non sapevo cosa fare, ma dopo poco mi abituai a sentirlo molte volte al giorno.
Una mattina la mia pazienza era diventata sottile quando Mark parlò una volta di troppo, ed io commisi un errore da insegnante principiante. Guardai Mark e dissi, "Se dici ancora una parola, ti chiuderò le labbra con il nastro"! Passarono dieci secondi quando Chuck rivelò: "Mark sta parlando ancora." Io non avevo chiesto a nessuno degli studenti di aiutarmi a guardare Mark, ma dovetti punirlo davanti alla classe.
Ricordo la scena come se fosse successa questa mattina. Camminai verso la mia scrivania, aprii intenzionalmente il mio cassetto e tirai fuori un rotolo di nastro adesivo. Senza dire una parola, mi avvicinai al banco di Mark, strappai due pezzi di nastro e feci con essi una grande X sulle sue labbra. Poi tornai all'inizio della stanza. Mentre lanciai un'occhiata per vedere cosa stava facendo, lui mi strizzò l'occhio. Ciò fece! Io iniziai a ridere. La classe si rallegrò e applaudì. Tornai al banco di Mark, tolsi il nastro, e feci spallucce. Le sue prime parole furono: "Grazie per avermi corretto, Sorella."
Alla fine dell'anno, fui richiesta per insegnare alla classe di matematica della scuola media. Gli anni volarono, e presto seppi che Mark era ancora nella mia classe. Era più carino che mai e cosi educato. Poiché lui doveva mettere in lista attentamente le mie istruzioni sulla "nuova matematica", non parlò cosi tanto come aveva fatto in terza. Un venerdì le cose non andavano molto bene. Avevamo lavorato duramente su un nuovo concetto tutta la settimana e avevo la sensazione che gli studenti fossero accigliati, frustrati con se stessi e nervosi gli uni con gli altri. Dovevo fermare questo prima che mi sfuggisse di mano.
Così chiesi a loro di fare una lista con i nomi degli altri studenti nella stanza su due fogli di carta, lasciando uno spazio tra ogni nome. Poi dissi loro di pensare alla cosa più simpatica che potessero dire riguardo ad ognuno dei loro compagni di classe e di scriverla. Per finire il compito, la classe prese il resto del tempo e quando gli studenti lasciarono la stanza, ognuno mi passò il foglio. Charlie sorrise. Mark disse: "Grazie per avermi insegnato, Sorella. Buon fine settimana". Quel sabato annotai il nome di ogni studente su un foglio di carta separato, e misi in lista ciò che ognuno aveva detto di quella persona. Il lunedì diedi ad ogni studente il suo o la sua lista.
Dopo poco, l'intera classe stava sorridendo.
"Davvero?", sentii bisbigliato.
"Non sapevo di significare qualcosa per qualcuno!".
"Non sapevo di piacere cosi tanto agli altri".
Nessuno menzionò mai quei fogli ancora in classe.
Non sapevo se loro li avessero discussi dopo la classe o con i loro genitori, ma ciò non importava.
L'esercizio aveva raggiunto il suo scopo. Gli studenti erano ancora felici con se stessi e gli uni con gli altri. Il gruppo di studenti si era rimesso in marcia.
Diversi anni più tardi, dopo che tornai dalle mie vacanze, i miei genitori mi vennero incontro all'aeroporto. Quando stavamo guidando verso casa, mia Madre mi chiese le solite domande sulla gita, sul tempo, le mie esperienze in generale. Ci fu una pausa nella conversazione. Mia madre diede a mio padre un'occhiata di lato e disse semplicemente: "Papà?". Mio padre si schiarì la gola come faceva di solito prima di qualcosa importante. "Gli Eklunds hanno chiamato la notte scorsa", iniziò. "Davvero?" dissi. "Non li avevo sentiti per anni. Mark come sta?". Mio Padre rispose in modo sommesso: "Mark è stato ucciso in Vietnam", disse. "I funerali sono domani, e i suoi genitori vorrebbero che tu fossi presente". Da quel giorno posso ancora indicare il punto esatto sulla I-494 dove mio Padre mi disse di Mark.
Non avevo mai visto prima un militare in una bara militare. Mark appariva così carino, così maturo. Tutto ciò che potevo pensare in quel momento era: "Mark, darei tutto il nastro adesivo del mondo se solo tu potessi parlarmi". La chiesa era affollata di amici di Mark. La sorella di Chuck canto "L'inno di Guerra della Repubblica". Perché doveva piovere nel giorno dei funerali? Era già difficile così! Il pastore disse le solite preghiere e il trombettiere suonò i colpi. Uno dopo l'altro quelli che amavano Mark si misero in cammino verso la bara e la bagnarono con l'acqua santa. Io fui l'ultima a benedire la bara.
Mentre stavo in piedi, uno dei soldati che avevano portato la bara salì verso di me.
"Era lei l'insegnante di matematica di Mark?" mi chiese.
Io feci cenno di sì con il capo mentre continuavo a fissare la bara.
"Mark ha parlato molto di lei", lui disse.
Dopo il funerale, quasi tutti i vecchi compagni di classe di Mark si diressero alla fattoria di Chuck per il pranzo. La madre e il padre di Mark erano lì; ovviamente mi aspettavano.
"Vogliamo mostrarle qualcosa", suo padre disse, estraendo un portafoglio dalla sua tasca. "Hanno trovato questo su Mark quando fu ucciso. Pensiamo che lei possa riconoscerlo".
Aprendo il portafoglio, con attenzione tolse due pezzi logori di carta di taccuini che erano stati evidentemente legati, piegati e ripiegati molte volte. Sapevo senza guardare che i fogli erano quelli sui quali avevo messo in lista tutte le cose buone che ogni compagno di classe di Mark aveva detto su di lui.
"Grazie tanto per aver fatto ciò", disse la madre di Mark. "Come può vedere, Mark lo ha apprezzato molto".
I compagni di classe di Mark iniziarono a radunarsi intorno a noi.
Charlie sorrise in modo piuttosto imbarazzato e disse: "Io ho ancora la mia lista. E' nel primo cassetto della mia scrivania a casa".
La moglie di Chuck disse: "Chuck mi ha chiesto di mettere la sua nell'album del matrimonio".
"Anch'io ho la mia", disse Marilyn. "E' nel mio diario."
Poi Vicki, un'altra compagna di classe, raggiunse la sua borsetta, prese il suo portafogli e mostrò la sua consumata e logora lista del gruppo. "Io porto questa con me sempre", disse Vicki senza battere ciglio.
"Penso che tutti noi abbiamo salvato la nostra lista".
Qui fu quando alla fine mi sedetti e piansi.
Piansi per Mark e per tutti i suoi amici che non lo avrebbero mai più visto.
La densità delle persone nella società è cosi spessa che dimentichiamo che la vita finirà un giorno. E non sappiamo quando quel giorno sarà. Così per favore, dì alle persone che ami e a cui vuoi bene che sono molto speciali ed importanti. Diglielo, prima che sia troppo tardi.
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La storia dà anche l'idea per un'attività molto carina che si può fare con ragazzi ed adolescenti: come ha fatto l'insegnante di Mark, fate scrivere ad ognuno qualcosa di simpatico o di bello su ognuno degli altri componenti del gruppo, e poi date ad ognuno i suoi foglietti, oppure fateli leggere tutti ad alta voce.
E' un'attività che può andare molto bene sopratutto con gli adolescenti (ma può andare anche con i ragazzi) in quanto spesso hanno "crisi d'identità", o comunque non hanno una sufficiente autostima: il sentirsi dire cose simpatiche o comunque belle sul proprio conto può essere una buona iniezione di fiducia ed autostima.
Inoltre, aiuta tutti a guardare ad ognuno degli altri componenti del gruppo in modo positivo, e questo è ottimo per due motivi: innanzitutto fa fare lo sforzo di pensare a tutti gli altri, quando invece spesso qualcuno è messo da parte e non lo si considera mai; in secondo luogo, fa pensare agli altri in modo positivo, e anche questa è una cosa molto buona.
amiciziaamoreimportanza del singolocomplimentibontàconoscenzapositivopositività
inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 24/05/2002
PREGHIERA
Marie Noel, liberamente tradotta
Buonanotte, Papà! Ho messo le mie mani nelle tue.
Il sonno, (o la morte), attraversa la notte breve.
Soffia appena, sulla bolla errante dei miei sogni
perché mi porti le rose del domani.
Buonanotte, Papà! Le tue dita hanno accarezzato le mie palpebre.
Il sonno, (o la morte), se ne viene a passi leggeri,
e verso mezzanotte spadroneggeranno i pericoli.
Io mi addormenterò senza paura, salmodiando le mie preghiere.
So che te ne stai seduto al capezzale del mio letto,
e se una qualche vertigine spaventa la mia anima,
tu mi prendi tra le braccia, come fa una mamma
col suo bambino, nel suo letto, dopo un brutto sogno.
Non sono un santo, o mio Dio, perché tu vegli
cullandomi tra le braccia per scacciare i miei brividi.
Non sono che un bambino, ho solo le mie cantilene
e non valgo certo più di un uccellino con le sue piume.
E non so perché mi ami... Ogni sentiero
mi porta a te, ma senza lotte, senza scosse.
Il sonno, (o la morte), scivola sulla notte dolce...
Buonanotte, Papà! Accogli la mia anima tra le tue mani.
morteabbandonofiduciabuonanottefine del giorno
inviato da Rovaris Pinuccio, inserito il 23/05/2002
TESTO
Ho sempre desiderato essere una santa, ma - ahimé - ho sempre accertato, quando mi sono paragonata ai santi, che tra essi e me c'è la stessa differenza che tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli e il granello di sabbia oscura calpestato sotto i piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il buon Dio non può ispirare desideri inattuabili, perciò posso, nonostante la mia piccolezza, aspirare alla santità. Diventare più grande mi è impossibile, devo sopportarmi tale quale sono con tutte le mie imperfezioni, nondimeno voglio cercare il mezzo di andare in cielo per una via ben dritta, molto breve, una piccola via tutta nuova.
Siamo in un secolo di invenzioni, non vale più la pena di salire gli scalini, nelle case dei ricchi un ascensore li sostituisce vantaggiosamente. Vorrei anch'io trovare un ascensore per salire la dura scala della perfezione. Allora ho cercato nei libri dei santi l'indicazione dell'ascensore, oggetto del mio desiderio, e ho letto queste parole: "Se qualcuno è piccolissimo, venga a me. Come una madre carezza il suo bimbo, io vi consolerò, vi poserò sul mio cuore e vi terrò sulle mie ginocchia". Mai parole più tenere, più armoniose hanno allietato l'anima mia: l'ascensore che deve innalzarmi fino al cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più.
santitàabbandonofiduciadiventare come bambini
inviato da Mariangela Molari, inserito il 23/05/2002
PREGHIERA
Poiché le parole non sono fatte per rimanere inerti nei nostri libri,
ma per prenderci e correre il mondo in noi,
lascia, o Signore, che di quella lezione di felicità,
di quel fuoco di gioia che accendesti un giorno sul monte,
alcune scintille ci tocchino, ci mordano, c'investano, ci invadano.
Fa' che da essi penetrati come "faville nelle stoppie"
noi corriamo le strade di città accompagnando l'onda delle folle
contagiosi di beatitudine, contagiosi di gioia.
Perché ne abbiamo veramente abbastanza
di tutti i banditori di cattive notizie, di tristi notizie:
essi fan talmente rumore che la tua parola non risuona più.
Fa' esplodere nel loro frastuono il nostro silenzio che palpita del tuo messaggio.
inviato da Mariangela Molari, inserito il 23/05/2002
TESTO
Gli uomini si amano come sono e non come dovrebbero essere.
Se le nostre mamme avessero aspettato a volerci bene quando noi fossimo diventati buoni, forse sarebbero morte senza volerci bene.
amoremammagratuitàaccettazione
inviato da Andrea Aversa, inserito il 23/05/2002
TESTO
Sermig, Fraternità della Speranza
Voglio trovare il senso per la mia vita, che è unica ed irripetibile, per viverla senza guerra, violenza, paura e sperare nel futuro.
Mi impegno perché ogni uomo e donna possa valorizzare le proprie potenzialità e perché nessuno sia sfruttato.
Voglio capire cosa è il bene e cosa è il male, voglio vivere in un mondo dove esiste il perdono e dove la vendetta sia abolita.
Mi impegno a cambiare vita se ho sbagliato.
Voglio lottare contro quelle schiavitù che ci hanno proposto come libertà e che hanno ucciso troppi ragazzi e ragazze come me.
Mi impegno perché abbiano accesso agli strumenti per comunicare e l'informazione sia al servizio della persona.
Voglio amare e capire, nella libertà, che cos'è la verità.
Mi impegno perché il lavoro possa essere un bene per tutta l'umanità.
Voglio avere la libertà di credere o di non credere e di professare la mia fede in ogni parte del mondo.
Mi impegno perché tutte le ricchezze siano usate ed equamente distribuite per contribuire a costruire un mondo migliore e voglio che la terra sia rispettata.
impegnopacegiustiziaamoregiovani
inviato da Andrea Aversa, inserito il 23/05/2002
TESTO
1379. Ogni giorno è da vivere 2
Ogni mattina
è una giornata intera
che riceviamo dalle mani di Dio.
Dio ci dà una giornata intera
da lui stesso preparata per noi.
Non vi è nulla di troppo
e nulla di "non abbastanza",
nulla di indifferente
e nulla di inutile.
È un capolavoro di giornata
che viene a chiederci di essere vissuto.
Noi la guardiamo
come una pagina di agenda,
segnata d'una cifra e d'un mese.
La trattiamo alla leggera
come un foglio di carta.
Se potessimo frugare il mondo
e vedere questo giorno elaborarsi
e nascere dal fondo dei secoli,
comprenderemmo il valore
di un solo giorno umano.
inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 23/05/2002
PREGHIERA
Ho ricevuto il mio invito
alla festa di questo mondo;
la mia vita è stata benedetta.
I miei occhi hanno veduto,
le mie orecchie hanno ascoltato.
In questa festa dovevo soltanto
suonare il mio strumento:
ho fatto come meglio potevo
la parte che mi era stata assegnata.
Ora dico: è venuto
alfine, il momento di entrare
e guardare il tuo volto e offrirti
il mio silenzioso saluto.
vocazioneresponsabilitàparadisomortevita eterna
inviato da Mariangela Molari, inserito il 22/05/2002