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TESTO

1. Natale: cosa attendi?

Giuseppe Impastato S.I.

Tu forse non attendi più un Messia e un Salvatore.

Dillo pure: mi bastano le assicurazioni, la carta di credito, il libretto di assegni, le multi-proprietà, gli investimenti che rendono, le giuste conoscenze, le amicizie influenti...

Mi sta bene il Natale come fiaba, ricordi, festa per i bambini, regali, vacanze, ritrovarci con parenti.

Fratello, sorella, forse pure andrai in chiesa per Natale, ma se a Gesù che non ha e non dà nessuna sicurezza, e se non hai spalancato la tua vita al futuro di Dio, non celebrerai il vero Natale.

Se a Natale sai dire solo: "Auguri", "Buon Natale", "Buone feste", "Buona fine e buon principio", il Natale non è stupore, né dono divino, né cuore e occhi nuovi, né presenza inquietante, né luce dall'alto, né invito a novità di vita e gioia piena.

nataleattesaauguriavvento

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 17/09/2022

TESTO

2. Vado in montagna lentamente (La visita)

Erri de Luca, Rivista Vita e Pensiero

Vado in montagna lentamente. Per buone ore i passi risalgono i pendii. I boschi intorno sono irrigiditi, sul ripido gli abeti stanno attaccati al suolo dalla neve.

Più in alto la vegetazione smette, resta la pietra, il ghiaccio e sopra l'aria senza confini. L'inverno è agli ultimi giorni, il vento ha meno forza di comprimere il fiato.

In salita assecondo il moto della terra che continua spingere in alto le montagne. La cresta del pianeta si solleva e sposta la sua frontiera con il cielo.
Sulla cima mi accorgo del pareggio tra la forza del corpo e quella di gravità. Ho portato il mio peso fino all'ultimo gradino e lo depongo lì.
Il respiro rallenta, dentro di me sento il silenzio di una sala di attesa.
Guardo il girotondo delle montagne intorno, i risaputi profili, i loro nomi. Sto nel centro inventato di una circonferenza, poi sollevo la testa a vista dello spazio e non sto più in un centro. Gli occhi rivolti in su sprofondano nel vuoto delle altezze, le sole che hanno diritto al titolo di altezze reali.

La luce, l'aria hanno splendore di vernice fresca.
Sto sul confine tra il pianeta e lo spazio che l'avvolge. Sono grato al corpo che mi permette di visitare il bordo del luogo e del tempo ricevuto in prestito.
Non sto vicino al cielo, sto su una terrazza della terra. Ci si può vedere il cimitero di chi è salito ai piani celesti, ma non ho questa Diottria, i miei sono sepolti interamente in basso e li raggiungerò in fondo a una discesa.

Aspetto che la pausa sulla cima arrivi fino al principio del freddo. Poi mi avvio in discesa, dove i muscoli opposti fanno avvertire il peso che dimentico in salita.
I passi reggono e ammortizzano il carico del corpo che discende. Completo così l'opera inutile e gratuita di un giorno in montagna.
Ho visitato un orlo del pianeta, mio atto di devozione terrestre.
Ho calcato i gradini della scala invisibile formata dall'appoggio dei passi. S'interrompono dove oltre possono proseguire solamente le ali.
Per una volta in più riconosco che una cima non è traguardo, ma vicolo cieco, in fondo al quale c'è da invertire la direzione e tornare indietro.

montagnasalitaascesacamminostradaroute

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

TESTO

3. La mafia è un fatto umano   1

Giovanni Falcone, Cose di Cosa Nostra

La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano. Ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.

mafiaillegalitàcriminalitàgiustizia

inviato da Qumran2, inserito il 26/08/2016

PREGHIERA

4. In cammino con me   1

Veglia Ecumenica di Pentecoste, Milano, 7 giugno 2014

In cammino, con me, c'è uno Spirito che scorre: Spirito che non mi lascia mai.
In cammino, con me, questo Spirito che scorre resterà con me finché vivrò.
In cammino, con me, questo Spirito è amore che scorre e resterà sempre con me.
In cammino, con me, c'è uno Spirito che cresce: Spirito che non mi lascia mai.
In cammino, con me, questo Spirito che cresce resterà con me finché vivrò.
In cammino, con me, questo Spirito è speranza che cresce e resterà sempre con me.
In cammino, con me, c'è uno Spirito che gioca: Spirito che non mi lascia mai.
In cammino, con me, questo Spirito che gioca resterà con me finché vivrò.
In cammino, con me, questo Spirito è una festa che gioca e resterà sempre con me.
Verso il Regno di Dio, mio principio e mio destino, è la strada che percorro già.
In cammino, con me, il tuo Spirito mi affianca, verso un Regno che conosco già.
In cammino, con me, verso il Regno del Signore che aspetto, che conosco, che verrà.

pentecosteSpirito

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran, inserito il 13/05/2016

TESTO

5. Lettera di Dio per la custodia della donna   2

La donna che hai al fianco, emozionata, con l'abito da sposa, è mia. Io l'ho creata. Io le ho voluto bene da sempre; ancor prima di te e ancor più di te. Per lei non ho esitato a dare la mia vita. Ho dei grandi progetti per lei. Te l'affido. La prenderai dalle mie mani e ne diventerai responsabile.

Quando l'hai incontrata l'hai trovata bella e te ne sei innamorato. Sono le mie mani che hanno plasmato la sua bellezza, è il mio cuore che ha messo dentro di lei la tenerezza e l'amore, è la mia sapienza che ha formato la sua sensibilità e la sua intelligenza e tutte le qualità belle che hai trovato in lei.

Però non basta che tu goda del suo fascino. Dovrai impegnarti a rispondere ai suoi bisogni, ai suoi desideri. Ti renderai conto che ha bisogno di tante cose: ha bisogno di casa, di vestito, di serenità, di gioia, di equilibrio psichico, di rapporti umani, di affetto e tenerezza, di piacere e di divertimento, di presenza umana e di dialogo, di relazioni sociali e familiari, di soddisfazioni nel lavoro e di tante altre cose.

Ma dovrai renderti conto che ha bisogno soprattutto di me, e di tutto quello che aiuta e favorisce questo incontro con me: la pace del cuore, la purezza di spirito, la preghiera, la Parola, il perdono, la speranza e la fiducia in me, la mia vita. Sono Io e non tu il principio, il fine, il destino di tutta la sua vita.

Facciamo un patto tra noi: la ameremo insieme. Io la amo da sempre. Tu hai incominciato ad amarla da qualche anno, da quando te ne sei innamorato. Sono io che ho messo nel tuo cuore l'amore per lei. È stato il modo più bello perché ti accorgessi di lei. Volevo affidarla a qualcuno che se ne prendesse cura. Ma volevo anche che lei arricchisse con la sua bellezza e le sue qualità la vita di un uomo. E questo uomo sei tu.

Per questo ho fatto nascere nel tuo cuore l'amore per lei. Era il modo più bello per dirti: "ecco, te la affido", e perché tu potessi godere della sua bellezza e delle sue qualità. Quando le dirai "prometto di esserti fedele, di amarti e rispettarti per tutta la vita", sarà come se mi rispondessi che sei lieto di accoglierla nella tua vita e di prenderti cura di lei. Da quel momento saremo in due ad amarla.

Dobbiamo però metterci d'accordo: non è possibile che tu la ami in un modo e io in un altro. Devi avere per lei un amore simile al mio, e devi desiderare per lei le stesse cose che Io desidero. Non puoi pensare nulla di più bello e gioioso per lei.

Se la ami sul serio vedrai che ti troverai d'accordo con me nel progetto che ho concepito per lei. Ti farò capire poco alla volta quale sia il mio modo di amare, e ti svelerò quale vita ho sognato e voluto per questa mia creatura che diventerà tua sposa.

Mi rendo conto che ti sto chiedendo molto. Pensavi che questa donna fosse tutta e solo tua, e ora invece hai l'impressione che io ti chieda di spartirla con Me. Non è così. Io non sono il tuo rivale in amore. Al contrario, sono molui che ti aiuta ad amarla appassionatamente. Per questo desidero che nel tuo piccolo amore ci sia il mio grande amore.

Col tuo amore potrai fare molto per lei, ma è sempre troppo poco. Io ti rendo invece capace di amare da Dio. È questo il mio dono di nozze: un supplemento di amore che trasforma il tuo amore di creatura e lo rende capace di produrre le opere di Dio nella donna che ami.

Sono parole per te misteriose, ma le capirai un poco alla volta. Ti assicurò che non ti lascerò mai solo in questa impresa. Sarò sempre con te e farò di te lo strumento del mio amore, della mia tenerezza; continuerò ad amare la mia creatura, che è diventata tua sposa, attraverso i tuoi gesti d'amore, di attenzione di impegno, di perdono, di dedizione. In una parola: ti renderò capace di amare come io amo, perché ti darò una forza nuova di amare che è il mio stesso amore.

Se vi amerete in questo modo, la vostra coppia diventerà come una fortezza che le tempeste di vita non riusciranno mai ad abbattere. Un amore costruito sulla mia Parola è come una casa costruita sulla roccia: nessuna vicenda potrà distruggerla. Ricordatelo, perché molti si illudono di poter fare a meno di me: ma se io non sono con voi nell'edificare la casa della vostra vita e del vostro amore, vi affaticherete invano: come gli apostoli che faticarono tutta una notte e al mattino tornarono a riva con le reti vuote; bastò un semplice intervento Mio, e le reti pescarono tanto pesce che per l'abbondanza si rompevano. Di più. Se vi amerete in questo modo diventerete forza anche per gli altri.

Oggi si crede poco all'amore vero, quello che dura per sempre, e che offre la propria vita all'amato. Si cercano più le emozioni amorose che l'amore. Ma le emozioni nascono e muoiono presto, lasciando solo vuoto e nostalgia.

Per questo qualcuno ha detto che il matrimonio è solo una grande illusione che si dissolve presto. Se voi saprete amarvi come io amo, con una fedeltà che non viene mai meno, diventerete come la città sul monte. Sarete una speranza per tutti, perché tutti vedranno che l'amore è una cosa possibile.

donnaamorematrimoniocoppiasposicustodire

4.7/5 (3 voti)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 16/06/2015

RACCONTO

6. Un baratto   1

Marie Noel

A 18 anni ho venduto il mio spirito a Dio, come altri vendono la loro anima al diavolo.

Allora ero goffa, brutta, mingherlina, inetta, come il «brutto anitroccolo», ma avevo molto spirito... uno spirito chiaro, vivo, acuto, pungente, che mordeva senza misericordia. Non appena una persona un tantino ridicola arrischiava di mostrarsi a me, l'acchiappavo al volo e la fissavo con una parola pungente, come si fissa un insetto su un tappo, con uno spillo. Ciò mi divertiva molto e faceva ridere la compagnia. Ma i miei cugini mi giudicavano «cattiva», e mio fratello mi chiamava «vipera». Avrebbe fatto meglio a dire zanzara o vespa. Un giorno, però, ci pensai su e mi vidi tal quale ero col mio crudele pungiglione. Poteva forse una cristiana accettare di essere così?
Fui presa dal rimorso.

E una mattina ne parlai con Nostro Signore, dopo la Comunione.

Rinunciare al mio spirito? Cosa mi rimaneva senza di esso? Non avevo bellezza né fascino, niente che potesse piacere. Sacrificare il mio spirito? Non mi ci potevo decidere. Mi costava troppo. Mi costava tutto.

Dentro di me, Dio attendeva con aria di rimprovero. Fu allora che mi venne l'idea - forse fu lui ad ispirarmela - di cedergli il mio spirito dietro ricompensa. Un baratto.

Glielo vendetti. Caro. Senza far prezzi. Dio è ricco. Dio è giusto. E generoso, anche. Contavo che me l'avrebbe pagato bene. Una volta concluso il mercato - io negli affari sono onesta - non osai più servirmi dell'oggetto che avevo ceduto. Da principio mi sentii legata, impacciata, come colpita da improvvisa infermità. Le parole mi volavano alle labbra, le inghiottivo già dette a metà. Il che non era sempre comodo. Ma poi l'abitudine mi venne in aiuto. E diventai poco a poco la piccola, mite zitella cui nessuno fa caso, né in famiglia fuori... cui nessuno fa caso più che a un fiammifero spento. Sono passati vent'anni... Che cosa mi avrà dato il Buon Dio, in cambio della mia malizia?

Non la bellezza. Non il fascino. Non l'amore. Non la felicità. Forse il dono della poesia? Ma quello già lo avevo, sin dalla prima infanzia.

Ecco. Mi diede il dono di una vista nuova, per cogliere immediatamente, anziché il lato ridicolo, la bellezza e le qualità delle persone, anche di quelle che non ne hanno. Al punto che oggi io le amo tanto, anche quando sono ridicole, sciocche e mediocri, da poter giocare di nuovo con la mia malizia, solo per divertirmi, senza far male a nessuno.

conversionecattiveria

5.0/5 (1 voto)

inviato da Il Patriota Cosmico, inserito il 16/06/2015

PREGHIERA

7. In cerca di pane   3

don Primo Mazzolari

Cristo, oggi sono in cerca di pane,
il mio pane quotidiano,
quello che serve per la fame di oggi,
per passare di là oggi,
per avere la forza di remare
sotto la tempesta di oggi.
Il pane che non ha profumo se non di sudore,
il pane che non ha gusto, se non di vita,
il pane che fa stare in piedi,
che serve a camminare,
a remare, a vangare,
a combattere con fede, a morire in pace.
..."in principio era la Parola"
e la parola è il pane quotidiano
per ogni uomo che viene al mondo.

paneeucaristia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 26/05/2015

TESTO

8. La santità

Origene

La santità al principio sembra piuttosto amara, ma alla fine risulta più dolce del miele, quando ha prodotto i frutti della virtù.

santità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 29/06/2012

PREGHIERA

9. Preghiera del docente   2

Diocesi di Brescia, Diocesi.brescia.it

Dio Padre,
origine e principio della Sapienza,
tu che ci hai inviato Gesù il Cristo
come unico e solo Maestro
per ogni essere umano
e che ci hai concesso
lo Spirito di Intelletto,
di Scienza e di Consiglio,
aiutaci a comprendere che educare
non è provare, né dimostrare,
ma evocare e lasciar diventare.

Ti preghiamo:

rendici "servi autorevoli",
capaci di fondere nella nostra persona
il minatore che scava le paure,
l'esploratore che segue le stelle,
e il marinaio che tende verso sponde sicure;

concedici di essere "servi inutili",
in grado di valorizzare lo spazio
di ciascuna relazione umana
in cui ogni nostro alunno si realizza
e in cui, scoprendo se stesso,
giunge all'incontro con te;

insegnaci ad agire da "servi umili",
perché i nostri studenti ci vedano
non come dei miti che li abbagliano,
né come padroniche li vincolano,
nemmeno come amici che li lusingano,
ma come saggi compagni di viaggio
che li orientano a guardare
dove si dirigono i loro passi esistenziali
e verso quale pienezza di vita
desiderano camminare.

Donaci di diventare "servi invisibili",
una presenza che sa amarli
senza pretese nel presente,
ma con una speranza per il loro futuro.
Non ci è dato di risolvere
la loro umanità,
ma solo di custodirla perché,
con il loro impegno,
scelgano di renderla
come tu la desideri per loro.
Amen.

educazioneeducatorieducareinsegnantiinsegnaredocenti

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 24/06/2012

PREGHIERA

10. Preghiera allo Spirito Santo   1

Benedetto XVI, Discorso del Santo Padre Benedetto XVI all'assemblea della CEI, 24 maggio 2012

Spirito di Vita, che in principio aleggiavi sull'abisso,
aiuta l'umanità del nostro tempo a comprendere
che l'esclusione di Dio la porta a smarrirsi nel deserto del mondo,
e che solo dove entra la fede fioriscono la dignità e la libertà
e la società tutta si edifica nella giustizia.

Spirito di Pentecoste, che fai della Chiesa un solo Corpo,
restituisci noi battezzati a un'autentica esperienza di comunione;
rendici segno vivo della presenza del Risorto nel mondo,
comunità di santi che vive nel servizio della carità.

Spirito Santo, che abiliti alla missione,
donaci di riconoscere che, anche nel nostro tempo,
tante persone sono in ricerca della verità sulla loro esistenza e sul mondo.
Rendici collaboratori della loro gioia con l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo,
chicco del frumento di Dio, che rende buono il terreno della vita e assicura l'abbondanza del raccolto.
Amen.

Spirito SantochiesamissioneannunciotestimonianzaPentecoste

5.0/5 (3 voti)

inviato da Cesarina Volontè, inserito il 25/05/2012

TESTO

11. Non piangere, o Madre

Non piangere per me, o Madre, vedendo nella tomba
il Figlio che senza seme hai concepito in grembo:
perché io risorgerò e sarò glorificato e,
poiché io sono Dio, incessantemente innalzerò nella gloria
coloro che con fede e amore magnificano te.

Per mio volere la terra mi ricopre,
ma tremano i custodi dell'ade
vedendomi avvolto, o Madre, nella veste insanguinata della vendetta:
perché io, Dio, ho abbattuto i nemici della croce
e di nuovo risorgerò e ti magnificherò.

Esulti il creato, si rallegrino gli abitanti della terra:
è stato spogliato, l'ade, il nemico!
Vengano avanti le donne con gli aromi:
io libero Adamo insieme a Eva e a tutta la loro stirpe
e il terzo giorno risusciterò

All'ora della nascita straordinaria
del tuo Figlio che non ha principio,
hai sfuggito le doglie in beatitudine soprannaturale;
ma ora, vedendo morto il tuo Dio, senza respiro,
sei orribilmente straziata dal dolore.
Risorgi dunque, Signore vittorioso, perché tua Madre sia magnificata.
Amen.

sabato santomadre di Diomaria

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 08/04/2012

TESTO

12. Che cos'è Dio?   2

Che cos'è Dio?
E' la mia matrice: il mio principio ed il mio compimento; è l'esigenza irreparabile di un dover essere con pienezza, non è un atto di fede, è soltanto uno scoprire, un risentire, un constatare.
Dov'è questo mio Dio?
E' nelle mia coscienza della vita.
E' là dove io mi riconosco, dove trovo me stessa.
E' nell'insoddisfazione per ciò che non riesco ad essere.
E' in ciò che soffro disperatamente per ingiustizia, delusione, amarezza; mancanza o violenza a quello che è sigillato in me e che porto mio malgrado.
E' in tutto quello che accorda me con me, che mi aiuta a realizzarmi.
E' in qualsiasi bellezza che mi scuote e mi purifica.
E' nelle piccole cose che fioriscono ogni giorno intorno a me.
E' nel risentire la terra: il respiro della luce, il canto del sole, il salire del verde, l'odore dell'aria limpida, il senso rigeneratore di ogni alba.
E' nel compiersi e nel rifluire delle cose, dei gesti familiari; le mani di mia madre sulla mia fronte; le braccia del bambino tese verso di me; la profondità del suo sguardo; il passo di un ritorno; un bacio che ripaga; un sorriso sopra una tolleranza; una carezza su una comprensione; un saluto che mi si porge od il pane.
E' nella pace che lievita la mia solitudine.
E' nella musica che intensifica in autenticità il mio spirito.
E' nel gusto dell'innocenza.
E' in ogni moto puro che mi trascina via.
E' nel precedere per consegnare la vita.
E' in tutto ciò che mi rende bambina: intensa e semplice; poeta e concreta.
E' nella forza di scegliere di morire per restar fedele a me stessa.
E' in quello che nell'ora più pesante mi riporta l'ora delle rondini. E' nello stringere una mano comprensiva e fedele.
E' nel dono che precede l'attesa.
E' nel mio bisogno di creature prepotenti di verità; nell'amarle senza esigere di possederle, per sentirmi meno povera, più libera e più sicura; per renderle più libere, più forti, più se stesse.
E' nel mio vibrare ad ogni istante di luce, ad ogni soffio d' amore.
E' nel germinare in me di ogni fermento vero che non si piega ad ipocrisie, sovrastrutture o costrizioni.
E' nell'infinita capacità di amore che ogni giorno mi fa nuova insieme al sole.

Diorapporto con Diofedeinterioritàsperanzacoerenza

5.0/5 (2 voti)

inviato da Flavia Perin, inserito il 07/04/2012

TESTO

13. Senza vedere   3

Carlo Carretto

Cos'hai provato Maria quando la Maddalena ti ha detto di aver visto Gesù nel giardino? E quando Pietro e Giovanni vennero a te, correndo, per raccontarti come avevano visto la tomba vuota? Cos'è capitato in quel giorno? Cosa significa credere che Cristo è risorto dai morti? E tu l'hai rivisto in quei giorni? Perché il Vangelo non parla di te? Ed eri la più interessata. Perché non è apparso a te? Quanto mi ha fatto pensare questo silenzio del Vangelo! O che Gesù voleva accennare a te quando disse a Tommaso: "Beati quelli che pur non avendo visto crederanno"? Forse tu eri l'unica che non aveva bisogno di vedere per credere? Ed eri beata. Io penso di sì. Ed è per questo che sei la nostra maestra nella fede e la lode di Elisabetta fin da principio fu la più grande lode che ti si poteva fare. "Beata te che hai creduto". Tu non avevi bisogno di vedere per credere. Tu credevi al tuo Figlio Risorto e ti bastava. Credere alla Resurrezione di Gesù significa credere senza vedere. E anche io voglio credere senza vedere: come te. L'unica cosa seria è la fede. Ed è per fede che io credo alla Resurrezione di Cristo. E quando credo sono invincibile: "Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede".

MariaMadonnafedefiduciarisurrezioneresurrezione

5.0/5 (2 voti)

inviato da Angela Magnoni, inserito il 23/01/2012

TESTO

14. Sono brutto, sono brutta...   1

Vittorino Andreoli, Lettera ad un adolescente

È incredibile come questo aspetto della persona sia mutato nel tempo e come sensibilità estetica sia diventata una preoccupazione dominante. Un giudizio che nell'adolescente sa di pena capitale: sono brutto, sono brutta. Si tratta di un pregiudizio generale, perché tutti gli adolescenti, indistintamente, sono insoddisfatti del proprio corpo e si sentono brutti. E guai se qualcuno tenta di consolarti: è la prova che davvero sei fuori misura e non ti resta che la fuga dal mondo. Per fortuna ci sono le metamorfosi artificiali, per correggere quelle naturali. Gli strumenti vanno dal trucco del viso, dagli orecchini delle ragazze della mia adolescenza agli oggetti più strampalati che oggi si ci aggancia alle parti del viso più strane. Ai padiglioni auricolari, adesso, si può stendere persino la biancheria e trasformarli in un'esposizione, una sorta di mercatino dell'usato. Ma arriviamo al come vestirsi, alle cose da indossare, alle cose da abbinare. E qui per tutti gli adolescenti, e anche per te mio caro, vale un altro principio universale: avete tutto ma vi manca sempre quello che ci vorrebbe in quel momento. Delle 36 paia di jeans manca proprio quello che andrebbe bene quel pomeriggio e che invece puntualmente possiede l'amico. Tu lo sai bene, se devi uscire alle sei del pomeriggio, già alle quattro ti piazzi davanti allo specchio e alle cinque e mezzo sei arrabbiato perché non hai nulla da mettere e guardi desolato le tre ante dell'armadio piene di cose inutili. Per fortuna alle sei uscite e vi trovate nel gruppo vestiti tutti uguali, maschi con maschi, femmine con femmine, come si trattasse di un collegio. Ma la fortuna è che l'adolescenza passa, almeno dal punto di vista del corpo. L'attenzione dapprima esclusiva al proprio corpo si sposta su altri corpi e accade che una ragazza si innamori di te nonostante tu sia un mostro...
Insomma l'estetica viene vinta dalla funzionalità o comunque ti convinci che la migliore prova estetica sia la funzionalità e che la bellezza dipende dal gusto, dal tipo di relazione, da saper portare il corpo e, ricordalo, persino da come lo neghi.

corporeitàadolescenzaaccettazioneinterioritàesteriorità

inserito il 22/01/2012

TESTO

15. A Natale tutto cambia...

Giuseppe Impastato S.I.

Fratello, se a Natale non riesci a cantare a squarciagola:
"Osanna, Pace agli uomini da Dio amati",
se non ti viene di alzare con gratitudine le mani al cielo
per lodare benedire ringraziare,
se hai difficoltà a stringere le mani a chi ti sta accanto
solo perché è un prediletto da Dio,
se non avverti la spinta a gettarti in ginocchio per adorare Dio
e temi di rovinare la striscia dei pantaloni,
se non avverti la fame di giustizia e di verità
che vibra attorno a te oggi in questo mondo,
se non ardi dal desiderio che ci sia pace e amore
anche per le creature dell'Africa e dell'Asia,
se non brami occhi puri e cuore limpido
per vedere il mondo che Dio ama e salva,
è tempo che tu smetta di illuderti.
Tu non attendi più un Messia e un Salvatore.
Dillo pure: mi bastano le varie assicurazioni,
la carta di credito, il libretto di assegni,
le multi-proprietà, gli investimenti che rendono,
le giuste conoscenze, le amicizie influenti,....
Fratello, puoi andare in chiesa per Natale,
ma se a Gesù non hai spalancato la tua vita,
non celebrerai il vero Natale.
Fratello, se a Natale sai dire solo:
"Auguri di Buon Natale",
"buone feste",
"buona fine e buon principio"
il Natale è per te un giorno di vacanza,
non un giorno di festa e di gioia piena.

Nataleconversioneaperturachiusura

5.0/5 (3 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 08/11/2011

RACCONTO

16. Il principe felice   2

Oscar Wilde

Alta sopra la città, su una lunga, esile colonna sporgeva la statua del Principe Felice. Era tutto dorato di sottili foglie d'oro fino, i suoi occhi erano due lucenti zaffiri, e un grande rubino rosso luccicava sull'elsa della sua spada.

Tutti lo ammiravano. "E' bello come una banderuola" osservò un giorno uno degli assessori di città che ambiva farsi una reputazione d'uomo di gusto; "però è meno utile" si affrettò a soggiungere, per timore che la gente lo giudicasse privo di senso pratico, cosa che egli non era affatto.
"Perché non sai comportarti come il Principe Felice?" chiese una madre piena di buon senso al suo bambino che piangeva perché voleva la luna. "Il Principe Felice non si sogna mai di piangere per nulla".
"Sono contento che a questo mondo ci sia qualcuno veramente felice" borbottò un uomo disilluso ammirando la splendida statua.
"Assomiglia a un angelo" dissero i Trovatelli uscendo dalla cattedrale nei loro lucenti mantelli scarlatti e nei loro lindi grembiulini candidi.
"Come fate a dire questo?" osservò il professore di matematica, "se non ne avete mai veduti!"
"Oh, si, che ne abbiamo visti, nei nostri sogni!" risposero i bambini, e il professore di matematica aggrottò la fronte e fece la faccia scura, perché non trovava giusto che i bambini sognassero.

Una sera volò sulla città un Rondinotto. I suoi amici se n'erano andati in Egitto sei settimane innanzi, ma egli era rimasto indietro perché si era innamorato di una bellissima Canna. L'aveva conosciuta al principio di primavera mentre volava giù per il fiume in caccia di una grossa falena gialla, ed era stato talmente attratto dalla sua vita sottile che si era fermato a parlarle.
"Vuoi che m'innamori di te?" le aveva chiesto il Rondinotto, cui piaceva venir subito al sodo, e la Canna gli aveva fatto un profondo inchino. Così egli le volò più volte intorno, sfiorando l'acqua con le ali, e increspandola di cerchi argentei. Questa fu la sua corte, e durò tutta l'estate.
"Proprio un attaccamento ridicolo," garrivano le altre Rondini, "E' senza un soldo, ma in compenso ha un sacco di parenti," e a dire il vero il fiume era zeppo di Canne.
Poi, non appena venne l'autunno, le Rondini volarono via tutte. Quando se ne furono andate il Rondinotto si sentì solo, e incominciò a stancarsi della sua bella.
"Non sa conversare" si disse, "e temo sia una civetta poiché seguita a frascheggiare col vento." E infatti, ogni volta che il vento spirava, la Canna si piegava con inchini graziosissimi.
"Riconosco che sei casalinga," prosegui il Rondinotto, "ma a me piace viaggiare e di conseguenza anche a mia moglie dovrebbero piacere i viaggi".
"Vuoi venir via con me?" le chiese infine, ma la Canna scosse la testa, era troppo affezionata alla sua casa. "Tu mi hai preso in giro!" gridò il Rondinotto. "Me ne vado alle Piramidi. Addio!" e volò via.
Volò tutto il giorno, e a sera giunse alla città.
"Dove alloggerò?" si disse. "Spero mi abbiano preparato dei festeggiamenti."
Ma poi notò la statua sull'alta colonna. "Andrò ad abitare lì," esclamò. "La posizione è bellissima, e ci si deve respirare dell'ottima aria fresca."

Così si posò proprio tra i piedi del Principe Felice.
"Ho una camera da letto tutta d'oro" mormorò sottovoce tra sé e sé, guardandosi attorno e preparandosi per la notte, ma giusto mentre stava mettendo la testa sotto l'ala gli cadde addosso una grossa goccia d'acqua.
"Che cosa strana!" esclamò. "In cielo non c'è neanche la più piccola nuvola, le stelle sono chiare e luminose, eppure piove. Il clima del Nord Europa è semplicemente spaventoso. Alla Canna la pioggia piaceva, ma questo era dovuto unicamente al suo egoismo".
In quella cadde un'altra goccia.
"A che serve una statua se non riesce a riparare dalla pioggia?" brontolò; "bisogna che mi cerchi un buon comignolo," e fece per volarsene via. Ma proprio mentre stava per aprire le ali una terza goccia cadde, ed egli allora alzò gli occhi e vide... ah, che cosa vide? Gli occhi del Principe Felice erano gonfi di lagrime, e lagrime rigavano le sue guance dorate. Il suo viso era così bello sotto la luce della luna che il piccolo Rondinotto si senti invadere da una profonda pietà.
"Chi sei?" chiese.
"Sono il Principe Felice".
"Perché piangi, allora? Mi hai inzuppato tutto."
"Quando ero vivo e avevo un cuore umano," rispose la statua, "non sapevo che cosa fossero le lagrime, perché abitavo nel Palazzo di Sans-Souci, dove al dolore non è permesso di entrare. Durante il giorno giocavo coi miei compagni nel giardino, e la sera guidavo le danze nella Grande Sala. Intorno al giardino correva un muro altissimo, ma mai io mi curai di sapere che cosa si stendesse al di là di esso, ogni cosa intorno a me era così bella! I miei cortigiani mi chiamavano il Principe Felice, e se il piacere è felicità, io ero veramente felice. Così vissi, e così morii. E ora che sono morto mi hanno messo qui tanto in alto che adesso vedo tutta la bruttezza e tutta la miseria della mia città, e sebbene il mio cuore sia di piombo altro non mi resta che piangere".
"Come mai? Non è d'oro massiccio?" si chiese mentalmente il Rondinotto, perché era troppo educato per rivolgere ad alta voce domande di carattere personale.
"Lontano lontano," proseguì la statua con la sua dolce voce musicale, "lontano in una stradina c'è una povera casa. Una finestra di questa casa è aperta e attraverso vi vedo una donna seduta a un tavolo. Ha il viso magro e sciupato, e le sue mani sono rosse e ruvide e tutte bucherellate dall'ago, poiché fa la cucitrice. Sta ricamando passiflore su un abito di raso che la più bella tra le damigelle d'onore della Regina indosserà al prossimo ballo di Corte. In letto, in un angolo della stanza, il suo bambino giace ammalato. Ha la febbre e vorrebbe mangiare delle arance, ma sua madre non ha nulla da dargli, fuorché acqua di fiume, perciò il bambino piange. Rondinotto, piccolo Rondinotto, non gli porteresti il rubino che luccica sull'elsa della mia spada? I miei piedi sono attaccati a questo piedistallo e io non mi posso muovere".
"Sono aspettato in Egitto" rispose il Rondinotto. "I miei amici in questo momento volano sul Nilo, e discorrono con i grandi fiori di loto. Tra poco andranno a dormire nella tomba del gran Re, dove il Re stesso riposa nel suo sarcofago dipinto, avvolto in gialli lini e imbalsamato con aromi. Ha il collo adorno di una collana di giada verde pallida, e le sue mani assomigliano a foglie avvizzite".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me per una notte soltanto, ed essere il mio messaggero? Il bambino ha tanta sete, e la madre è così triste!"
"Non credo che mi piacciano i bambini" replicò il Rondinotto. "L'estate scorsa, quando stavo sul fiume, c'erano due ragazzi maleducati, i due figliuoli del mugnaio, che mi tiravano sempre sassi. Naturalmente non mi hanno mai preso, si capisce: noi rondini voliamo troppo bene per lasciarci colpire, e del resto io vengo da una famiglia famosa per la sua agilità; comunque però era una grave mancanza di rispetto".
Ma il Principe Felice aveva un viso così doloroso che il Rondinotto ne provò pena. "Qui fa molto freddo" disse, "ma per farti piacere resterò ancora una notte e sarò tuo messaggero".
"Grazie, piccolo Rondinotto" disse il Principe.

Così il Rondinotto colse il grande rubino che ornava la spada del Principe e volò sopra i tetti della città, tenendo stretto il gioiello nel becco appuntito. Passò accanto alla torre della cattedrale, su cui erano scolpiti i grandi angeli di marmo. Passò accanto al palazzo e udì un suono di danze.
Una fanciulla bellissima si affacciò al balcone col suo innamorato. "Guarda che stelle meravigliose" egli le disse, "e come è meraviglioso il potere dell'amore! "
"Spero che il mio vestito sarà pronto per quando ci sarà il ballo di Stato" rispose la fanciulla. "Ho ordinato che sia ricamato a passiflore, ma le cucitrici sono talmente pigre! "
Passò sopra il fiume, e vide le lanterne appese agli alberi delle navi. Passò sul Ghetto, e vide i vecchi Ebrei che contrattavano tra di loro, e pesavano il danaro su bilance di rame. E finalmente giunse alla povera casa e vi guardò dentro. Il bambino si agitava febbrilmente sul letto, mentre la madre si era addormentata: era tanto stanca! Saltellò nella stanza e posò il grosso rubino sul tavolo, accanto al ditale della donna. Poi volò piano attorno al letto, e accarezzò con le sue ali la fronte del piccolo, facendogli vento dolcemente.
"Come mi sento fresco!" disse il bambino. "Forse incomincio a star meglio" e si addormentò di un sonno tranquillo.
Allora il Rondinotto rivolò dal Principe Felice e gli raccontò quello che aveva fatto. "E' strano" osservò, "ma benché faccia un freddo cane adesso ho caldo."
"Perché hai compiuta una buona azione" gli disse il Principe.
Il piccolo Rondinotto incominciò a pensare, ma subito si addormentò: il pensare gli metteva sempre addosso un gran sonno.
Quando il giorno spuntò, volò giù al fiume e prese un bagno.
"Che fenomeno straordinario!" esclamò il Professore di Ornitologia che passava in quel momento sul ponte. "Una Rondine d'inverno!" E mandò al giornale locale una lunga lettera in proposito. Tutti la citarono: era costellata di un sacco di vocaboli che nessuno capiva.
"Questa sera parto per l'Egitto" disse il Rondinotto, e questa previsione lo mise di ottimo umore. Visitò tutti i monumenti pubblici, e rimase a lungo seduto in cima al campanile della chiesa. Dovunque andava i Passeri cinguettavano e bispigliavano tra di loro: "Che forestiero distinto!" Cosicché il Rondinotto si divertì un mondo.
Quando la luna sorse rivolò dal Principe Felice. "Hai qualche commissione da darmi per l'Egitto?" disse. Sono di partenza.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me ancora una notte?"
"In Egitto mi aspettano" rispose il Rondinotto. "Domani i miei amici voleranno fino alla Seconda Cateratta. Laggiù, tra i giunchi, se ne sta accovacciato l'ippopotamo, e su un grande trono di granito siede il Dio Memnone. Tutta la notte egli contempla le stelle, e quando risplende la stella del mattino proferisce un unico grido di gioia, e poi tace. A mezzogiorno i leoni fulvi scendono a bere all'orlo dell'acqua. Hanno occhi simili a verdi berilli, e il loro ruggito è più forte del ruggito della cateratta".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "lontano lontano, dall'altra parte della città, vedo un giovane in una soffitta, appoggiato a una scrivania ingombra di carte, e in un boccale accanto a lui c'è un mazzolino di viole appassite. Ha i capelli bruni e crespi, le sue labbra sono rosse come una melagrana, e i suoi occhi sono grandi e sognanti. Sta sforzandosi di terminare una commedia per il Direttore del Teatro, ma ha troppo freddo per poter seguitare a scrivere. Non c'è fuoco nel suo camino, e la fame lo ha fatto svenire".
"Va bene, aspetterò presso di te un'altra notte" disse il Rondinotto, che aveva proprio un cuore d'oro. "Devo portargli un altro rubino?"
"Ahimé, non ho più rubini, ormai" disse il Principe, "tutto ciò che mi è rimasto sono i miei occhi, ma sono fatti di zaffiri rari, e furono portati dall'India più di mille anni fa. Strappane uno e portaglielo. Lo venderà al gioielliere, e si comprerà legna da ardere, e finirà la sua commedia".
"Caro Principe" disse il Rondinotto, "io non posso fare questo"
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, piangendo, "ubbidiscimi, ti prego".
Così il Rondinotto strappò l'occhio del Principe e volò fino alla soffitta dello studente. Era facile entrarvi, perché nel tetto c'era un buco. Il Rondinotto vi sfrecciò attraverso, e penetrò nella stanza. Il giovane aveva il capo affondato tra le mani, perciò non avvertì il frullio d'ali dell'uccello, e quando alzò gli occhi vide il bellissimo zaffiro adagiato in mezzo alle viole appassite.
"Incominciano ad apprezzarmi!" gridò; "certo me lo manda qualche grande ammiratore. Adesso potrò finalmente terminare la mia commedia!" Ed era tutto felice.
Il giorno dopo il Rondinotto volò giù al porto. Si posò sull'albero di una grossa nave e stette a osservare i marinai che a forza di funi calavano su dalla stiva pesanti casse. "Issa-oh! " si gridavan l'un l'altro a mano a mano che le casse salivano.
"Io vado in Egitto!" garrì il Rondinotto, ma nessuno gli badò, e quando spuntò la luna volò ancora una volta dal Principe Felice.
"Sono venuto a salutarti" gli disse.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi rimanere con me ancora per questa notte?"

"E' inverno ormai" rispose il Rondinotto, "e fra poco arriverà la fredda neve. In Egitto il sole è caldo sulle verdi palme, e i coccodrilli riposano nel fango e si guardano attorno con occhi pigri. I miei compagni stanno costruendo un nido nel Tempio di Baalbec, e le colombe rosee e bianche li guardano, e tubano tra loro. Caro Principe, debbo lasciarti, ma non ti dimenticherò mai, e la prossima primavera ti porterò due gemme bellissime, al posto di quelle che tu hai regalate. Il rubino sarà più rosso di una rosa rossa, e lo zaffiro sarà azzurro come il vasto mare".
"Nella piazza qua sotto" disse il Principe Felice, "ci sta una piccola fiammiferaia. I fiammiferi le sono caduti nella cunetta del marciapiedi, e si sono tutti bagnati. Suo padre la picchierà se non porterà a casa un po' di danaro, e perciò la piccola piange. Non ha né calze né scarpe, e la sua testolina è nuda. Strappa l'altro mio occhio e portaglielo, così suo padre non la batterà".
"Resterò con te ancora per questa notte" disse il Rondinotto, "ma non posso strapparti l'altro occhio. Rimarresti completamente cieco".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "fa' come ti dico".
Così il Rondinotto strappò l'altro occhio del Principe e sfrecciò giù nella piazza. Passò roteando accanto alla piccola fiammiferaia e le fece scivolare il gioiello nel palmo della mano.
"Che bel pezzettino di vetro!" esclamò la bambina, e corse a casa ridendo.
Poi il Rondinotto ritornò dal Principe. "Adesso sei cieco" disse, "perciò io resterò con te per sempre".
"No, piccolo Rondinotto" mormorò il povero Principe, "tu devi andare in Egitto".
"Resterò con te per sempre" ripetè il Rondinotto, e dormì ai piedi del Principe. Poi tutto il giorno seguente se ne stette appollaiato sulla spalla del Principe, e gli raccontò quello che aveva veduto in paesi lontani. Gli parlò dei rossi ibis, che sostano in lunghe file sulle rive del Nilo e col becco acchiappano pesciolini dorati; gli parlò della Sfinge, che è vecchia quanto il mondo, e vive nel deserto, e conosce ogni cosa; gli parlò dei mercanti che viaggiano piano al fianco dei loro cammelli e recano tra le mani rosari d'ambra; gli parlò del Re della Montagna della Luna, che è nero come l'ebano, e adora un enorme cristallo; gli parlò del grande serpente verde che dorme in un palmizio ed è nutrito da venti sacerdoti con focacce di miele; gli parlò infine dei pigmei che veleggiano su un grande lago sopra larghe foglie piatte e sono sempre in guerra con le farfalle.
"Caro Rondinotto" disse il Principe, "tu mi parli di cose meravigliose, ma più meraviglioso di qualsiasi cosa è il dolore degli uomini e delle donne. Non vi è Mistero più grande della Miseria. Vola sulla mia città, piccolo Rondinotto, e raccontami quello che vedi".

Così il Rondinotto volò sopra la grande città, e vide i ricchi gozzovigliare nelle loro splendide dimore, mentre i poveri sedevano fuori, ai cancelli. Volò in bui vicoli, e vide i visi bianchi dei bambini affamati che fissavano con occhi assenti le strade oscure.
Sotto l'arcata di un ponte due ragazzini si stringevano l'uno all'altro cercando di riscaldarsi a vicenda.
"Che fame, abbiamo!" dicevano.
"Non potete dormire laggiù" gridò la guardia, e i due bambini si allontanarono sotto la pioggia.
Allora il Rondinotto tornò indietro e raccontò al Principe quello che aveva veduto.
"Sono tutto ricoperto d'oro fino" disse il Principe, "tu devi togliermelo di dosso, foglia per foglia, e darlo ai miei poveri: i vivi credono che l'oro possa renderli felici".
Il Rondinotto piluccò via foglia dopo foglia del fine oro, finché il Principe Felice divenne tutto opaco e grigio. Foglia per foglia del fine oro egli portò ai poveri, e le facce dei bambini si fecero più rosate, ed essi risero e giocarono giochi infantili nelle strade.
"Abbiamo pane, adesso! " gridavano.
Poi venne la neve, e dopo la neve venne il gelo. Le strade sembravano pavimentate d'argento, tanto erano lucide e scintillanti; lunghi ghiaccioli, simili a lame di cristallo, pendevano dalle gronde delle case; tutti giravano impellicciati e i ragazzini indossavano cappucci scarlatti e pattinavano sul ghiaccio.
Il povero piccolo Rondinotto aveva sempre più freddo, ma non voleva lasciare il Principe; gli voleva troppo bene. Raccoglieva briciole fuor dell'uscio del fornaio quando questi aveva la schiena voltata, e cercava di scaldarsi battendo le ali.
Ma alla fine capì che era prossimo a morire. Ebbe giusto la forza di volare un'ultima volta sulla spalla del Principe.
"Addio, caro Principe" mormorò, "mi permetti che ti baci la mano? "
"Sono contento che tu vada in Egitto, finalmente, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "sei rimasto qui anche troppo tempo, ma tu devi baciarmi sulle labbra, perché io ti amo".
"Non è in Egitto che io vado" disse il Rondinotto, "vado alla Casa della Morte. La Morte non è forse la sorella del Sonno?" E baciò il Principe Felice sulle labbra, e cadde morto ai suoi piedi.
In quel momento si udì nell'interno della statua uno strano crac, come se qualcosa si fosse rotto. Il fatto è che il cuore di piombo si era spaccato netto in due.

Certo faceva un freddo cane. Il mattino seguente per tempo il Sindaco andò a passeggiare nella piazza sottostante in compagnia degli Assessori. Nel passare dinnanzi alla colonna alzò gli occhi verso la statua:
"Dio mio! Com'è conciato il Principe Felice! " esclamò.
"Davvero! Com'è conciato! " esclamarono gli Assessori che ripetevano sempre quel che diceva il Sindaco, e andarono tutti su per vedere meglio.
"Gli è caduto il rubino dall'elsa della spada, gli occhi non ci sono più, e la doratura è scomparsa" disse il Sindaco, "insomma, sembra poco meno che un accattone!"
"Poco meno che un accattone" ripeterono in coro gli Assessori civici.
"E qui, ai piedi della statua, c'è persino un uccello morto! " proseguì il Sindaco. "Dobbiamo assolutamente emanare un'ordinanza che agli uccelli non sia permesso di morire qui!"
E lo Scrivano Pubblico prese appunti per la stesura del decreto.
Così tirarono giù la statua del Principe Felice.
"Dal momento che non è più bello non è nemmeno più utile" osservò il Professore di Belle Arti dell'Università.
Quindi fusero la statua in una fornace e il Sindaco indisse un'adunanza della Corporazione per decidere quel che si doveva fare del metallo.
"Dobbiamo costruire un'altra statua" disse, "e sarà la mia statua".
"La mia" ripeté ciascuno degli Assessori, e litigarono. L'ultima volta che ebbi loro notizie stavano ancora litigando.
"Che cosa curiosa! " disse il sorvegliante degli operai della fonderia. "Questo rotto cuore di piombo non vuole fondersi nella fornace. Bisogna che lo gettiamo via".
E lo gettarono infatti su un mucchio di spazzatura dove avevano buttato anche il Rondinotto morto.

"Portami le due cose più preziose che trovi nella città" disse Dio a uno dei Suoi Angeli; e l'Angelo gli portò il cuore di piombo e l'uccello morto.
"Hai scelto bene" gli disse Dio, "poiché nel mio giardino del Paradiso questo uccellino canterà in eterno, e nella mia città d'oro il Principe Felice mi loderà".

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inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 06/05/2011

PREGHIERA

17. Credo

Credo in Dio Padre
che creò la donna e l'uomo a sua immagine e somiglianza
e consegnò ai due la cura del mondo:
e vide che questo era molto buono;
che chiese il consenso ad una donna
per realizzare la sua opera di salvezza.
Credo in Gesù nato da una donna;
che ascoltava e valorizzava le donne
e le proteggeva contro le accuse degli uomini.
Che aveva donne discepole che lo seguivano e servivano.
Che apparve per primo a Maria Maddalena ed altre donne
e le invia per prime ad annunciare
la buona novella della sua Resurrezione proprio ai suoi discepoli.
Credo nello Spirito Santo,
soffio e principio di vita che è disceso
sopra uomini e donne nel giorno della Pentecoste
e che spinge la comunità della Chiesa verso l'uguaglianza.

donnamariamadonnaSpirito SantoDio Padre

inviato da Forner Fortunato, inserito il 25/11/2009

TESTO

18. Quel bambino

Chiara Lubich

Quando ti preghiamo, Gesù, nel nostro cuore, quando ti adoriamo nell'Ostia Santa dell'altare, quando conversiamo con te presente in Cielo, e a te diciamo il nostro grazie per la vita e su te versiamo il pentimento dei nostri sbagli, e da te invochiamo le grazie di cui abbiamo bisogno, sempre ti pensiamo adulto, Signore.

Ora ecco che, luce sempre nuova, ogni anno ritorna Natale e, come una rinnovata rivelazione, ti mostri a noi bambino, neonato in una culla, e un'onda di commozione ci invade. E non sappiamo più formulare parola, né osiamo chiedere, né ci sentiamo di pesare su tante minuscole forze seppur onnipotenti.

Il mistero ci ammutolisce ed il silenzio adorante dell'anima si confonde con quello di Maria, la quale, alla dichiarazione dei pastori che udirono il celeste canto degli angeli, "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19).

Il Natale: quel Bambino sempre ci appare come uno dei misteri più sconcertanti della nostra fede, perché è principio della rivelazione dell'amore di Dio per noi che poi s'aprirà in tutta la sua divina, misericordiosa, onnipotente maestosità.

NataleamoreGesù bambino

inviato da Franco Canzian, inserito il 24/11/2009

TESTO

19. Confessio Fidei - Narratio amoris   1

Bruno Forte, Confessare la fede narrando l'Amore

Una confessione di fede cristiana non è altro che la «sanctae Trinitatis relata narratio» (Concilio XI di Toledo: DS 528): il racconto dell'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, cui abbiamo creduto sulla parola dei testimoni delle nostre origini, trasmessa nella vivente tradizione ecclesiale («relata narratio»). Chi confessa la fede, parla di Dio raccontando l'Amore, così come si è rivelato nell'evento trinitario di Pasqua:

Credo in te, Padre,
Dio di Gesù Cristo,
Dio dei nostri Padri e nostro Dio:
tu, che tanto hai amato il mondo
da non risparmiare
il tuo Figlio Unigenito
e da consegnarlo per i peccatori,
sei il Dio, che è Amore.
Tu sei il Principio senza principio dell'Amore,
tu che ami nella pura gratuità,
per la gioia irradiante di amare.
Tu sei l'Amore che eternamente inizia,
la sorgente eterna da cui scaturisce
ogni dono perfetto.
Ti ci hai fatti per te,
imprimendo in noi la nostalgia del tuo Amore,
e contagiandoci la tua carità
per dare pace al nostro cuore inquieto.

Credo in te, Signore Gesù Cristo,
Figlio eternamente amato,
mandato nel mondo per riconciliare
i peccatori col Padre.
Tu sei la pura accoglienza dell'Amore,
Tu che ami nella gratitudine infinita,
e ci insegni che anche il ricevere è divino,
e il lasciarsi amare non meno divino
che l'amare.
Tu sei la Parola eterna uscita dal Silenzio
nel dialogo senza fine dell'Amore,
l'Amato che tutto riceve e tutto dona.
I giorni della tua carne,
totalmente vissuti in obbedienza al Padre,
il silenzio di Nazareth, la primavera di Galilea,
il viaggio a Gerusalemme,
la storia della passione,
la vita nuova della Pasqua di Resurrezione,
ci contagiano il grazie dell'amore,
e fanno di noi, nella sequela di te,
coloro che hanno creduto all'Amore,
e vivono nell'attesa della Tua venuta.

Credo in te, Spirito Santo,
Signore e datore di vita,
che ti libravi sulle acque
della prima creazione,
e scendesti sulla Vergine accogliente
e sulle acque della nuova creazione.
Tu sei il vincolo della carità eterna,
l'unità e la pace
dell'Amato e dell'Amante,
nel dialogo eterno dell'Amore.
Tu sei l'estasi e il dono di Dio,
Colui in cui l'amore infinito
si apre nella libertà
per suscitare e contagiare
amore.
La tua presenza ci fa Chiesa,
popolo della carità,
unità che è segno e profezia
per l'unità del mondo.
Tu ci fai Chiesa della libertà,
aperti al nuovo
e attenti alla meravigliosa varietà
da te suscitata nell'amore.
Tu sei in noi ardente speranza,
tu che unisci il tempo e l'eterno,
la Chiesa pellegrina e la Chiesa celeste,
tu che apri il cuore di Dio
all'accoglienza dei senza Dio,
e il cuore di noi, poveri e peccatori,
al dono dell'Amore, che non conosce tramonto.
In te ci è data l'acqua della vita,
in te il pane del cielo,
in te il perdono dei peccati
in te ci è anticipata e promessa
la gioia del secolo a venire.

Credo in te, unico Dio d'Amore,
eterno Amante, eterno Amato,
eterna unità e libertà dell'Amore.
In te vivo e riposo,
donandoti il mio cuore,
e chiedendoti di nascondermi in te
e di abitare in me.
Amen!

credoDioamore di DiofedePadreFiglioSpirito Santo

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inviato da Qumran2, inserito il 15/07/2009

TESTO

20. Dio in principio si mise da parte

Mary Gales Ryian, "Servitium" quaderni di ricerca spirituale

Dio in principio si mise da parte,
e così ebbe inizio il mondo.
Questo è il segreto dell'amore:
mettersi da parte.
Se puoi, cerca soprattutto
di metterti da parte.
Chiedi per te
solo un piccolo angolo nel tempo.
Metti confini al tuo volere,
e guarda come fiorisce un mondo.

amoreservizio

inviato da Fr. Marcellino Pane, inserito il 02/06/2009

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