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PREGHIERA

1. Preghiera per la prima Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani

Papa Francesco

Ti rendo grazie, Signore,
per il conforto della Tua presenza:
anche nella solitudine,
sei la mia speranza, la mia fiducia;
fin dalla giovinezza, mia roccia e mia fortezza tu sei!

Ti ringrazio per avermi donato una famiglia
e per la benedizione di una lunga vita.
Ti ringrazio per i momenti di gioia e di difficoltà,
per i sogni realizzati e quelli ancora davanti a me.
Ti ringrazio per questo tempo di rinnovata fecondità
a cui mi chiami.

Accresci, o Signore, la mia fede,
rendimi uno strumento della tua pace;
insegnami ad accogliere chi soffre più di me,
a non smettere di sognare
e a narrare le Tue meraviglie alle nuove generazioni.

Proteggi e guida papa Francesco e la Chiesa,
perché la luce del Vangelo giunga ai confini della terra.
Manda il Tuo Spirito, o Signore, a rinnovare il mondo,
perché si plachi la tempesta della pandemia,
i poveri siano consolati e termini ogni guerra.

Sostienimi nella debolezza,
e donami di vivere in pienezza
ogni istante che mi doni,
nella certezza che sei con me ogni giorno
fino alla fine del mondo.

Amen.

nonnianzianivecchiaia

inviato da Qumran2, inserito il 11/02/2022

TESTO

2. Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile

Don Luca Murdaca, ilbuongiorno.wordpress.com

Le mani di un bambino devono afferrare quelle dei genitori per accompagnarlo nella vita.
Le mani di un bambino devono afferrare le matite colorate per disegnare i propri sogni.
Le mani di un bambino devono accarezzare la barba di papà.
Le mani di un bambino devono accarezzare i capelli di mamma per addormentarsi.
Le mani di un bambino devono fare “ciao”.
Le mani di un bambino devono essere sporche di terra per aver giocato con gli amici.
Le mani di un bambino devono afferrare gli orecchini della nonna.
Le mani di un bambino devono accarezzare il bau.

Le mani di un bambino non devono produrre soldi, ma solo tenerezza e amore.

vitalavoro minorilegiustiziatenerezzaamorebambinidiritti

inviato da Don Luca Murdaca, inserito il 11/02/2022

RACCONTO

3. I biscotti bruciati   3

Quando ero piccola, a mia mamma piaceva preparare come cena ciò che solitamente si mangia a colazione. Quella sera, una lunga e dura giornata di lavoro, mia mamma mise davanti a mio padre un piatto di uova, salsiccia e biscotti estremamente bruciati. Io aspettavo in silenzio per vedere se qualcuno se ne fosse accorto!

Mio padre prese il suo biscotto, sorrise a mia madre e mi chiede come era andata la mia giornata a scuola. Non ricordo cosa gli ho detto, ma ricordo benissimo di averlo visto spalmare burro e gelatina su quel brutto biscotto bruciato. Mangiò ogni boccone senza scomporsi e senza pronunciare una parola al riguardo!

Quando mi sono alzato dal tavolo quella sera, mia madre si scusò con mio padre per aver bruciato i biscotti. E non dimenticherò mai quello che risposte mio padre: «Tesoro, adoro i biscotti bruciati di tanto in tanto.»

Più tardi quella sera andai a baciare la buonanotte a papà e gli chiesi se gli piacevano davvero i suoi biscotti bruciati. Mi abbracciò e mi disse: «Tua mamma ha passato una dura giornata di lavoro oggi ed è davvero stanca. E poi un biscotto bruciato non ha mai fatto male a nessuno!»

Quando sono cresciuto, ci ho pensato molte volte. La vita è piena di cose imperfette e persone imperfette. Non sono il migliore in quasi nulla, e dimentico compleanni e anniversari proprio come tutti gli altri. Ma quello che ho imparato nel corso degli anni è che imparare ad accettare i reciproci difetti e scegliere di celebrare le reciproche differenze è una delle chiavi più importanti per creare una relazione sana, in crescita e duratura.

E questa è la mia preghiera per te oggi: che imparerai a prendere le parti buone, cattive e brutte della tua vita e metterle da parte. Potremmo estenderlo a qualsiasi relazione. In effetti, la comprensione è la base di ogni relazione, che si tratti di marito-moglie o genitore-figlio o amicizia!

"Non mettere la chiave della tua felicità nella tasca di qualcun altro, tienila nella tua."

Quindi, per favore, passami un biscotto e sì, quello bruciato andrà bene.

Sii più gentile del necessario perché tutti quelli che incontri stanno combattendo un qualche tipo di battaglia.

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3.5/5 (2 voti)

inserito il 23/06/2020

PREGHIERA

4. Lettera a Gesù Bambino   1

Giuliano Guzzo, www.giulianoguzzo.com

Caro Gesù Bambino,

una manciata di giorni e sarà il Tuo, se ancora vorrai visitare quest'umanità distratta e sperduta, in tutt'altre faccende affaccendata. E' incredibile, infatti, eppure accade ogni anno: si avvicina il Natale e di tutto ci si occupa - di mercatini, di cibo, di idee regalo, di pandori con la farina di insetti - fuorché della Ragione di Tutto, del Regalo dei Regali, di un Dio che non solo non se la tira, ma si umilia fino a farsi neonato, minuto ospite del mondo che Egli stesso ha creato; un po' come se Messi chiedesse di iscriversi alla squadra dei pulcini; se Federer elemosinasse la racchetta più economica; se Armani si aggirasse, sognante, fra bancarelle di capi di terza mano.

Un meraviglioso ed abbagliante paradosso che solo a Te, caro Gesù, sarebbe potuto venire in mente. Tuttavia, dicevo, quaggiù si stenta a rendersene conto. Non chiedermene la ragione, ma è così. La prima richiesta che mi permetto di avanzare con questa lettera è, quindi, quella di donarci lo stupore per la Tua venuta, il desiderio di fiondarci tra pecore e pastori, di bramare un posto che - oggi come 2000 e passa anni fa, purtroppo - pare interessi a pochi: quello dinnanzi a una grotta senza viste panoramiche, Jacuzzi né pavimento riscaldato ma con, dentro, una Grande Luce. Anzi, la sola vera Luce, al cui confronto le stesse stelle più splendenti non sono che fiacche lampadine.

La seconda richiesta che Ti rivolgo, sono Giga spirituali illimitati. La voglia di tornare a pregare, di farlo con intensità, fermi e in ginocchio, cosa oggi non facile. Come difatti saprai, qui è un continuo invito alla corsa: corri per affermarti, corri per cogliere l'attimo, corri per vincere, corri per restare in forma. Lo stesso Avvento è stato da tempo rimpiazzato dalla «corsa per gli acquisti»; come se a Natale si festeggiassero dei centometristi giamaicani e non un Bambino che, pur non potendo ancora camminare, ha fatto fare - da subito - enormi balzi in avanti all'umanità. Regalaci, insomma, la capacità di tornare ad affidarci a Te, la sola Bussola di cui abbisogna quel povero migrante che è il nostro cuore.

Sperando di non esagerare, avrei un terzo e ultimo desiderio. Ti vorrei chiedere di salutarci tanto, prima di venirci a trovare, Charlie Gard e tutti i piccoli come lui, scartati da un mondo che, da tempo, non sa più dare un significato alla fragilità, un senso al dolore, una direzione alle lacrime. Già lo sapranno, ma è bene che a questi Angeli venga ricordato che alcuni, qui, non si sono dimenticati di loro e che in loro nome continueranno a sottolineare che, se non si è favorevoli ad accogliere sempre la Vita, si può ben festeggiare Halloween, il Black Friday e, che so, la giornata mondiale del peto, ma il Natale, ecco, meglio lasciarlo stare. Per un briciolo di coerenza, se non altro.

Detto questo, caro Gesù, concludo - oltre che con la speranza le Poste Celesti sappiano recapitare questo messaggio per tempo dato che con l'eternità, sai com'è, hanno già abbastanza pratica quelle Italiane - con un ringraziamento. Ti ringrazio, senza voler dare ciò per scontato, per essere in viaggio e per riposare già nel ventre di Maria, al sicuro, dove le unghie e i soldati degli Erode, inclusi gli odierni, non possono arrivare. Non saprei dire, adesso, quanti saremo ad accoglierTi come meriti, ma dico grazie fin d'ora per la gioia che vorrai condividere col Tuo gregge, anche se è quello che è. Siamo infatti solo poveri diavoli stanchi di credersi grandi. Ma è per questo, in fondo, che aspettiamo un Bambino.

nataleavventoaccoglienzaspiritualitàstuporevita

inviato da Qumran2, inserito il 19/02/2018

PREGHIERA

5. Esame di coscienza sui vizi capitali   1

Penitenziale per i giovani in preparazione alla XXII Giornata Mondiale della Gioventù in San Pietro alla presenza di Benedetto XVI, Libreria Editrice Vaticana, 2007

Perdona Signore i nostri peccati di superbia: le azioni che cercano solo la lode e l'approvazione della gente, l'ambizione, la ricerca di potere e di notorietà.
Perdonaci per quando parliamo, diamo consigli, studiamo, lavoriamo, facciamo il bene solo in funzione di ciò che ne penseranno gli altri e per catturare la stima altrui.
Perdonaci per quando esibiamo con vanità la bellezza fisica e le qualità dateci da Dio.
Perdonaci per l'arroganza che nasce dalla superbia, per il desiderio di non dipendere da nessuno, e nemmeno da Dio, per il vittimismo con cui sappiamo darci sempre una giustificazione.
Rendici umili. L'umiltà è la virtù che elimina tutte le passioni perché in essa noi ci rendiamo disponibili ad essere aiutati da Dio.

Perdona Signore i nostri peccati di invidia: l'ostilità, l'odio, l'idea che il male altrui possa essere bene per noi.
Perdona l'egocentrismo che ci impedisce di desiderare il bene per gli altri e ci rende incapaci di amare, il malcontento e i contrasti generati dall'invidia. Liberaci dal rancore, dal tormento interiore, dall'insoddisfazione.
Perdonaci quando vediamo tutto in funzione di noi stessi, quando non sappiamo mettere un freno ai desideri, quando chiamiamo l'invidia "sana competitività".
Perdona i cedimenti a una società che alimenta continuamente l'ambizione, l'avidità e la vuota curiosità.
Perdonaci quando desideriamo la roba d'altri e ci condanniamo all'infelicità.
Aiutaci a contrastare l'invidia con il dono quotidiano di noi stessi per i fratelli.

Perdona Signore i nostri peccati d'ira: i turbamenti del cuore, i sentimenti di avversione verso i fratelli quando sentiamo colpito il nostro io, l'animosità eccitata, l'aggressività del corpo, la sete di vendetta.
Perdonaci quando l'ira soffoca la libertà, ci rende schiavi di noi stessi, toglie la pace interiore ed esteriore.
Perdonaci la tentazione di "farla pagare" a chi ci ha umiliato, il piacere perverso del "far del male a qualcuno", i giudizi taglienti e la gratuita durezza verso gli altri, le mille giustificazioni dell'ira.
Aiutaci a seguire la via suggerita dai padri: “il silenzio delle labbra pur nel turbamento del cuore", dato che "La medicina perfetta... sarà quella di essere prima di tutto ben persuasi che non ci è consentito adirarci mai e in nessun modo".

Perdona Signore i nostri peccati di accidia: il torpore, la pigrizia, l'abbattimento, la tristezza, la dipendenza e le crisi di astinenza da stimoli e piaceri esteriori che ci lasciano sempre tristi e vuoti.
Perdonaci per la noia che a volte proviamo nel pregare e che ci spinge a cercare distrazioni, o ci lascia soli a parlare con noi stessi.
Perdonaci quando l'accidia genera disgusto e noia per ogni attività sana e spirituale, per quando la stessa vita quotidiana si tinge di tristezza, svogliatezza, vittimismo e lagnanza.
Perdonaci per la vita senza scopo, il tempo perso e la fuga dall'impegno quotidiano.
Donaci il desiderio di reagire. Facci trovare una guida spirituale e fa' che accettiamo la disciplina dell'obbedienza, unica via per non essere sballottati come un corpo inerte in balia delle passioni.

Perdonaci Signore per i peccati di avarizia: l'avidità, la brama di possedere, la fiducia smodata riposta nel denaro. Perdonaci se per avarizia lavoriamo di domenica, siamo disonesti, non diamo in elemosina, ci circondiamo di cose superflue.
Perdona le conseguenze terribili della fame di soldi: liti familiari, ansie e falsi timori, tradimenti, frodi, inganni, spergiuri, violenza e indurimento del cuore.
Perdonaci l'abitudine a essere insoddisfatti per ciò che abbiamo e bramosi di ciò che non ci è dato. Liberaci da lussi inutili, comodità e abitudini dispendiose.
Perdona le ingiustizie della società, le drammatiche disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri, le guerre, i disumani sfruttamenti e l'inganno delle coscienze prodotto da un sistema di accumulo e consumo che fa di tutto per eccitare la brama di possesso.
Aiutaci a sottrarci all'influenza dei media e a fidarci di te, che rivesti i gigli del campo e non abbandoni gli uccelli del cielo.

Perdonaci Signore per i peccati di gola: il rapporto irrazionale con il cibo, i vizi del fumo, dell'alcool, delle droghe, la dipendenza che ci fa schiavi.
Perdonaci se scambiamo per la libera scelta ciò che è solo condizionamento dell'abitudine, delle mode, della pubblicità.
Perdonaci per la mente ottenebrata che si allontana anche dalla preghiera e dalle sane letture, per gli eccessi che ci rendono meno padroni di noi stessi e affievoliscono la capacità di autocontrollo.
Insegnaci la capacità dell'astinenza, che disintossica il corpo e la mente. Aiutaci a scoprire i piaceri sani della vita, per essere capaci di amare i fratelli con la libertà e la gioia con cui tu hai amato noi.

Perdonaci Signore per i peccati di lussuria, che ci fanno schiavi del sesso, e per il disordine morale che mette a rischio persone, famiglie e società.
Perdona il cedimento a immagini proposte ad arte, a voci allusive, alla pornografia in video e in rete. Perdonaci la debolezza di fronte a piaceri tanto intensi quanto effimeri.
Perdona la mentalità diffusa che si spaccia il disordine sessuale per conquista e fa credere che ogni istinto debba trovare immediata soddisfazione. Facci comprendere che non è libero chi non ha il controllo di se stesso, chi si riduce al doppio gioco e alla menzogna, chi perde l'integrità morale e la pace, chi si chiude in se stesso.
Perdona i danni gravi nella società: per il sesso si litiga, si minaccia, si uccide; la libidine alimenta uno stile di vita fatuo, degenera spesso nella prostituzione, nel ricatto, nella pedofilia...
Aiutaci a custodire la castità nel cuore e nella mente, e a non avere rapporti sessuali prima o fuori del matrimonio, a evitare deviazioni e stravaganze. Insegnaci modestia e dignità nel vestire, custodisci sguardi e fantasie.
Aiutaci a riscoprire la meraviglia della sessualità secondo Dio, nella cornice dell'amore coniugale, nell'atmosfera di famiglia e di tenerezza dove il sesso non è profanato e svenduto ma è sacra partecipazione al dono della vita.

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inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

RACCONTO

6. Il tagliapietre scontento

Piero Ferrucci, La forza della gentilezza, Oscar Mondadori 2005

C'era una volta un uomo che odiava il suo lavoro. Era un tagliapietre, e doveva faticare tutto il giorno per una misera paga. «Che orrendo modo di vivere», pensava. «Come mi piacerebbe essere un riccone che può oziare tutto il giorno.» A un certo punto il suo desiderio divenne così intenso che si tramutò in realtà. Il tagliapietre sentì una voce che diceva: «Tu sei ciò che vuoi essere». Divenne ricco e poté avere da subito tutto ciò che aveva da sempre desiderato: una casa bellissima, cibo squisito, svaghi meravigliosi.

Era felice, ma dopo un po' vide passare il re in una processione e penso: «Lui è più potente di me, come vorrei essere io nei suoi panni!», di nuovo udì la voce e, come per magia, divenne il re. Era diventato l'uomo più potente del mondo. Ah, che ebbrezza il potere! Tutti gli obbedivano, tutti lo temevano, era felice, ma non completamente. A poco a poco si fece strada in lui una certa insoddisfazione che lo solleticava maligna. «Voglio ancora di più» pensò. Voglio voglio voglio. Vide il sole nel cielo, e pensò: «Il sole e ancora più potente di me, voglio essere il sole!».

Ed ecco che divenne il sole. Luminoso, grande, fortissimo. Dominava il cielo e la terra. Nulla e nessuno poteva esistere senza di lui. Che felicità! E che importanza! Però poi si accorse che sotto di lui le nuvole gli impedivano di vedere il paesaggio. Erano mobili e leggere. Invece di stare fisse nel cielo, potevano assumere infinite forme e al tramonto si coloravano di tinte stupende. Vivevano senza preoccupazioni ed erano libere. Che invidia.

Ma l'invidia durò poco. Sentì di nuovo la voce: «Tu sei ciò che vuoi essere». E fu subito nube. Era un piacere essere sospesa nell'aria, mobile, vaporosa. Si divertiva a prendere forme sempre diverse, ora spessa e opaca, ora bianca e ricca, ora sottile come un ricamo. Ma la nuvola d'un tratto dovette condensarsi in goccioloni di pioggia, che andarono a colpire una roccia di granito. Che impatto. La roccia era lì da millenni. Dura e solida. E invece le misere gocce di acqua si rompevano sul granito e scorrevano fino a essere assorbite dalla terra e comparire per sempre. Come sarebbe stato bello essere roccia, pensò.

Subito divenne roccia. Per un po' si godette la vita. Finalmente aveva trovato la stabilità. Ora si sentiva sicuro. «È la sicurezza che cercavo, dopo tutto, e di qui non mi muove più nessuno.» Le gocce di pioggia lo colpivano e scendevano lungo i suoi fianchi. Era un massaggio piacevole. Un omaggio. Il sole l'accarezzava con i suoi raggi. Com'era bello venire riscaldati! Il vento lo rinfrescava. Le stelle lo guardavano. Aveva raggiunto la completezza.

Un giorno, però, vide una figura che si stagliava all'orizzonte. Era un uomo un po' curvo con un grosso martello. Un tagliapietre. Incominciò a battere con il martello su di lui. Più che male sentì sgomento. Il tagliapietre era ancora più forte e poteva decidere del suo destino. «Come vorrei essere il tagliapietre» pensò.

E così il tagliapietre fu di nuovo tagliapietre. Dopo essere stato tutto ciò che avrebbe voluto essere, divenne di nuovo ciò che era sempre stato. Ma questa volta era felice, tagliare le pietre era diventato un'arte, il suono del martello era musica, la fatica alla fine della giornata era il benessere di chi aveva fatto bene il suo lavoro. E quella notte in sogno ebbe una meravigliosa visione della cattedrale che le sue pietre avrebbero contribuito a formare. Gli pareva che non ci fosse niente di meglio che essere ciò che era. Era rivelazione bellissima che, sapeva, non lo e mai abbandonato. Era la gratitudine.

Il tagliapietre in questa storia compie un passaggio essenziale. Dalla rivendicazione («Voglio questo, voglio quello») alla gratitudine («Sono contento di ciò che ho»). Nella prima c'è dualità, perché vogliamo ciò che non abbiamo. Ci presentiamo al mondo chiedendo, sentiamo di avere un diritto. Talora ciò che vogliamo lo chiediamo con passione, magari con prepotenza, e una volta che lo abbiamo ottenuto ci viene voglia di qualcos'altro. Gli altri sono nostri concorrenti e li guardiamo con sospetto. Nel secondo stato c'è unità, perché, invece di recriminare e protestare, diventiamo tutt'uno con ciò che ci è dato. Questo è il momento che ho sempre aspettato, pensiamo. Questo è ciò per cui vale la pena di vivere. Gli altri sono amici, non avversari. Sentiamo ogni cellula del nostro essere che dice grazie. «Gratefulness is heaven itself» diceva il poeta inglese William Blake: la gratitudine è il paradiso.

felicitàaccontentarsigratitudinelavoro

inviato da Qumran, inserito il 01/12/2017

TESTO

7. Francesco, va' e ripara la mia casa!

Avevo il cuore in subbuglio, non sapevo cosa fare della mia vita, qual era il progetto di Dio per me. Quelle settimane passeggiavo tanto e la mia meta preferita era la chiesetta diroccata di San Damiano, poco fuori delle mura di Assisi.

Chissà da quando non si celebrava la Messa in quella chiesetta, quando ci andavo vedevo qualche contadino che, dopo il lavoro, entrava e pregava, qualche bambino portava talvolta qualche fiori di campo.

I temporali avevano rovinato le mura e il tetto, che ormai era crollato del tutto, il pavimento non c'era più, c'erano pietre tutto intorno. Quel giorno c'era tanto silenzio, tanta pace e tranquillità. Era una bellissima giornata di sole che ormai volgeva al tramonto.
Sono entrato, come al solito nella chiesetta, mi sono avvicinato al grande Crocifisso e ho iniziato a pregare. Ho pensato al mio animo tanto turbato, alla ricchezza che possedevo, ma anche a quella chiesetta diroccata e alle persone povere che incontravo ogni giorno per le vie di Assisi.

Immerso nei miei pensieri ho alzato gli occhi verso il Cristo in croce e ho sentito una voce molto chiara nel mio cuore: "Va' Francesco, ripara la mia casa, che come vedi, va in rovina!".

Sono rimasto ammutolito e senza parole, ma sentivo già la risposta nascere dentro di me: "Sì, Signore... dimmi cosa devo fare".

Alla fine della mia vita ho capito che Gesù voleva che io riparassi la sua casa, ma anche che mi donassi ai poveri e a tutti gli uomini e costruissi così una Chiesa più vera e più bella, come la voleva lui!

san francescovocazionechiesaimpegnodisponibilità

inviato da Qumran2, inserito il 19/04/2017

RACCONTO

8. I due palloni   1

Due palloni erano usciti dalla fabbrica lo stesso giorno, erano finiti nello stesso sacco e portati nello stesso grande magazzino. Uno era rosso e uno era blu. Avevano fatto amicizia e così furono felicissimi di essere comprati dalla stessa persona. Finirono in un oratorio, dove sembrava che un orda di ragazzi non stesse aspettando altro che prenderli a calci. Lo facevano tutto il giorno, con un entusiasmo incredibile.

I due palloni volavano, rimbalzavano, sbattevano, facevano gol, venivano parati, sbucciati, infilati nell'angolino alto e basso, crossati e colpiti di testa... Una vera battaglia quotidiana. Alla sera si ritrovavano nello stesso armadio, pesti e ammaccati; la loro bella vernice brillante, le inserzioni bianche e nere, la scritta rossa, si stavano rapidamente screpolando.

"Non ne posso più!" si lamentava il pallone blu: "Non è vita questa! Presi a calci dalla mattina alla sera...Basta!"

"Che vuoi farci? Siamo nati palloni" ribatteva il pallone rosso. "Siamo stati creati per portare gioia e divertimento".

"Bel divertimento! Io non mi diverto proprio... E ho già cominciato a vendicarmi: oggi sono finito appositamente sul naso di un ragazzo e l'ho fatto sanguinare. Domani farò un occhio blu a quel tipo che mi sbatte sempre contro il muro!", incalzava il pallone blu.

"Eppure siamo sempre al centro dell'interesse. Basta che compariamo noi e il cortile si anima come per incanto. Credimi: siamo un dono dall'alto alla gioia degli uomini", rispondeva ancora il pallone rosso.

Passarono i giorni, e i pallone brontolone era sempre più scontento. "Se continuo così, scoppio!" disse una sera. "Ho deciso: domani sparirò. Ho adocchiato un tetto malandato, sul quale nessuno potrà salire a cercarmi. Mi basta un calcione un po' deciso...". E il pallone blu così fece. Riuscì a finire tra i piedi di Adriano, detto Bombarda, per i suoi rinvii alla "Viva il parroco!", e un poderoso calcione lo scagliò sul tetto proibito del caseggiato prospiciente il cortile dell'oratorio. Mentre volava in cielo, il pallone blu rideva felice: ce l'aveva fatta!

I primi tempi sul tetto furono una vera pacchia. Il pallone blu si sistemò confortevolmente nella grondaia e si preparò a una interminabile vacanza. "Ho chiuso con i calci e le botte", pensava con profondo compiacimento, "nel mio futuro non ci saranno che aria buona e riposo. Aaaah, questa è vita!".

Ogni tanto, dal tetto, sbirciava in giù e guardava il suo compagno scalciato a più non posso dai ragazzi del cortile. "Poverino", bofonchiava, "lui prende calci e io me ne sto qui a prendere il sole, pancia all'aria dal mattino alla sera".

Un giorno, un calcio possente glielo mandò vicino. "Resta qui!", gli gridò il pallone blu. Ma il pallone rosso rimbalzò sull'orlo della grondaia e tornò nel cortile. "Preferisco i calci!", rispose.

Passò il tempo. Nella grondaia il pallone blu si accorse che sole e pioggia lo avevano rapidamente fatto screpolare e ora si stava gradatamente sgonfiando. Divenne sempre più debole, tanto che non riusciva più nemmeno a lamentarsi. Del resto, non gliene importava molto: sempre solo, lassù, era diventato triste e depresso. Così una sera esalò un ultimo soffio.

Proprio in quel momento, il pallone rosso veniva riportato nell'armadio da due piccole mani. Prima di finire nel cassetto buio, sentì una voce che gli diceva "Ciao, pallone ci vediamo domani". E due labbra sporche di Nutella gli stamparono un bacione sulla pelle ormai rugosa. Nel suo cuore leggero come l'aria, il pallone si sentì morire di felicità. E si addormentò sognando il paradiso dei palloni, dove gli angioletti hanno piedini leggeri come nuvole.

Il racconto contiene una riflessione sulla responsabilità della vita e, in fondo, sulla inevitabile «fatica» che accompagna sempre il cammino dell'uomo. Chi rifiuta la fatica di questo compito, rischia il fallimento e l'infelicità radicale. Non è affatto un invito a piegare la testa davanti a un ipotetico e ineluttabile destino di sofferenza, bensì un invito a scoprire le gioie profonde, nascoste nel «dovere» di vivere con responsabilità la missione umana.

Spunti per un dialogo con i ragazzi:
- Se un pallone non vuoi fare il pallone, che succede? Che cosa diventa?
- Può capitare che un uomo non voglia fare l'uomo? Che cosa diventa?
- Ci sono delle cose che vi costano, durante la vostra giornata? Cercate di sfuggirle o le affrontate?

responsabilitàmissionefelicitàobiettivisacrificio

4.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 28/12/2016

RACCONTO

9. Le due candele   3

Don Luca Murdaca, ilbuongiorno.wordpress.com

In una piccola chiesetta di montagna, vi era ai piedi di una splendida croce un cesto pieno di candele, pronte per essere accese e così illuminare il volto di Gesù.
Quella mattina, una delle candele iniziò a dire alla sua vicina: «Non vedo l'ora che qualcuno mi prenda e mi accenda per illuminare il volto del mio Signore». L'altra invece preoccupata rispose: «No, io non voglio morire così presto... voglio vivere ancora...». Entra in chiesa una bambina con la sua nonna e prende proprio la candela che non vedeva l'ora di essere accesa, l'altra invece non appena vedeva avvicinarsi qualcuno, scivolava in fondo al cesto per non farsi prendere. A fine giornata la prima candela si era ormai consumata, ma per molte ore aveva fatto luce al volto di Gesù.
Il sacrestano ritirò il cesto con le candele avanzate in sacrestia, ma distrattamente le lasciò sul termosifone. Il mattino le ritrovò tutte sciolte e ormai inutilizzabili.

Vi sono persone che hanno speso la loro vita per illuminare le tenebre del mondo, altre invece che non hanno mai fatto luce e si sono sciolte nelle proprie paure e insicurezze.
Tu che candela vuoi essere?

vocazionesceltaresponsabilitàimpegnosacrificiotestimonianzaluce

4.5/5 (2 voti)

inviato da Luca Murdaca, inserito il 28/12/2016

TESTO

10. Mai dimenticherò   2

Elie Wiesel, La notte

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo,
che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi
trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima,
e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

Elie Wiesel fu rinchiuso ad Auschwitz all'età di 15 anni.

olocaustogiornata della memoriashoahcampi di concentramento

5.0/5 (2 voti)

inserito il 07/08/2016

TESTO

11. Occhi per il cieco e piedi per lo zoppo   1

Papa Francesco, Messaggio per la 23a Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2015)

«Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Libro di Giobbe 29,15).

Nel discorso di Giobbe che contiene le parole «io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo», si evidenzia la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest'uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città. La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell'orfano e della vedova (vv.12-13).

Quanti cristiani anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere "occhi per il cieco" e "piedi per lo zoppo"! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un'assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa.

malatoassistenzasolidarietàcaritàamoregratuità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 16/06/2015

TESTO

12. Io, Elisa Springer, ho visto Dio   2

Elisa Springer, Il silenzio dei vivi, Marsilio Editori,1997

Io, Elisa Springer, ho visto Dio. Ho visto Dio, percosso e flagellato, sommerso dal fango, inginocchiato a scavare dei solchi profondi sulla terra, con le mani rivolte verso il cielo, che sorreggevano i pesanti mattoni dell'indifferenza. Ho visto Dio dare all'uomo forza, per la sua disperazione, coraggio alle sue paure, pietà alle sue miserie, dignità al suo dolore. Poi... lo avevo smarrito, avvolto dal buio dell'odio e dell'indifferenza, dalla morte del mondo, dalla solitudine dell'uomo e dagli incubi della notte che scendeva su Auschwitz. Lo avevo smarrito... insieme al mio nome, diventato numero sulla carne bruciata, inciso nel cuore con l'inchiostro del male, e scolpito nella mente, dal peso delle mie lacrime... Lo avevo smarrito... nella mia disperazione che cercava un pezzo di pane, coperta dagli insulti, le umiliazioni, gli sputi, resa invisibile dall'indifferenza, mentre mi aggiravo fra schiene ricurve e vite di morti senza memoria.

Ho ritrovato Dio... mentre spingeva le mie paure al di là dei confini del male e mi restituiva alla vita, con una nuova speranza: io ero viva in quel mondo di morti. Dio era lì, che raccoglieva le mie miserie e sollevava il velo della mia oscurità. Era lì, immenso e sconfitto, davanti alle mie lacrime.

memoriapersecuzioneAuschwitzsofferenzagiornata della memoriashoahcampi di concentramentoolocausto

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inviato da Qumran2, inserito il 23/01/2015

ESPERIENZA

13. Vorrei morire al suo posto   2

Le ore passano lente come secoli sotto un sole di piena estate che di ora, in ora si fa più spietato per quegli uomini distrutti dalla fame, dalla sete e dalla fatica. Qualcuno comincia a stramazzare al suolo svenuto. Se non si rianima sotto il grandinare delle percosse, è trascinato via, per i piedi e gettato in un angolo del "piazzale".
Testa di mastino, alle 18, si pianta, a gambe divaricate, davanti alle sue vittime, sul campo un silenzio di tomba.
"L'evaso non è stato ritrovato dieci di voi moriranno nel bunker della fame. La prossima volta toccherà a venti."
Lentamente il capo inizia la sua scelta fissando nello sguardo, uno ad uno i prigionieri e di ciascuno assaporando il terrore.
"Questo qui", Testa di mastino puntava a caso il suo indice sul numero cucito sulla giacca del prigioniero. Il drappello dei martiri è completo.

"Arrivederci amici, ci rivedremo lassù, dove c'è vera giustizia", "viva la Polonia! E' per essa che io do la mia vita".
Francesco G. n° 5659, piange disperato ricordando la moglie e i figli. Tra le file dei risparmiati lo sbigottimento lascia il posto ad un senso di sollievo, alla gioia: vivere ancora, sfuggendo alla morte atroce del bunker della fame. Un uomo esce dalle fila - numero 16.670 - e con passo deciso si presenta a Testa di Mastino.
"Cosa vuole da me questo sporco polacco?"
"Vorrei morire al posto di uno di quelli"
"Perché?"
"Sono vecchio, ormai (aveva 47 anni!) e buono a nulla - La mia vita non può più servire gran che."
"E per chi vuoi morire?"
"Per lui, ha moglie e bambini"
"Ma tu chi sei?"
"Un prete cattolico" P. Massimiliano Kolbe - n° 16.670

Era Massimiliano Maria Kolbe, morto ad Auschwitz il 14 agosto 1941 e proclamato santo nel 1982 da papa Giovanni Paolo II.

sacrificiomartiriotestimonianzaofferta della vitaamoredonogiornata della memoriashoahcampi di concentramentoolocausto

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inviato da Qumran, inserito il 11/08/2014

RACCONTO

14. Il ponte   12

Questa è la storia di due fratelli che vissero insieme d'amore e d'accordo per molti anni. Vivevano in cascine separate, ma un giorno scoppiò una lite e questo fu il primo problema serio che sorse dopo 40 anni in cui avevano coltivato insieme la terra condividendo le macchine e gli attrezzi, scambiandosi i raccolti e i beni continuamente.

Cominciò con un piccolo malinteso e crebbe fino a che scoppiò un diverbio con uno scambio di parole amare a cui seguirono settimane di silenzio.

Una mattina qualcuno bussò alla porta di Luigi. Quando aprì si trovò davanti un uomo con gli utensili del falegname: "Sto cercando un lavoro per qualche giorno", disse il forestiero, "forse qui ci può essere bisogno di qualche piccola riparazione nella fattoria e io potrei esserle utile per questo".

"Sì", disse il maggiore dei due fratelli, "ho un lavoro per lei. Guardi là, dall'altra parte del fiume, in quella fattoria vive il mio vicino, beh! È il mio fratello minore. La settimana scorsa c'era una splendida prateria tra noi, ma lui ha deviato il letto del fiume perché ci separasse. Deve aver fatto questo per farmi andare su tutte le furie, ma io gliene farò una. Vede quella catasta di pezzi di legno vicino al granaio? Ebbene voglio che costruisca uno steccato di due metri circa di altezza, non voglio vederlo mai più". Il falegname rispose: "Mi sembra di capire la situazione".

Il fratello maggiore aiutò il falegname a riunire tutto il materiale necessario e se ne andò fuori per tutta la giornata per fare le spese in paese. Verso sera, quando il fattore ritornò, il falegname aveva appena finito il suo lavoro. Il fattore rimase con gli occhi spalancati e con la bocca aperta.

Non c'era nessuno steccato di due metri. Invece c'era un ponte che univa le due fattorie sopra il fiume. Era una autentica opera d'arte, molto fine, con corrimano e tutto.

In quel momento, il vicino, suo fratello minore, venne dalla sua fattoria e abbracciando il fratello maggiore gli disse: "Sei un tipo veramente in gamba. Ma guarda! Hai costruito questo ponte meravilloso dopo quello che io ti ho fatto e detto".

E così stavano facendo la pace i due fratelli, quando videro che il falegname prendeva i suoi arnesi. "No, no, aspetta; rimani per alcuni giorni ancora, ho parecchi lavori per te", disse il fratello maggiore al falegname. "Mi fermerei volentieri", rispose lui, "ma ho parecchi ponti da costruire".

Molte volte lasciamo che i malintesi e le stizze ci allontanino dalla gente a cui vogliamo bene, molte volte lasciamo che sia l'orgoglio a prevalere sui sentimenti.
- Non permettere che ciò succeda nella tua vita.
- Impara a perdonare e apprezza quanto hai. Ricorda che perdonare non cambia nulla del passato, ma del futuro sì. Non conservare rancore né sentimenti di amarezza che ti feriscono, ti allontanano da Dio e dalle persone che ti vogliono bene.
- Impara ad essere felice e a godere delle meraviglie che Dio ha creato. Egli ti ama e desidera che tu abbia una vita felice e piena di amore e armonia.
- Non permettere che un piccolo incidente rovini una grande amicizia.
- Ricorda che il silenzio, a volte, è la miglior risposta.
- Ciò che più importa è una casa felice. Fa' tutto quello che è nelle tue mani per creare un ambiente di pace e armonia.
- Ricorda che la miglior relazione è quella in cui l'amore tra due persone è più grande del bisogno che hanno l'una dell'altra.

pacelitigiarmoniaconcordiaperdono

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inviato da Qumran2, inserito il 27/12/2013

PREGHIERA

15. Il riflesso del tuo splendore   1

Preghiera nella Giornata per la Vita

O Dio, luce del mondo,
fa' che sappiamo vedere il riflesso del tuo splendore
sul volto di ogni uomo:
nel mistero del bimbo che cresce nel grembo materno;
sul volto del giovane che cerca segni di speranza;
sul viso dell'anziano che rievoca ricordi;
sul volto triste di chi soffre, è malato, sta per morire.
Suscita in noi la volontà e la gioia di promuovere,
custodire e difendere la vita umana sempre,
nelle nostre famiglie, nella nostra città, nel mondo intero.
Per intercessione di Maria,
piena di grazia e Madre dell'Autore della vita,
manda su di noi il tuo Santo Spirito,
e fa' che accogliendo e servendo l'immenso dono della vita,
possiamo partecipare alla tua eterna comunione d'amore. Amen.

vitarispetto della vita

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inviato da Cinzia Novello, inserito il 14/12/2012

TESTO

16. Meditazione e ritorno al mondo

Dietrich Bonhoeffer, Vita comune

Ogni giorno porta al cristiano molte ore di solitudine in mezzo ad un mondo non cristiano. Questo è il tempo della verifica. Esso è la prova della bontà della meditazione personale e della comunione cristiana. La comunità ha reso gli individui liberi, forti, adulti, o li ha resi invece dipendenti, non autonomi? Li ha condotti un po' per mano, per far loro imparare di nuovo a camminare da soli, o li ha resi paurosi e insicuri?… Qui si tratta di decidere se la meditazione personale ha portato il cristiano in un mondo irreale da cui si risveglia con spavento, nel ritornare al mondo terreno del suo lavoro, o se viceversa lo ha fatto entrare nel vero mondo di Dio, che permette di affrontare la giornata dopo aver attinto nuova forza e purezza. Si è trattato di un'estasi spirituale per brevi attimi, cui poi subentra la quotidianità, o di un radicarsi essenziale e profondo della Parola di Dio nel cuore?… Solo la giornata potrà deciderlo… Ognuno deve sapere che anche il momento in cui è isolato ha una sua retroazione sulla comunione. Nella sua solitudine egli può dilacerare e macchiare la comunione o viceversa rafforzarla e santificarla….

solitudinecomunitàrapporto con Dioimpegnoessere cristiani

inviato da Qumran2, inserito il 12/08/2012

TESTO

17. Introduzione alla Via Crucis

Don Angelo Saporiti, Riflessione sull'amore di Madre Teresa

Oggi fra la gente del mondo, Gesù vive la propria passione.
La Via Crucis si ripete oggi come duemila anni fa nei giovani, nei sofferenti, negli affamati, nelle persone malate e portatrici di handicap.
Noi oggi siamo qui per vivere la Via Crucis di Gesù.
La Via Crucis è fatta di stazioni.
Stazione significa "sosta" "fermata".
Significa per noi "esserci", stare lì vicino a quella situazione, a quella persona, a quella sofferenza...
Vivere la Via Crucis significa esserci.
E allora noi siamo lì?
Siamo lì in quel bambino che mangia un pezzo di pane, briciola dopo briciola, perché sa che, quando quel tozzo di pane sarà finito, non ce ne sarà più e avrà di nuovo fame?
Siamo lì con quel bambino?
Siamo lì con quelle migliaia di persone che ogni giorno muoiono, non solo per un tozzo di pane, ma per un po' d'amore, di considerazione, di giustizia...
Siamo lì?
Siamo lì quando i nostri giovani cadono, come Gesù è caduto più volte per noi?
Siamo lì come era lì Simone il Cireneo, a risollevarli, a prendere su di noi la loro fatica, la loro delusione, la loro depressione?
Siamo lì con gli alcolizzati, i senzatetto, i senza lavoro, i senza famiglia, i vecchi, gli esclusi...
Queste sono alcune stazioni della Via Crucis.
Le altre sono dentro di noi. Le conosciamo bene:
sono il nostro rapporto difficile con il marito, la moglie,
i nostri conflitti con i figli adolescenti,
le nostre incomprensioni con i parenti,
le nostre liti con i vicini,
i nostri volti duri con gli amici,
i nostri preconcetti con i compagni,
il nostro disimpegno sociale e cristiano,
il nostro correre tutta la giornata senza avere un orientamento,
le nostre scuse per non trovare mai il tempo per pregare, per stare un po' in silenzio, per meditare, per conoscere meglio Gesù, per incontralo...
Non possiamo far finta di non vedere queste stazioni della nostra Via Crucis.
La Via Crucis è una via di consapevolezza del mio peccato personale e una presa di coscienza del nostro peccato sociale, come comunità civile e come Chiesa.
Iniziamo ad andare dietro a Gesù sulla via dolorosa.
Precorriamo la Via Crucis, passo dopo passo, con consapevolezza, con lucidità, con coscienza, con trasparenza. Lasciamoci andare all'amore di Dio.
Chiediamo a Gesù il dono delle lacrime e il dono del cambiamento della nostra vita.
Gesù è morto per noi per dirci che non c'è amore più grande di quello che dona la vita.
Lui ci darà la forza, perché Gesù è la nostra forza!

Via Crucissolidarietà

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inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 05/08/2012

ESPERIENZA

18. Il pane buono   2

Tempo fa', sul far della sera di un sabato qualunque, in una bella e profumata giornata primaverile, stavo innaffiando l'erba e i fiori del piccolo giardino che adorna la nostra casa, assorto nei lieti pensieri del dolce far niente. Davanti al cancello, all'improvviso, appare la figura di una ragazzina. Chiaramente una Rom, una zingara: il suo volto ed il suo cencioso abbigliamento non lasciavano certo spazio a dubbi in tal senso.

Con un italiano piuttosto stentato mi chiama e mi dice: "Dio ti benedica te e tua famiglia, mi dai pane vecchio per mangiare?".
Le rispondo:
- "Dove abiti?" (curioso, vero? Quando Dio ci parla, capita spesso che di primo acchito cambiamo discorso).
- "Là, vicino fiume Mella".
- "E di cosa vivi?".
- "Quello che mi danno".
- "Non vai a scuola?".
- "No, mai andata".
- "E i tuoi genitori cosa dicono?".
- "Padre non so, non vedo da tanto, lui carcere; madre dice: andare prendere qualcosa da mangiare. Mi dai pane vecchio?".
- "Sì, certo, scusa, volevi del pane vecchio. Ho quello fresco, buono, di oggi, vado dentro a prenderti quello", le dico mentre mi giro e faccio per entrare in casa.
- "Buono hai già dato".

Sono rimasto impietrito, come fulminato. Mi sono rigirato lentamente e l'ho guardata: stava sorridendo. Non so, non ho mai voluto pensare che quella frase fosse stata solo il frutto di un malriuscito tentativo di traduzione dal rumeno all'italiano di chissà quale espressione.

Nemmeno che quel suo sorriso fosse solo un modo, forse l'unico che conosceva, per dirmi la sua gioia nel vedere che il pane glielo avrei dato davvero. No. Ho pensato che quel parlare con lei, ascoltarla, sorriderle, fosse per lei, davvero, come spezzare insieme del pane fresco, del pane buono. "Me l'hai già dato, il pane buono: mi hai accolto, mi hai parlato, mi hai sorriso. Non ti sei girato dall'altra parte, non mi hai ignorato, né schernito, né evitato, né maltrattato, né violentato. Mi hai parlato".

Pane che nutre, non denti che divorano. Basta davvero così poco per sentirsi amati? E per essere fratelli, per essere cristiani? Sì. Ed Egle, mia sposa, mentre - entrato in casa - le racconto la vicenda, dice serenamente, quasi fosse la cosa più semplice e scontata di questo mondo: "Pane dei gesti che accolgono, pane delle parole che accarezzano. Pane di Gesù: è questo".

Pane fresco e buono, che non diventa mai vecchio perché prodotto nel cuore di chi crede in Colui che dice: "Io sono il pane della vita", e ci lascia un comandamento nuovo: "Amatevi come io vi ho amato".

Amare quella ragazzina cenciosa, spezzare il pane con lei e con tutti i cenci del mondo. Vivendo una vita nella solidarietà e nella comunione con tutti.

Sforzandoci di vivere così, di spezzare il pane così, allora Dio parla in noi; allora Dio parla con noi. Allora Dio spezza il pane e la parola tra noi: nei panni di una cenciosa ragazzina.

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inviato da Ornella Zito, inserito il 24/06/2012

TESTO

19. Ogni giorno è unico   1

Francisco Fernàndez Carvajal, Parlare con Dio

Per scandire la nostra vita il Signore ci ha dato la notte e il giorno.
«Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia».

E ogni nuovo giorno ci ricorda che dobbiamo proseguire i lavori interrotti e rinnovare i progetti e le speranze. Ogni giorno comincia, in un certo modo, con una nascita e finisce con una morte; ogni giornata è come una vita in miniatura. Alla fine il nostro passaggio nel mondo sarà stato santo e gradito a Dio se avremo fatto in modo che ogni giornata piacesse a Dio, dall'alba al tramonto.

«Il giorno al giorno ne affida il messaggio»; il giorno di ieri sussurra all'oggi, e suggerisce da parte del Signore:
«Comincia bene. Comportati bene "adesso", senza ricordarti di "ieri" che è già passato, e senza preoccuparti di "domani", che non sai se per te arriverà».

Viviamo ogni giornata come se fosse l'unica che abbiamo da offrire a Dio, cercando di fare bene le cose, e riportando a Dio, con la contrizione, quelle che abbiamo fatto male. Un giorno sarà l'ultimo, e anch'esso l'avremo dedicato a nostro Padre. Allora, se avremo vissuto offrendo a Dio la nostra vita e rinnovando l'offerta di giorno in giorno, udiremo Gesù dirci, come ha detto al buon ladrone: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

tempogiornataoggipresentevitasenso della vitavalore del tempo

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inviato da Alessio Capone, inserito il 09/04/2012

RACCONTO

20. L'albergatore di Betlemme   3

don Davide Caldirola

Mi avete messo dalla parte di cattivi. Da secoli spio la mia statuina nei vostri presepi. La vedo sulla porta dell'osteria, la faccia truce, lo sguardo severo, il dito alzato in segno di rifiuto; oppure dietro le porte dell'albergo, china sui profitti della giornata, incurante della coppia di galilei che bussa per domandare un giaciglio. Forse non avete l'idea di cosa significhi gestire una locanda in un borgo come Betlemme. Pochi guadagni, lavoro di bassa lega, rogne a grappoli. Clientela non selezionata, e ladri e farabutti pronti a portarti via i magri ricavi appena giri le spalle. È vero: in quel periodo gli affari andavano bene. Merito della follia di Cesare Augusto, e del suo ordine assurdo di bandire un censimento. Ma più degli introiti, ad essere sinceri, crescevano le preoccupazioni. La mia locanda era invasa da persone di ogni tipo: viaggiatori sconosciuti, gente comune che veniva a farsi registrare, facce da galera pronte a tagliare la gola per due denari, vagabondi di passaggio, avventori con pochi soldi e tante richieste. E quella notte io, l'albergatore di Betlemme, semplicemente non ce la facevo più. Tutti a pretendere un posto, a gridare ordini, a tirarmi per i capelli, a lamentarsi per la minestra insipida o il vino annacquato; tutti pronti a darmi addosso perché il servizio era lento, il letto sporco, il cibo cattivo. Gli uomini bestemmiavano, i bambini gridavano, le donne si accapigliavano. Altro che notte di stelle e di amore, come cantate nelle vostre canzoni. Era una bolgia, un inferno. C'erano persone sdraiate sul tavolo della cucina, bestie ed esseri umani buttati l'uno sull'altro, animali e ragazzi coricati insieme. Non mi restava nemmeno il mio letto, ceduto per quattro spiccioli all'ultimo avventore, e dormivo in piedi, come un somaro.

E allora ho detto no. Non per cattiveria, non perché Maria e Giuseppe (si chiamano così, vero?) erano dei poveracci che non potevano pagare. Semplicemente perché non ce la facevo più. Cosa ne sapete voi, che mi avete messo tra i cattivi? Magari - oltre a tutto questo - avevo anch'io una vecchia madre malata, o una moglie bisbetica con cui bisticciare, o un figlio scappato di casa, o un dolore sordo nel cuore, una ferita nelle viscere, un rimorso, un fallimento, un rimpianto. Da secoli vedo che fate come me, del resto. Come me chiudete le porte a Dio, incatenati dai vostri dispiaceri, schiantati dalla stanchezza della vita, torchiati da pesi che non riuscite a portare, da paure che vi tolgono la speranza e il respiro. E Dio arriva, e bussa alla soglia. Ma non ce la fate più, e la vostra casa rimane chiusa.

Eppure - i vostri vangeli non lo raccontano - eppure non è finita così. Quella notte, quella stessa notte, mi sono destato di soprassalto. Un rumore, un tuono, un canto: non chiedetemi cos'è stato. Ho aperto gli occhi di colpo, e ho rivisto come in un sogno Maria e Giuseppe che camminavano verso la stalla che avevo loro indicato. Ho raccolto un paio di coperte, un po' di formaggio, del pane avanzato. Mi sono messo il fagotto sulle spalle e sono uscito dall'albergo di nascosto, come un ladro. La capanna era poco distante, avvolta da una luce strana; qualcuno si allontanava nel buio, verso le colline dei pascoli. Sono entrato quasi di soppiatto e mi sono fermato in un angolo, nascosto dietro una trave di legno. Ho lasciato le quattro cose che mi ero portato appresso, e sono caduto in ginocchio. Non so quanto tempo sono rimasto, incantato, a fissare il Bambino. Quel tanto che basta per capire che io gli avevo detto di no, ma lui mi diceva di sì. Che per lui non c'era posto nel mio albergo, ma per me c'era posto nella sua vita, nel suo cuore, tutte le volte che avrei voluto.

E vorrei dirvi che poco m'importa se nei vostri presepi e nelle vostre recite sarò sempre l'oste cattivo: perché lui non mi vede così, perché - ne sono sicuro - mi aspetta di nuovo, come quella notte, ogni notte, ogni giorno, in ogni istante. Siete, siamo ancora in tempo. Non importa se gli abbiamo detto no. Non importa se l'affanno, la stanchezza, la tristezza della vita ci ha fatto, un giorno, chiudere le porte a Dio. C'è tempo. La sua casa rimane aperta, non ci manderà indietro. E forse cadremo, finalmente, in ginocchio davanti a lui, nel pentimento e nel perdono, in un sorriso di tenerezza o nella consolazione del pianto.
Buon Natale!

nataleaccoglienzamisericordiaperdono di Dio

4.8/5 (5 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 09/04/2012

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