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RACCONTO

1. I due palloni   1

Due palloni erano usciti dalla fabbrica lo stesso giorno, erano finiti nello stesso sacco e portati nello stesso grande magazzino. Uno era rosso e uno era blu. Avevano fatto amicizia e così furono felicissimi di essere comprati dalla stessa persona. Finirono in un oratorio, dove sembrava che un orda di ragazzi non stesse aspettando altro che prenderli a calci. Lo facevano tutto il giorno, con un entusiasmo incredibile.

I due palloni volavano, rimbalzavano, sbattevano, facevano gol, venivano parati, sbucciati, infilati nell'angolino alto e basso, crossati e colpiti di testa... Una vera battaglia quotidiana. Alla sera si ritrovavano nello stesso armadio, pesti e ammaccati; la loro bella vernice brillante, le inserzioni bianche e nere, la scritta rossa, si stavano rapidamente screpolando.

"Non ne posso più!" si lamentava il pallone blu: "Non è vita questa! Presi a calci dalla mattina alla sera...Basta!"

"Che vuoi farci? Siamo nati palloni" ribatteva il pallone rosso. "Siamo stati creati per portare gioia e divertimento".

"Bel divertimento! Io non mi diverto proprio... E ho già cominciato a vendicarmi: oggi sono finito appositamente sul naso di un ragazzo e l'ho fatto sanguinare. Domani farò un occhio blu a quel tipo che mi sbatte sempre contro il muro!", incalzava il pallone blu.

"Eppure siamo sempre al centro dell'interesse. Basta che compariamo noi e il cortile si anima come per incanto. Credimi: siamo un dono dall'alto alla gioia degli uomini", rispondeva ancora il pallone rosso.

Passarono i giorni, e i pallone brontolone era sempre più scontento. "Se continuo così, scoppio!" disse una sera. "Ho deciso: domani sparirò. Ho adocchiato un tetto malandato, sul quale nessuno potrà salire a cercarmi. Mi basta un calcione un po' deciso...". E il pallone blu così fece. Riuscì a finire tra i piedi di Adriano, detto Bombarda, per i suoi rinvii alla "Viva il parroco!", e un poderoso calcione lo scagliò sul tetto proibito del caseggiato prospiciente il cortile dell'oratorio. Mentre volava in cielo, il pallone blu rideva felice: ce l'aveva fatta!

I primi tempi sul tetto furono una vera pacchia. Il pallone blu si sistemò confortevolmente nella grondaia e si preparò a una interminabile vacanza. "Ho chiuso con i calci e le botte", pensava con profondo compiacimento, "nel mio futuro non ci saranno che aria buona e riposo. Aaaah, questa è vita!".

Ogni tanto, dal tetto, sbirciava in giù e guardava il suo compagno scalciato a più non posso dai ragazzi del cortile. "Poverino", bofonchiava, "lui prende calci e io me ne sto qui a prendere il sole, pancia all'aria dal mattino alla sera".

Un giorno, un calcio possente glielo mandò vicino. "Resta qui!", gli gridò il pallone blu. Ma il pallone rosso rimbalzò sull'orlo della grondaia e tornò nel cortile. "Preferisco i calci!", rispose.

Passò il tempo. Nella grondaia il pallone blu si accorse che sole e pioggia lo avevano rapidamente fatto screpolare e ora si stava gradatamente sgonfiando. Divenne sempre più debole, tanto che non riusciva più nemmeno a lamentarsi. Del resto, non gliene importava molto: sempre solo, lassù, era diventato triste e depresso. Così una sera esalò un ultimo soffio.

Proprio in quel momento, il pallone rosso veniva riportato nell'armadio da due piccole mani. Prima di finire nel cassetto buio, sentì una voce che gli diceva "Ciao, pallone ci vediamo domani". E due labbra sporche di Nutella gli stamparono un bacione sulla pelle ormai rugosa. Nel suo cuore leggero come l'aria, il pallone si sentì morire di felicità. E si addormentò sognando il paradiso dei palloni, dove gli angioletti hanno piedini leggeri come nuvole.

Il racconto contiene una riflessione sulla responsabilità della vita e, in fondo, sulla inevitabile «fatica» che accompagna sempre il cammino dell'uomo. Chi rifiuta la fatica di questo compito, rischia il fallimento e l'infelicità radicale. Non è affatto un invito a piegare la testa davanti a un ipotetico e ineluttabile destino di sofferenza, bensì un invito a scoprire le gioie profonde, nascoste nel «dovere» di vivere con responsabilità la missione umana.

Spunti per un dialogo con i ragazzi:
- Se un pallone non vuoi fare il pallone, che succede? Che cosa diventa?
- Può capitare che un uomo non voglia fare l'uomo? Che cosa diventa?
- Ci sono delle cose che vi costano, durante la vostra giornata? Cercate di sfuggirle o le affrontate?

responsabilitàmissionefelicitàobiettivisacrificio

4.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 28/12/2016

TESTO

2. Poesia per il papà

Luisella Carratù

Il mio papà...
che si sveglia presto per andare al lavoro...
che tifa per me quando gioco a calcio...
che mi accompagna a scuola e con lui arrivo sempre in ritardo...
che sa tutto dei computer e sa aggiustare ogni cosa...
che aiuta la mamma...
che mi telefona di continuo per saper come sto...
che mi aspetta fino a tardi...
che mi ha insegnato ad andare in bicicletta ed anche a nuotare...
che nasconde gli sbadigli per stare un po' con me...
che mi sa consolare...

A lui ho rubato il suo tempo,
a lui ho preso tutti i suoi pensieri,
a lui ho sequestrato tutto il suo amore...

Lui non tiene niente per sé,
e tutto quello che è suo è anche mio...

Lui mi ha dato la vita,
e ogni giorno dà la sua vita per me...

Lo stringo forte al cuore, il mio papà,
vorrei dargli anch'io qualcosa, ma...
so solo dire: "Ti voglio bene, papà!".

paternitàpadrefigligratuità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luisella Carratù, inserito il 16/06/2015

RACCONTO

3. Il tale che odiava gli stranieri   5

Paolo Correzzola

In una città viveva un tale che odiava gli stranieri, riteneva che non fossero degni di godere del nostro stesso benessere, e un giorno usò tutto il suo potere per cacciarli via.

Ma non trovò pace, perché odiava anche chi proveniva dalle altre regioni, e così mandò via anche loro, perché riteneva che la sua regione fosse più "virtuosa" delle altre.

Ma non trovò pace, perché odiava anche i disabili e gli handicappati, e ritenendoli solo un peso per la società, mandò via anche loro.

Non trovando pace, mandò via chi aveva un'opinione politica diversa dalla sua, chi faceva il tifo per una squadra di calcio diversa dalla sua, e chi aveva gusti musicali diversi dai suoi.

Infine quel tale rimase solo, e visse un lungo periodo di solitudine e di meditazione.

Alla fine riuscì a comprendere che il problema non erano "gli altri", ma era lui stesso, incapace di convivere con chi ha cultura, religione, opinioni e gusti diversi dai suoi, e che l'uomo, senza le diversità rimane solo.

solitudineconvivenzadiversitàtolleranzaaccoglienzaapertura

2.0/5 (1 voto)

inviato da Paolo Correzzola, inserito il 08/07/2011

ESPERIENZA

4. Legrottaglie: "Niente sesso da due anni, aspetto la donna giusta"   2

Elisa Bertoli, www.gingergeneration.it

Il difensore della Juve racconta il proprio percorso di rinascita: dalle critiche all'incontro con Dio

La dichiarazione, pubblicata dalla rivista Sport Week qualche settimana fa, è di quelle che fanno scalpore: Nicola Legrottaglie, trentunenne biondo difensore della Juventus, possibile convocazione per i prossimi Europei, afferma: "Non faccio sesso da due anni".

Difficile pensare che dica sul serio, considerato che Nicola è uno che di veline, meches, sfilate di moda, show girls e feste se ne intende, ma invece il perché di questa frase è presto spiegato: "Quando acquisisci dentro di te la verità della vita smetti di dipendere dalle cose superflue. Prima se non andavo con una donna ogni quattro o cinque giorni andavo nel panico, ora non posso più. Non perché non mi piacciono le donne, ma perché aspetto quella giusta per fare una famiglia, una che condivida i miei stessi valori. Il consiglio di Dio è di non avere rapporti prematrimoniali e io non mi vergogno a dire, sono due anni che non ne ho. Il bello è che non mi pesa per niente. Tanti mi prendono in giro, ma non mi interessa: il problema è di chi non riesce a stare senza sesso, finendo per diventarne schiavo".

Un difficile percorso

Nicola ammette di essere arrivato nel 2003 alla Juventus "con presunzione: credevo che il solo fatto di essere qui facesse di me un campione e non riuscivo a esprimermi. Ho perso in fretta tutta la mia credibilità, mi sono depresso scivolando prima al Bologna e poi al Siena". Anni pieni di critiche nei suoi confronti, reo di pensare più alla vita mondana che a impegnarsi in allenamento e in campo, culminati però nell'incontro con il calciatore paraguaiano del Piacenza Tomas Guzman, che lo ha aiutato a conoscere la Bibbia: "Solo dopo quella batosta ho capito che tutto quello che mi insegnavano da piccolo era vero". Nicola ha così capito che "i valori della vita sono altri" e ora "la serenità che mi ha dato questo percorso mi permette di avere più fiducia e sicurezza nei miei mezzi, di essere più spregiudicato anche in campo. Adesso la gente non mi ferma più per la strada per criticarmi: mi fa i complimenti per quello che faccio e soprattutto per quello che dico. E' qualcosa che va al di là del mio modo di giocare: dicono che ho coraggio. Ma per me non ci vuole coraggio a seguire Gesù e a fare certe rinunce". Insomma, dopo l'incontro con Dio, Nicola non solo è un altro uomo, ma anche un altro calciatore!

Legrottaglie e Kaka, due calciatori fuori dagli schemi

Ma tornando alla frase che più di tutte ha fatto scalpore, Nicola aggiunge: "Quando Kaka ha detto di essere arrivato vergine al matrimonio, molti hanno riso, ma io ho capito che era una cosa bellissima".

Nicola Legrottaglie e Kaka, due dei calciatori "fuori dagli schemi": giovani, carini, ricchi e immersi in un mondo, quello del calcio, che il più delle volte sembra quello dello spettacolo e che discorsi simili non sa nemmeno cosa significhino. Accanto a colleghi che giurano eterno amore a ragazze, meglio se del mondo della tv, che poi in realtà "mollano" dopo una settimana, loro proseguono dritti per la loro strada senza dubbi e ripensamenti: donarsi a una donna è talmente bello che è ancor più bello farlo per la prima volta con quella che hai deciso sarà per tutta la vita, un impegno da prendere con chi hai deciso di costruire il tuo futuro!

E voi, ragazze, che ne pensate? Sono così sconcertanti queste dichiarazioni di Legrottaglie o condividete i suoi nuovi valori?

matrimonioamoresessoaffettivitàrapporti prematrimoniali

5.0/5 (1 voto)

inviato da Elisa Bertoli, inserito il 06/07/2011

PREGHIERA

5. Preghiera per restare svegli

Madeleine Delbrel

O Signore,
che continuamente c'incitasti
a star svegli
a scrutare l'aurora
a tenere i calzari
e le pantofole,
fa' che non ci appisoliamo
sulle nostre poltrone
nei nostri anfratti
nelle culle in cui ci dondola
questo mondo di pezza,
ma siamo sempre attenti a percepire
il mormorio della tua Voce,
che continuamente passa
tra fronde della vita
a portare frescura e novità.
Fa' che la nostra sonnolenza
non divenga giaciglio di morte
e - caso mai - dacci Tu un calcio
per star desti
e ripartire sempre.

disponibilitàprontezzavigilanzaconversionecambiamento

inviato da Qumran2, inserito il 29/10/2006

TESTO

6. Lettera di chi non ha tutto

Caro Gesù,

quest'anno ho voluto anch'io scriverti per Natale. Questa lettera non la leggerà mai nessuno, ma non importa: l'importante è che arrivi a te.

Non ho particolari cose da chiederti.. anzi nessuna, se non una. Voglio pregarti per tutte le persone che incontro ogni giorno, che incrocio per le strade, che mi passano accanto nei supermercati, che vedo alla televisione, che assistono ai concerti e ascoltano la musica come me. Voglio pregarti perché siano felici.

Eh sì... perché qualche volta ho l'impressione che non sia così. Mi sembrano tanto tristi... E non capisco cosa gli manchi! Secondo la logica di questo mondo io non ho niente e loro tutto...
Pensa... io vorrei parlare, ma non posso.
Urlare... men che meno!
Vorrei correre... ma come faccio?
Saltare non esiste...
Un po' camminare.. ma che fatica!
Mangiare... mai da solo!
Bere... quando me lo danno.
Andare ai servizi... non ne parliamo!
Cantare: un sogno!
Per la musica che fanno gli altri... impazzisco!
Scrivere... non se ne parla;
prima vorrei imparare i colori, ma non ci riesco!
Adoro il calcio, ma non ci gioco...

Una cosa bella, però, ce l'ho anch'io; è una cosa spettacolare, il più grande dono che potessi ricevere: il sorriso.
Quello non lo risparmio mai a nessuno: né ai genitori, né a mia nonna o a mia sorella, né agli educatori né ai volontari, né ai bambini né agli sconosciuti...
È la mia arma vincente e la uso fino in fondo.

Allora, Gesù, ti prego: dona un po' di questo mio sorriso agli altri; è un sorriso semplice, di chi non parla, non canta, non corre, non gioca... ma che viene dal cuore; dal cuore di chi, nel suo silenzio, ti incontra ogni giorno e ti parla nel segreto. Il sorriso di chi, come te, quando giacevi nella mangiatoia in fasce, avevi bisogno di tutto: di essere nutrito, cambiato, lavato, compreso per le espressioni del tuo viso perché senza parole... Ma io ho 26 anni. Nella mia povertà mi sento vicino a te, e per me questo è tutto. Per questo niente di ciò che mi manca potrà mai togliermi il sorriso.

Questa lettera non la leggerà mai nessuno, perché non potrò mai scriverla. Ma ce l'ho nel cuore e vorrei urlarla al mondo intero.

sorrisointerioritàesterioritàgioiafelicitàrapporto con Dio

inviato da Laura De Capitani, inserito il 13/07/2006

ESPERIENZA

7. Jacques Fesch: la drammatica storia di un giovane moderno   1

Chi è Jacques Fesch? E' un giovane moderno, che a 24 anni commette un terribile delitto, epilogo di una vita vuota e senza ideali, piena di egoismo e di capricci. Ecco una veloce cronaca del delitto. Il 24 febbraio 1954 Jacques entra al mattino nel negozio di un cambiavalute e ordina un quantitativo d'oro. L'uomo si fida perché sa che alle spalle del giovane c'è un opadre facoltoso che può pagare. Nel pomeriggio dello stesso giorno Jacquaes torna per prelevare l'oro e approfittando di un momento di disattenzione del cambiavalute lo colpisce alla testa con il calcio della pistola del padre. Il cambiavalute reagisce urlando. Jacques fugge e si nasconde in un palazzo vicino fino a che è riconosciuto da un polizziotto accorso sul posto. All'ingiunzione di fermarsi Jacques spara e uccide l'agente di polizia. Intervengono poi altri agenti che lo catturano.

Perché questo delitto assurdo? Jacques voleva aprire una propria attività e chiede un grosso prestito al padre che glielo rifiuta. Sa che il figlio ha le mani bucate! Allora Jacques decide di compiere una rapina: di procurarsi i soldi con l'inganno.

Che cosa accade in carcere? Viene raggiunto dal cappellano ma egli lo rifiuta dicendo: "Io non ho la fede e non ho bisogno di lei!". Passano i giorni, chiuso tra quattro pareti, solo con la sua disperazione. Ma una notte: "Era una sera, nella mia cella... Nonostante tutte le catastrofi che da alcuni mesi si erano abbattute sulla mia testa, io restavo ateo. Ora quella sera, ero a letto con gli occhi aperti e soffrivo realmente per la prima volta nella mia vita per le conseguenze del mio delitto; ed è allora che un grido mi scaturì dal petto, un appello di soccorso: "Mio Dio, Mio Dio aiutami!". E instantaneamente, come un vento violento, che passa senza che si sappia dove viene, lo Spirito del Signore mi prese alla gola! Ho creduto e non capivo più come avessi fatto prima a non credere. La grazia mi ha visitato e una grande gioia s'è impossessata di me e soprattutto una grande pace". Quella notte Jacques udì una voce che gli diceva: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". Una frase per lui incomprensibile, il cui senso capirà più tardi.

Inizia una nuova vita in Cristo. Il cambiamento di questo giovane è qualche cosa di straordinario: è una testimonianza di quanto Dio può operare. "Ora veramente ho la certezza di cominciare a vivere per la prima volta. Ho la pace e ho dato un senso alla mia vita, mentre prima non ero che un uomo morto!". Jacques organizza la vita in prigione come la vita in un monastero: si dà un orario per la preghiera, legge libri religiosi e la Bibbia, scrive lettere per dare conforto ai suoi famigliari, che stanno vivendo una grossa crisi, vuole soprattutto poter vivere per riparare il male fatto.

Arriva il giorno del processo: il 3 aprile 1957 si apre il processo che si conclude con la sua condanna a morte. In quel momento capisce la frase: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". Jacques dopo un iniziale smarrimento vive la sentenza e la condanna come una vocazione ad amare fino in fondo la croce di Gesù. Egli desidera prepararsi spiritulamente alla sua morte e desidera salutare da vero cristiano tutti coloro che lo hanno amato e coloro a cui ha fatto del male. Scrive alla moglie e alla sua piccola figlia di 6 anni, si mette in contatto, tramite il suo avvocato anche con la famiglia del gendarme che lui ha ucciso per chiedere il perdono. Nonostante il grande cambiamento di vita che stupisce lo stesso presidente della Repubblica a cui era stata inoltrata la domanda di grazia, la sentenza viene confermata per il 30 settembre.

Le ultime ore: l'attesa dell'incontro con Gesù. "Ancora soltanto qualche ora di lotta, prima di conoscere Colui che è l'Amore. Oggi sarò in cielo. Cara mamma, innanzi tutto ti devo dire un grosso grazie per tutto l'amore di cui mi hai circondato in questi ultimi mesi... Tu sai che Gesù ha detto nel suo vangelo: Ero carcerato e siete venuti a visitarmi. Con queste righe io ti affido la mia bambina e mia moglie. Proteggile assiduamente. Amale in Dio e sii certa che di lassù io vi proteggerò e veglierò su di voi...". Alle 5,30 del mattino del 30 settembre le guardie carcerarie che sono veute a prenderlo per l'esecuzione capitale, lo trovano in ginocchio e in preghiera accanto al letto rifatto. Si confessa e riceve l'Eucarestia. Abbraccia il crocefisso e si avvia verso la ghigliottina... Le ultime sue parole: "Signore non abbandonarmi, io confido in te!".

confessioneconversionecambiare vitapeccatomisericordia di Dio

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 13/12/2005

PREGHIERA

8. Caro Gesù Bambino, ti voglio avvisare...   1

Giuliana Martirani, Il drago e l'agnello

Caro Bambino,
ora che di nuovo nasci bambino sulla Terra,
ti voglio avvisare:

Non nascere nella cristiana Europa:
ti metterebbero solo solo davanti alla Tv
riempiendoti di pop corn e merendine
e ti educherebbero a essere competitivo,
uomo di potere e di successo,
e a essere un «lupo» per altri bambini
semmai africani, latinoamericani o asiatici.
Tu che sei l'Agnello mite del servizio.

Non nascere nel cristiano Nord America:
ti insegnerebbero che sei superiore agli altri bambini,
che il tempo è denaro,
che tutto può essere ridotto a business, anche la natura,
che ogni uomo «ha un prezzo»
e tutti possono essere comprati e corrotti;
e ti eserciterebbero a sparar missili e a fare embarghi
che tolgono cibo e medicine ad altri bambini.
Tu che sei il Principe della pace.

Evita l'Africa:
ti capiterebbe di nascere con l'aids
e di morire di diarrea, ancora neonato
oppure di finire profugo in un Paese non tuo
per scappare a delle nuove stragi degli innocenti.
Tu che sei il Signore della Vita.

Evita l'America Latina:
finiresti bambino di strada oppure ti sfrutterebbero
per tagliar canna da zucchero o raccogliere caffè e cacao
per i bambini del Nord del mondo
senza mai poter mangiare una sola tavoletta di cioccolato.
Tu che sei il Signore del creato.

Evita anche l'Asia:
ti metterebbero «a padrone» lavorando quattordici ore al giorno
per tappeti oppure scarpe, palloni e giocattoli
da regalare... a Natale... ai bambini del Nord del mondo,
e tu andresti scalzo e giocheresti a calcio con palloni di carta o pezza.
Tu che sei il Padrone del mondo.

Ma soprattutto non nascere... di nuovo in Palestina:
alcuni ti metterebbero un fucile, altri una pietra in mano
e ti insegnerebbero a odiare i tuoi fratelli... di stesso Padre:
gli ebrei, i musulmani e i cristiani.
Tu che ogni anno sei inviato dal Padre per darci il suo amore misericordioso.

Caro Bambino, a pensarci bene,
devi proprio rinascere in tutti questi posti
ma non nei cuori dei bambini,
e dei Paesi «piccoli e deboli»:
là ci stai già,
ma nei cuori dei grandi e dei Paesi «grandi e potenti»
perché come hai fatto tu stesso:
Dio potente che diventa bambino impotente, rinascano anch' essi:
piccoli, innocenti e finalmente... deboli.

natalesolidarietàgiustiziaingiustiziasfruttamentomondialitàricchezzapovertà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Viola, inserito il 06/12/2002

TESTO

9. Dedicato alle mamme   1

Quando sei venuto al mondo, lei ti ha accolto tra le braccia,
tu l'hai ringraziata gridando.

Quando avevi 1 anno, lei ti ha dato da mangiare e ti ha pulito,
tu l'hai ringraziata piangendo per notti intere.

Quando avevi 2 anni, lei ti insegnò a camminare,
tu la ringraziasti scappando quando ti chiamava.

Quando avevi 3 anni, lei ti preparava da mangiare con amore,
tu la ringraziavi facendo cadere i piatti sul pavimento.

Quando avevi 4 anni, lei ti comprò alcuni pennarelli colorati,
tu la ringraziasti scrivendo sui muri della sala da pranzo.

Quando avevi 5 anni, lei ti vestiva bene per le occasioni speciali,
tu la ringraziavi camminando nelle pozzanghere della via.

Quando avevi 6 anni, lei ti accompagnava a scuola,
tu la ringraziavi gridandole: non voglio andare!

Quando avevi 7 anni, lei ti regalò un pallone,
tu la ringraziasti calciandolo nella finestra del vicino.

Quando avevi 8 anni, lei ti comprò un gelato,
tu la ringraziasti rovesciandolo sulla sua gonna.

Quando avevi 9 anni, lei ti pagò le lezioni di piano,
tu la ringraziasti non frequentandole.

Quando avevi 10 anni, lei ti scarrozzava in macchina
da tutte le parti: a scuola, alla partita di calcio,
alle feste di compleanno e ad ogni altra festa,
tu la ringraziavi scendendo sempre dalla macchina senza mai voltarti indietro.

Quando avevi 11 anni, lei accompagnava te e i tuoi amici al cinema,
tu la ringraziavi dicendole di sedersi in un'altra fila.

Quando avevi 12 anni, ti consigliò di non guardare alla tv certi programmi,
tu la ringraziasti sperando che lei se ne stesse a lungo fuori casa.

Quando avevi 13 anni, lei ti regalò un giaccone in pelle,
tu la ringraziasti dicendole che non aveva gusto.

Quando avevi 14 anni, ella ti pagò un mese di vacanze estive in campeggio,
tu la ringraziasti dimenticandoti di mandarle una cartolina.

Quando avevi 15 anni, tornava dal lavoro e avrebbe voluto abbracciarti,
tu la ringraziasti chiudendo a chiave la tua stanza.

Quando avevi 16 anni, ti insegnò a guidare la sua macchina,
tu la ringraziasti usandola ogni volta che potevi.

Quando avevi 17 anni, lei aspettava una telefonata importante,
tu la ringraziasti occupando il telefono tutta notte.

Quando avevi 18 anni, lei pianse alla festa del tuo diploma,
tu la ringraziasti restando alla festa fino all'alba.

Quando avevi 19 anni, lei ti pagò le tasse dell'università,
ti accompagnò al campus trasportando i tuoi bagagli,
tu la ringraziasti salutandola fuori della tua stanza,
per non vergognarti davanti ai tuoi amici.

Quando avevi 20 anni, ti domandò se stavi uscendo con una ragazza,
tu la ringraziasti dicendole: non ti interessa!

Quando avevi 21 anni, lei ti propose alcune strade per il futuro,
tu la ringraziasti dicendole: non voglio essere come te!

Quando avevi 22 anni, ti abbracciò alla festa di laurea,
tu la ringraziasti chiedendole una vacanza premio per l'Europa.

Quando avevi 23 anni, lei ti diede dei mobili per il tuo primo appartamento,
tu la ringraziasti dicendo ai tuoi amici che erano brutti.

Quando avevi 24 anni, conobbe la tua futura sposa,
e le domandò dei progetti per il futuro,
tu la ringraziasti gridandole ferocemente: taci!

Quando avevi 27 anni, ti aiutò a pagar le spese del matrimonio,
e piangendo ti diceva che ti amava moltissimo,
tu la ringraziasti trasferendoti in un altro paese.

Quando avevi 30 anni, lei ti diede alcuni consigli per tuo figlio appena nato,
tu la ringraziasti dicendo che le cose non erano più come una volta.

Quando avevi 40 anni, ti chiamò per ricordarti il compleanno di papà,
tu la ringraziasti dicendo che eri molto occupato.

Quando avevi 50 anni, lei si ammalò e necessitò di cure,
tu la ringraziasti discutendo sugli obblighi dei genitori verso i figli.

Improvvisamente, un giorno, lei morì.
Tutto ciò che non avevi fatto per lei, ti cadde addosso come fulmine e tempesta.

Prenditi un momento per pensare. Rendi onore e omaggio, dimostra quanto ami colei che chiami mamma.
Non c'è sostituto alcuno per lei. E anche se non sempre la si può considerare la migliore amica, anche se il suo modo di pensare non s'accorda con il tuo, lei è sempre la mamma.
Domandati: hai avuto tempo per star con lei, per ascoltare le sue lamentele, per alleviare le sue stanchezze?
Sii prudente e generoso. Portale il debito rispetto.
Quando lei avrà lasciato questo mondo, ti resteranno solo bei ricordi di colei che hai chiamato mamma.

amoregratuitàfamigliagenitorimammamaternitàfigli

5.0/5 (4 voti)

inviato da Rovaris Pinuccio, inserito il 16/09/2002

RACCONTO

10. Un lampo

Piero Gribaudi, Bimbi del Vangelo

Quando vide che il tramonto stava dipingendo di viola le nubi, Eleazar si accorse, come ridestandosi da un sogno, di averla fatta grossa. Che cosa avrebbe detto a casa? Gli avrebbero creduto? Ma soprattutto che cosa avrebbero mangiato, quella sera, il babbo e la mamma?

Fu quest'ultimo pensiero a spingerlo di corsa verso i 12 canestri allineati accanto a un pozzo abbandonato. Vuoti! Vuoti anch'essi come la sua bisaccia, che sentiva rendergli sul fianco floscia come un pensiero inutile.

La sua bisaccia che poche ore prima conteneva un tesoro: cinque pani e due grandi pesci essiccati.

Che cosa era successo? Perché si era prestato con tanta spontaneità, lui - l'unico che avesse con sé un po' di cibo - a quell'incredibile gioco cui aveva assistito con stupore, gioia, emozione, sino a dimenticare il correre del tempo?

Stentava ancora a raccapezzarsi, in quel susseguirsi di eventi: la richiesta del suo prezioso cibo da parte dei discepoli di Gesù, il suo sì immediato, e poi il movimento continuo della mano del Rabbi nell'estrarre dalla sua bisaccia quel che non poteva contenere: migliaia di pani, migliaia di pesci, a saziare le migliaia di persone tra le quali si era infilato anche lui quasi per caso, per curiosità, per udire parole che solo in parte aveva capite ma che gli erano scese nel cuore come il più squisito dei cibi.

E poi, quell'allegro desinare in gruppi a forma di aiuole di cinquanta, cento persone, rese un po' ebbre dell'abbondanza del cibo spirituale e di quello materiale; al punto che il Rabbi, vedendo lo spreco dei rifiuti nell'erba, aveva ordinato di raccoglierli in dodici cesti.

Tutto straordinario, incredibile, quasi magico. Ma la conclusione? Lui, che pure si era saziato, aveva completamente dimenticato i suoi cinque pani e i suoi due pesci.

Ce n'erano talmente tanti! Ce n'erano, appunto... Ma adesso, che tutti se n'erano andati, pure i cesti degli avanzi erano stati svuotati. E lui che era costretto a tornare a casa a raccontare cose dell'altro mondo, però a mani vuote.

A Eleazar venne un groppo in gola, un grosso nodo di pianto e rabbia. E diede un gran calcio all'ultimo cesto. Vide così, acceso dall'ultimo raggio dell'ultimo sole, un piccolissimo lampo. Gli si avvicinò.

Era un pesciolino non più lungo del suo mignolo, rimasto incastrato fra le maglie del cesto. Lo raccolse, e fu allora che notò una formica trascinare una mollica di pane dieci volte più grande di lei.

Raccolse anche la mollica. Forse, mostrando a casa quei minuscoli avanzi, avrebbe potuto illustrare meglio tutte le meraviglie cui aveva assistito. Ne era assai poco convinto, Eleazar, ma tentar non nuoce.

Fu così che lo avrete già capito, Eleazar trasse quella sera a casa, sul povero tavolo disadorno, di fronte alle ghirlande di occhi dei fratellini e di mamma e papà, non uno ma diecimila pesciolini piccini e diecimila briciole di pane.

Sinché il tavolo fu colmo sino al soffitto, e i pesciolini scivolavano a terra e ai piedi del tavolo si moltiplicavano pure i gatti e le galline facendo un gran chiasso.

Alla fine, smise di affondare la mano nella bisaccia, perché le dita gli dolevano, il sole era ormai alto, i fratellini dormivano per la grande abbuffata. Mamma e papà continuavano a chiedergli di quell'uomo, Gesù, e di quale magia avesse fatto lui, il loro figliolo generoso e distratto. E lui non sapeva che rispondere, se non con un sorriso.

condivisione

inviato da Stefania Raspo, inserito il 07/05/2002

PREGHIERA

11. La partita notturna

Michel Quoist

Questa sera, allo stadio, la notte si agitava, popolata di diecimila ombre,
e quando i proiettori ebbero dipinto in verde il velluto dell'immenso campo,
la notte intonò un coro, nutrito di diecimila voci.
Infatti il maestro di cerimonie aveva fatto segno di iniziare la funzione.
L'imponente liturgia si svolgeva dolcemente.
Il pallone bianco volava da ministro a ministro come se tutto fosse stato minuziosamente preparato in precedenza.
Passava dall'uno all'altro, correva raso terra o volava sopra le teste.
Ognuno era al suo posto, ricevendolo alla sua volta, con colpo misurato lo passava all'altro, e l'altro era là per accoglierlo e trasmetterlo.
E siccome ognuno faceva il suo lavoro dove occorreva,
siccome forniva lo sforzo richiesto,
siccome sapeva di aver bisogno di tutti gli altri,
lentamente, ma sicuramente, il pallone avanzava;
e quand'ebbe raccolto il lavoro d'ognuno,
quand'ebbe riunito il cuore degli undici giocatori,
la squadra gl'impresse un soffio e segnò il goal della vittoria.
Dopo la partita, a stento l'immensa folla si disperdeva nelle strade troppo strette,
ed io pensavo, o Signore, che la storia umana, per noi lunga partita, per Te era questa grande Liturgia,
meravigliosa cerimonia iniziata all'aurora dei tempi, che terminerà quando l'ultimo ministro avrà compiuto l'ultimo gesto.
In questo mondo, o Signore, abbiamo ognuno il nostro posto;
allenatore previdente, da sempre Tu ce lo destinavi.
Tu hai bisogno di noi qui, i nostri fratelli han bisogno di noi e noi abbiamo bisogno di tutti.
Non ha importanza il posto che io occupo, o Signore, ma la perfezione e l'intensità della mia presenza.
Che importa che io sia avanti o indietro, se sono al massimo quello che debbo essere?

Ecco, o Signore, la mia giornata davanti a me...
Non ho riparato troppo sul fallo, criticando gli sforzi degli altri, le mani in tasca?
Ho tenuto bene il mio posto, e mi hai Tu incontrato sul campo quando lo guardavi?
Ho ricevuto bene il "passaggio" del vicino e quello dell'altro dall'altra estremità del campo?
Ho "servito" bene i miei compagni di squadra, senza giocare troppo personalmente per mettermi in mostra?
Ho "costruito" il gioco in modo da ottenere la vittoria con il contributo di tutti?
Ho lottato fino in fondo nonostante gli scacchi, i colpi e le ferite?
Non sono stato turbato dalle dimostrazioni dei compagni e degli spettatori, scoraggiato dalla loro incomprensione e dai loro rimproveri, insuperbito dai loro applausi?
Ho pensato di pregare la mia partita, non dimenticando che agli occhi di Dio questo gioco degli uomini è la funzione più religiosa?
Ora vado a riposarmi negli spogliatoi, Signore;
domani, se Tu darai il calcio d'avvio, giocherò un altro tempo,
E così ogni giorno...
Fa' che questa partita celebrata con tutti i miei fratelli sia l'imponente liturgia che Tu aspetti da noi,
affinché quando il tuo ultimo fischio interromperà le nostre esistenze
noi siamo selezionati per la Coppa del Cielo.

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inviato da Maria Vitali, inserito il 29/04/2002