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PREGHIERA

1. Perdonaci la guerra, Signore   1

† don Mimmo Battaglia, Avvenire, 15 marzo 2022

Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di noi peccatori.
Signore Gesù, nato sotto le bombe di Kiev, abbi pietà di noi.
Signore Gesù, morto in braccio alla mamma in un bunker di Kharkiv, abbi pietà di noi.
Signore Gesù, mandato ventenne al fronte, abbi pietà di noi.
Signore Gesù, che vedi ancora le mani armate all'ombra della tua croce, abbi pietà di noi!

Perdonaci Signore,
perdonaci, se non contenti dei chiodi con i quali trafiggemmo la tua mano, continuiamo ad abbeverarci al sangue dei morti dilaniati dalle armi.
Perdonaci, se queste mani che avevi creato per custodire, si sono trasformate in strumenti di morte.

Perdonaci, Signore, se continuiamo ad uccidere nostro fratello, perdonaci se continuiamo come Caino a togliere le pietre dal nostro campo per uccidere Abele. Perdonaci, se continuiamo a giustificare con la nostra fatica la crudeltà, se con il nostro dolore legittimiamo l'efferatezza dei nostri gesti.

Perdonaci la guerra, Signore. Perdonaci la guerra, Signore.

Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, ti imploriamo! Ferma la mano di Caino!
Illumina la nostra coscienza,
non sia fatta la nostra volontà,
non abbandonarci al nostro agire!
Fermaci, Signore, fermaci!
E quando avrai fermato la mano di Caino, abbi cura anche di lui. È nostro fratello.
O Signore, poni un freno alla violenza!
Fermaci, Signore!

Preghiera di † don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, recitata da Papa Francesco durante l'udienza del 16 marzo 2022.

guerrapace

inviato da Qumran2, inserito il 25/03/2022

TESTO

2. Beati noi, poveri nello spirito

Paolo VI, Visita alla Basilica dell'Annunciazione in Nazareth (5 gennaio 1964)

Beati noi, se, poveri nello spirito,
sappiamo liberarci
dalla fallace fiducia nei beni economici
e collocare i nostri primi desideri
nei beni spirituali e religiosi;
e abbiamo per i poveri riverenza ed amore,
come fratelli e immagini viventi del Cristo.

Beati noi, se, formati alla dolcezza dei forti,
sappiamo rinunciare alla potenza funesta
dell'odio e della vendetta
e abbiamo la sapienza di preferire
al timore che incutono le armi
la generosità e il perdono,
l'accordo nella libertà e nel lavoro,
la conquista della bontà e della pace.

Tratto da "La vita in Cristo e nella Chiesa, maggio 2014, pag. 53"

beatitudinipovertàricchezzaforzadebolezzaperdonovendetta

inviato da Giuseppe Impastato, inserito il 20/02/2017

TESTO

3. Sognare   1

Gianni Fanzolato, Da Loreto nell'anno della misericordia 2015-2016

Chiudo gli occhi e mi butto fra le braccia della fantasia: e sogno.
Sognare è l'unico tesoro che nessuno ti può rubare e non costa niente.
Il sogno è il volo dell'anima, è passare il limite, è sfiorare la mente di Dio;
ti prende, ti circonda, ti sprona, ti affascina, ti strega e ti proietta all'infinito.

Che meraviglioso sognare un mondo dove tutti si abbracciano, mano nella mano,
e l'amore di ognuno fa crollare i muri, rompe barriere, spezza le guerre e semina pace.
Ma il sogno si fa duro, perché devo entrare nel cuore di tutti per dare la buona notizia
di quel sognatore che ci ha detto: "amatevi gli uni e gli altri come io ho amato voi".

E' bello sognare che ci sono più abbracci che bombe, più mani tese che armi puntate,
più gente che accoglie che bambini smarriti e annegati nei mari di un mondo diviso.
Cosa costa chiudere gli occhi e vedere che tutti i bambini della terra, di ogni colore
stanno facendo un grande girotondo, un arcobaleno di luce, perché amati da Dio.

Chi mi può rubare il fascino del sogno di Dio di fare del mondo una unica famiglia
dove non si guarda il colore, non c'è passaporto, ma basta la dignità di figli di Dio.
Mi possono togliere la libertà, impedire di parlare, ma non la sfida di volare in alto.
Dio mi sussurra la gioia di essere missionario della sua misericordia e mi accarezza.

Gesù, il grande sognatore che ha cambiato il sogno in un nuovo stile di vita,
si è identificato col migrante, col prigioniero, con l'ammalato, con chi ha fame.
"Ma, Signore, quel che tu dici è sogno, è utopia, la vita è dura, ad ognuno la sua pena."
"Se hai amore, mi vedrai presente nel povero, migrante e il sogno si farà benedizione."

Solo adesso, Signore, ho capito che devo aprire gli occhi, perché il sogno è reale;
ho sognato perché ho volato vicino a Te che mi hai trasmesso la forza di osare.
Sono una goccia d'amore nell'oceano del mondo, sogno e son desto, immerso nell'utopia
di Te che ci vuoi abbraccio, perdono, ponte e famiglia in un mondo possibile.

misericordiagiustiziaaccoglienzamigranti

inviato da P. Gianni Fanzolato, inserito il 25/08/2016

PREGHIERA

4. O Croce di Cristo!   2

Papa Francesco, Via Crucis al Colosseo, Venerdì santo 25 marzo 2016

O Croce di Cristo, simbolo dell'amore divino e dell'ingiustizia umana, icona del sacrificio supremo per amore e dell'egoismo estremo per stoltezza, strumento di morte e via di risurrezione, segno dell'obbedienza ed emblema del tradimento, patibolo della persecuzione e vessillo della vittoria.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo eretta nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli uccisi, bruciati vivi, sgozzati e decapitati con le spade barbariche e con il silenzio vigliacco.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei volti dei bambini, delle donne e delle persone, sfiniti e impauriti che fuggono dalle guerre e dalle violenze e spesso non trovano che la morte e tanti Pilati con le mani lavate.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei dottori della lettera e non dello spirito, della morte e non della vita, che invece di insegnare la misericordia e la vita, minacciano la punizione e la morte e condannano il giusto.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei ministri infedeli che invece di spogliarsi delle proprie vane ambizioni spogliano perfino gli innocenti della propria dignità.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei cuori impietriti di coloro che giudicano comodamente gli altri, cuori pronti a condannarli perfino alla lapidazione, senza mai accorgersi dei propri peccati e colpe.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei fondamentalismi e nel terrorismo dei seguaci di qualche religione che profanano il nome di Dio e lo utilizzano per giustificare le loro inaudite violenze.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell'uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei potenti e nei venditori di armi che alimentano la fornace delle guerre con il sangue innocente dei fratelli.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei traditori che per trenta denari consegnano alla morte chiunque.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei ladroni e nei corrotti che invece di salvaguardare il bene comune e l'etica si vendono nel misero mercato dell'immoralità.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli stolti che costruiscono depositi per conservare tesori che periscono, lasciando Lazzaro morire di fame alle loro porte.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei distruttori della nostra "casa comune" che con egoismo rovinano il futuro delle prossime generazioni.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli anziani abbandonati dai propri famigliari, nei disabili e nei bambini denutriti e scartati dalla nostra egoista e ipocrita società.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nel nostro Mediterraneo e nel mar Egeo divenuti un insaziabile cimitero, immagine della nostra coscienza insensibile e narcotizzata.

O Croce di Cristo, immagine dell'amore senza fine e via della Risurrezione, ti vediamo ancora oggi nelle persone buone e giuste che fanno il bene senza cercare gli applausi o l'ammirazione degli altri.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei ministri fedeli e umili che illuminano il buio della nostra vita come candele che si consumano gratuitamente per illuminare la vita degli ultimi.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei volti delle suore e dei consacrati - i buoni samaritani - che abbandonano tutto per bendare, nel silenzio evangelico, le ferite delle povertà e dell'ingiustizia.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei misericordiosi che trovano nella misericordia l'espressione massima della giustizia e della fede.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nelle persone semplici che vivono gioiosamente la loro fede nella quotidianità e nell'osservanza filiale dei comandamenti.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei pentiti che sanno, dalla profondità della miseria dei loro peccati, gridare: Signore ricordati di me nel Tuo regno!

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei beati e nei santi che sanno attraversare il buio della notte della fede senza perdere la fiducia in te e senza pretendere di capire il Tuo silenzio misterioso.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nelle famiglie che vivono con fedeltà e fecondità la loro vocazione matrimoniale.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei volontari che soccorrono generosamente i bisognosi e i percossi.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei perseguitati per la loro fede che nella sofferenza continuano a dare testimonianza autentica a Gesù e al Vangelo.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei sognatori che vivono con il cuore dei bambini e che lavorano ogni giorno per rendere il mondo un posto migliore, più umano e più giusto. In te Santa Croce vediamo Dio che ama fino alla fine, e vediamo l'odio che spadroneggia e acceca i cuori e le menti di coloro preferiscono le tenebre alla luce.

O Croce di Cristo, Arca di Noè che salvò l'umanità dal diluvio del peccato, salvaci dal male e dal maligno! O Trono di Davide e sigillo dell'Alleanza divina ed eterna, svegliaci dalle seduzioni della vanità! O grido di amore, suscita in noi il desiderio di Dio, del bene e della luce.

O Croce di Cristo, insegnaci che l'alba del sole è più forte dell'oscurità della notte. O Croce di Cristo, insegnaci che l'apparente vittoria del male si dissipa davanti alla tomba vuota e di fronte alla certezza della Risurrezione e dell'amore di Dio che nulla può sconfiggere od oscurare o indebolire. Amen!

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5.0/5 (5 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 26/03/2016

TESTO

5. Dio creò

Giuseppe Impastato S. I.

Dio creò la luce e disse: Che bello!
Dio creò il cielo e disse: Che bello!
E la luce vibrò e fece eco: Che bello!
Dio diede vita al mare e agli oceani ed esclamò: E' straordinario!
E la luce e il cielo ripeterono stupiti: E' veramente straordinario!

Dio forgiò il sole e le stelle ed urlò: Che splendore!
E il mare e gli oceani ondeggiarono per approvare: Che splendore!
Dio plasmò gli alberi e le foreste e disse: Che incanto!
E il sole e le stelle e le galassie luccicarono annunziando: Che incanto!
Dio diede esistenza agli animali, agli uccelli, ai pesci, ai rettili e respirò: Quanto son belli!
E gli alberi e le foreste fremettero di gioia: Quanto son belli!

Dio guardò gli esseri creati e chiese loro: c'è ancora qualcosa di bello da creare?
Ed essi risposero: Eh no! Con noi hai raggiunto il massimo!
Dio guardò il creato e guardò se stesso, si mise all'opera,
formò l'uomo e disse: Che splendore! Che meraviglia! Che realtà stupenda!
E gli animali saltellarono, gli uccelli danzarono, i pesci sgusciarono e i rettili saltarono
E si udì un immenso grido gioioso: Che splendore! Che meraviglia! Che realtà stupenda!

Dio pensò al suo capolavoro!
Un altro uomo. Anzi, l'UOMO!
E il Figlio venne sulla terra, e - per vivere con noi - si chiuse nel grembo di una donna.
Il Padre con lo Spirito esultò dicendo: E' stupendo e meraviglioso!
E gli angeli cantarono a squarciagola: Gloria, gloria, alleluya, alleluya!!!!!

E Dio venne sulla terra non sfolgorante come il sole,
non nello splendore di un palazzo imperiale,
non nello strepito delle armi di un generale,
non come maestoso baobab in un bosco,
non come leone forte e potente in una foresta,
ma come bambino, come vagito...
Non sarebbe diventato un gigante imponente, né un filosofo sapiente,
né un famoso scienziato, né un acclamato politico...
ma solo un sognatore, un innamorato, un appassionato,
una speranza, una grande gioia per l'umanità...

creazioneGesùnataleincarnazionecreature

5.0/5 (3 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S. I., inserito il 24/12/2015

TESTO

6. Non furono stesi tappeti al suo passaggio   2

Giuseppe Impastato S.I.

E Dio venne sulla terra...
Non era sfolgorante
come il sole,
non riempì di splendore
il palazzo dell'imperatore,
non andò dove si udiva
lo strepito delle armi di un generale...

Non apparve maestoso
come un baobab in un bosco,
né sembrò come un leone
forte e dominatore in una foresta,
ma come bambino, come vagito...

Non si preparò
a divenire un filosofo sapiente,
non andò a scuola dei rabbini
per prepararsi ad occupare un posto
tra i maestri autorevoli.
Non frequentò scuole militari
per essere un esperto stratega
o un valoroso condottiero.

E neppure entrò in un severo monastero
per dedicarsi a digiuni e penitenze,
a lunghe preghiere e a ritiri spirituali.
Non si mise al servizio dei potenti
per ottenere facili carriere
o vantaggiosi privilegi e lauti stipendi.

Bussò al cuore di una giovane ebrea
per entrare a far parte dell'umanità;
il suo desiderio non era di sottomettere a Dio
atei, idolatri, agnostici, infedeli.

Venne per sorridere,
consolare, illuminare,
perdonare, avvicinare...
Disse: "Sono con voi tutti i giorni",
"Vado a prepararvi un posto",
"andate e annunziate il Vangelo",
"amatevi come ho amato io".

natalenativitàincarnazioneGesù bambino

5.0/5 (2 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 24/12/2015

RACCONTO

7. Parlami di Dio   5

C'era una volta un uomo che voleva conoscere più cose possibili su Dio.
Un mattino, dunque, partì per chiedere a tutti gli uomini e a tutte le cose di parlargli di Dio.
Disse al soldato: "Parlami di Dio!" E il soldato lasciò cadere le armi.
Disse al povero: "Parlami di Dio!' E il povero gli offrì il suo mantello.
Disse al ciliegio: "Parlami di Dio!". E il ciliegio fiorì.
Disse alla casa: "Parlami di Dio!". E la casa aprì la sua porta.
Disse all'albero: "Parlami di Dio!". E l'albero allargò i suoi rami per proteggerlo dai raggi di sole.
Disse al bambino: "Parlami di Dio!". E il bambino si mise a sorridere.
Disse alla neve: "Parlami di Dio!". E la neve continuò a fioccare lieve, lieve.
Disse al pesce: "Parlami di Dio!". E il pesce guizzò via come una freccia.
Disse all'ippopotamo: "Parlami di Dio!". E l'ippopotamo si mise a ciondolare.
Disse al cielo: "Parlami di Dio!". E il cielo indicò la terra e il creato.

Arrivata la sera, l'uomo se ne tornò a casa, tutto contento: non aveva mai imparato tante cose su Dio come in quel giorno! Allora, per non dimenticare nulla, ripassò a memoria tutti gli incontri, e gli venne spontaneo ringraziare.

Grazie soldato: da te ho imparato che Dio è Pace.
Grazie, povero: da te ho imparato che Dio è generosità.
Grazie, ciliegio: da te ho imparato che Dio è bellezza.
Grazie casa: da te ho imparato che Dio accoglie tutti.
Grazie, albero: da te ho imparato che Dio è benigno.
Grazie, bambino: da te ho imparato che Dio è un sorriso.
Grazie, neve: da te ho imparato che Dio è silenzio.
Grazie, pesce: da te ho imparato che Dio è sempre giovane.
Grazie, ippopotamo: da te ho imparato che Dio è umorista.
Grazie, cielo: da te ho imparato che Dio è il grande Creatore di tutto!

Diocreatocreazione

5.0/5 (6 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 21/06/2014

PREGHIERA

8. Era in mezzo alla strada, vacillante   1

Michel Quoist

Era in mezzo alla strada, vacillante.
Cantava a squarciagola con la sua voce rauca
da ubriacone inveterato.
La gente si voltava, si fermava, si divertiva.
È arrivato un vigile, silenzioso, alle spalle.
Lo ha preso brutalmente per la spalla e portato dentro.
Cantava ancora.
La gente rideva.
Non ho riso.
Ho pensato, o Signore, alla donna che questa sera
attenderebbe invano.
Ho pensato a tutti gli altri ubriaconi della città,
quelli dei bar e dei caffè,
quelli dei ritrovi e dei night-club.
Ho pensato al loro ritorno, alla sera, in casa,
ai bimbi spaventati,
al portafoglio vuoto,
ai colpi,
alle grida,
alle lacrime,
ai bambini che nascerebbero dalle strette puzzolenti.
Ora hai steso la tua notte sulla città, o Signore.
E mentre s'intrecciano e snodano drammi
gli uomini che hanno difeso l'alcool,
fabbricato l'alcool,
venduto l'alcool,
nella stessa notte s'addormentano in pace.
Penso a tutti questi, mi fanno pietà;
hanno fabbricato e venduto miseria,
hanno fabbricato e venduto peccato.
Penso a tutti gli altri, la folla degli altri che lavorano
per distruggere e non per costruire,
per insozzare e non per nobilitare,
per istupidire e non per rasserenare,
per avvilire e non per accrescere.
Penso particolarmente, o Signore, a quella moltitudine
che lavora per la guerra,
che per nutrire la famiglia deve lavorare e distruggerne altre,
che per vivere deve preparare la morte.
Non ti chiedo di strapparli tutti al loro lavoro: non è possibile.
Ma fa', o Signore, che si pongano dei problemi,
che non dormano tranquilli,
che lottino in questo mondo in disordine,
che siano fermento,
che siano redentori.
Per tutti i feriti nell'anima e nel corpo, vittime del lavoro
dei loro fratelli.
Per tutti i morti, di cui migliaia di uomini hanno
coscienziosamente preparato la morte.
Per quell'ubriacone, grottesco clown in mezzo alla strada.
Per l'umiliazione e le lacrime della moglie.
Per la paura e le grida dei bambini.
Signore, abbi pietà di me troppo spesso sonnolento.
Abbi pietà degli infelici completamente addormentati e complici
di un mondo in cui fratelli si uccidono tra loro
per guadagnare il pane.

lavoropaceingiustiziamortearmipeccatoindifferenzaalcolalcolisti

5.0/5 (3 voti)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 23/09/2012

PREGHIERA

9. Preghiera dell'infermiere   1

O Signore Dio, Padre e Madre di chi spera in te, in punta di piedi sono entrato in questa cappella ed ho rotto il tuo silenzio per affidare a te la mia missione di infermiere.

Il mio è un compito di grande responsabilità e per questo ti ringrazio! Ogni giorno il dono prezioso della vita passa per le mie mani, perché io lo custodisca e me ne prenda cura in ragione delle mie capacità, confidando nella tua carezza e nel tuo conforto, quando la sfida diventa cosa troppo ardua.

Fra le tue mani voglio deporre ognuna di quelle vite che mi sono affidate, ogni mio paziente, perché il tuo conforto tenga uniti me e loro in un solo unico abbraccio.

Lascia che sia il tuo sorriso a riempire le mie giornate, a fare così di me immagine lieta della tua grazia e della tua bontà!

Fa' che sia la forza della tua compassione a guidare le mie mani tutte quelle volte in cui l'impotenza davanti alla malattia rischia di bloccare le mie azioni; ogni volta che ho bisogno di sentire tutta la tenerezza di un Padre per prendermi cura delle piaghe di un figlio, del dolore di un fratello; per ciascuna di quelle circostanze in cui sarebbe cosa più facile abbandonarsi alle lacrime o voltare le spalle! Lascia che il mio cuore senta ogni giorno più forte la ricchezza dell'unico e vero amore...il tuo!

Concedimi quel vigore speciale che viene dalla mitezza e dalla serenità, perché con umiltà e pazienza, sia sempre pronto a rispondere ad ogni campanello che squilla... con solerzia, disponibilità e volto lieto! Rendi celere ogni mia azione, anche nelle più piccole mansioni, anche di fronte ad un paziente ansioso e petulante. Lascia che io possa comprendere la difficoltà e la paura di chi si affida alle mie mani, perché non dell'ansia o della petulanza io mi sappia preoccupare ma del disagio e della fragilità di una persona da cui spesso queste provengono!

Fa' di me il più docile strumento della tua tenerezza per chi, anziano, debole, povero e solo, incrocia i miei passi lungo la corsia.

Fa' che io sia un valido collaboratore per ognuno dei miei colleghi!

Lascia che i miei occhi sappiano scorgere, con gioia, i lineamenti del volto di Cristo sofferente in ogni ammalato che viene affidato alle mie cure!

Lascia che le mie braccia si confondano con le tue ogni volta che il dolore di chi soffre ha bisogno di trovare sul tuo petto un porto sicuro, un luogo di dolcezza nel quale rifugiarsi anche soltanto per piangere o per affidare al silenzio la tenerezza di una preghiera.

Anche nelle giornate più confuse, lascia che ognuno dei miei pazienti possa scorgere in me l'immagine di una mano tesa: sarà la tua mano che guiderà la mia a farsi consolazione per tutti coloro che si sentono abbandonati.

Allo stesso modo ti prego di rendermi capace di trovare sempre in te la forza per essere dolce e comprensivo verso tutti i parenti ansiosi e preoccupati per i loro cari! Le mie parole siano cariche, per ognuno, della tua bontà e della tua grazia! Fa' di me valido strumento della tua empatia, perché io non sia capace solo di "sentire", ma soprattutto di "ascoltare" tutti con attenzione e premura.

Voglio essere un infermiere che sappia farsi samaritano per tutti quelli che incontra nel suo reparto! Per questo vorrei possedere soltanto due armi: la luce del tuo sorriso e la forza della tua costante, silenziosa e discreta presenza al mio fianco.

E mi affido a Maria, donna di compassione e di amore! Che lei mi prenda per mano nel mio servizio e mi conduca nel sentiero della sofferenza con la gioia infinita nel cuore. Amen

saluteservizioinfermiere

4.0/5 (1 voto)

inviato da Don Gianni Mattia, inserito il 19/02/2011

TESTO

10. Maria, donna di parte   1

Tonino Bello

No, non fu neutrale. Basta leggere il Magnificat per rendersi conto che Maria si è schierata. Ha preso posizione, cioè dalla parte dei poveri, naturalmente.

Degli umiliati e offesi di tutti i tempi. Dei discriminati dalla cattiveria umana e degli esclusi dalla forza del destino. Di tutti coloro, insomma, che non contano nulla davanti agli occhi della storia.

Non mi va di avallare certe interpretazioni che favoriscono una lettura puramente politica del Magnificat quasi fosse, nella lotta continua tra oppressi e oppressori, una specie di marsigliese ante litteram del fronte cristiano di liberazione.

Significherebbe ridurre di gran lunga gli orizzonti dei sentimenti di Maria, che ha cantato liberazioni più profonde e durature di quelle provocate dalle semplici rivolte sociali. I suoi accenti profetici, pur includendole, vanno oltre le rivendicazioni di una giustizia terrena, e scuotono l'assetto di ben più radicali iniquità.

Sta di fatto, però, che, sul piano storico, Maria ha fatto una precisa scelta di campo. Si è messa dalla parte dei vinti, ha deciso di giocare con la squadra che perde. Ha scelto di agitare come bandiera gli stracci dei miserabili e non di impugnare i lucidi gagliardetti dei dominatori.

Si è arruolata, per così dire, nell'esercito dei poveri. Ma senza roteare le armi contro i ricchi. Bensì, invitandoli alla diserzione. E intonando, di fronte ai bivacchi notturni del suo accampamento, perché le udissero dall'alto, canzoni cariche di nostalgia. Ha esaltato, così, la misericordia di Dio. E ci ha rivelato che è partigiano anche lui, visto che prende le difese degli umili e disperde i superbi nei pensieri del loro cuore; stende il suo braccio a favore dei deboli e fa rotolare i violenti dai loro piedistalli con le ossa in frantumi; ricolma di beni gli affamati e si diverte a rimandare i possidenti con un pugno di mosche in mano e con un palmo di naso in fronte.

Qualcuno forse troverà discriminatorio questo discorso, e si chiederà come possa conciliarsi la collocazione di Maria dalla parte dei poveri con l'universalità del suo amore e con la sua riconosciuta tenerezza per i peccatori, di cui i superbi, i prepotenti e i senza cuore sono la razza più inquietante.

La risposta non è semplice. Ma diventa chiara se si riflette che Maria non è come certe madri che, per amor di quieto vivere, danno ragione a tutti e, pur di non creare problemi, finiscono con l'assecondare i soprusi dei figli più discoli. No. Lei prende posizione. Senza ambiguità e senza mezze misure. La parte, però, su cui sceglie di attestarsi non è il fortilizio delle rivendicazioni di classe, e neppure la trincea degli interessi di un gruppo. Ma è il terreno, l'unico, dove lei spera che un giorno, ricomposti i conflitti, tutti i suoi figli, ex oppressi ed ex oppressori, ridiventati fratelli, possano trovare finalmente la loro liberazione.

MariaMadonnamagnificatpovertàpoverisconfittadebolidebolezza

inviato da Federica Mancinelli, inserito il 06/08/2009

TESTO

11. Il Calvario tre giorni dopo   1

Tonino Bello

I Vangeli ci raccontano numerose apparizioni del Risorto avvenute nel giorno di Pasqua. Se è lecito esprimere delle preferenze, quella che mi commuove di più è l'apparizione a Maria di Magdala, piangente accanto al sepolcro vuoto.

Le si avvicina Gesù e le dice: "Perché piangi?". Donna, le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che tu non pianga per gioia o per amore. Vedi: la collina del Calvario, che l'altro ieri sera era solo un teschio coperto di fango, oggi si è improvvisamente allagata di un mare d'erba. I sassi si sono coperti di velluto. Le chiazze di sangue sono tutte fiorite di anemoni e asfodeli. Il cielo, che venerdì era uno straccio pauroso, oggi è limpido come un sogno di libertà. Siamo appena al terzo giorno, ma sono bastate queste poche ore perché il mondo facesse un balzo di millenni. No, non misurare sui calendari dell'uomo la distanza che separa quest'alba luminosa dal tramonto livido dell'ultimo venerdì. Non è trascorso del tempo: è passata un'eternità. Donna, tu non lo sai: ma oggi è cominciata la nuova creazione.

Cari amici, nel giorno solennissimo di Pasqua anch'io debbo rivolgere a ciascuno di voi la stessa domanda di Gesù: "Perché piangi?". Le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che non siano l'ultimo rigagnolo di un pianto antico. O l'ultimo fiotto di una vecchia riserva di dolore da cui ancora la tua anima non è riuscita a liberarsi. Lo so che hai buon gioco a dirmi che sto vaneggiando. Lo so che hai mille ragioni per tacciarmi di follia. Lo so che non ti mancano gli argomenti per puntellare la tua disperazione. Lo so.

Forse rischio di restare in silenzio anch'io, se tu mi parli a lungo dei dolori dell'umanità: della fame, delle torture, della droga, della violenza. Forse non avrò nulla da replicarti se attaccherai il discorso sulla guerra nucleare, sulla corsa alle armi o, per non andare troppo lontano, sul mega poligono di tiro che piazzeranno sulle nostre terre, attentando alla nostra sicurezza, sovvertendo la nostra economia e infischiandosene di tutte le nostre marce della pace.

Forse rimarrò suggestionato anch'io dal fascino sottile del pessimismo, se tu mi racconterai della prostituzione pubblica sulla statale, del dilagare dei furti nelle nostre case, della recrudescienza di barbarie tra i minori della nostra città.

Forse mi arrenderò anch'io alle lusinghe dello scetticismo, se mi attarderò ad ascoltarti sulle manovre dei potenti, sul pianto dei poveri, sulla miseria degli sfrattati, sulle umiliazioni di tanta gente senza lavoro.

Forse vedrai vacillare anche la mia speranza se continuerai a parlarmi di Teresa che, a trentacinque anni, sta morendo di cancro. O di Corrado che, a dieci, è stato inutilmente operato al cervello. O di Lucia che, dopo Pasqua, farà la Prima Comunione in casa perché in chiesa, con gli altri compagni, non potrà andarci più. O di Nicola e Annalisa che, dopo tre anni di matrimonio e dopo aver messo al mondo una creatura, se ne sono andati ognuno per la sua strada, perché non hanno più nulla da dirsi.

Queste cose le so: ma io voglio giocarmi, fino all'ultima, tutte le carte dell'incredibile e dire ugualmente che il nostro pianto non ha più ragione di esistere.

La Resurrezione di Gesù ne ha disseccate le sorgenti. E tutte le lacrime che si trovano in circolazione sono come gli ultimi scoli delle tubature dopo che hanno chiuso l'acquedotto.

Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del "terzo giorno". Da quel versante, il luogo del cranio ci apparirà come il Tabor. Le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del Cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell'agonia, ma i travagli del parto.

E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d'ora le luci di un mondo nuovo!
Buona Pasqua!

pasquarisortoresurrezionevitagioiadoloresofferenzamortecrocesenso della vita

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inviato da Marcello Rosa, inserito il 04/03/2008

PREGHIERA

12. Preghiera per la Pace   1

Giovanni Paolo II, Hiroshima, 25 febbraio 1981

Ascolta la mia voce perché è la voce delle vittime di tutte le guerre e della violenza tra gli individui e le nazioni;

Ascolta la mia voce, perché è la voce di tutti i bambini che soffrono e soffriranno ogni qualvolta i popoli ripongono la loro fiducia nelle armi e nella guerra;

Ascolta la mia voce, quando ti prego di infondere nei cuori di tutti gli esseri umani la saggezza della pace, la forza della giustizia e la gioia dell'amicizia;

Ascolta la mia voce, perché parlo per le moltitudini di ogni Paese e di ogni periodo della storia che non vogliono la guerra e sono pronte a percorrere il cammino della pace;

Ascolta la mia voce e donaci la capacità e la forza per poter sempre rispondere all'odio con l'amore, all'ingiustizia con una completa dedizione alla giustizia, al bisogno con la nostra stessa partecipazione, alla guerra con la pace.

O Dio, ascolta la mia voce e concedi al mondo per sempre la tua pace.

Leggi il testo completo del discorso di Giovanni Paolo II al "Peace Memorial" di Hiroshima.

pace

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inviato da Qumran2, inserito il 31/12/2007

TESTO

13. Non credo

Dorothee Solle

Non credo
al diritto dei più forti,
al linguaggio delle armi,
alla potenza dei potenti.

Voglio credere
ai diritti dell'uomo,
alla mano aperta,
alla potenza dei non-violenti.

Non credo alla razza o alla ricchezza,
ai privilegi, all'ordine della forza e dell'ingiustizia:
è un disordine.
Non credo di potermi disinteressare
a ciò che accade lontano da qui.

Voglio credere che il mondo intero
è la mia casa e il campo nel quale semino,
e che tutti mietono ciò che tutti hanno seminato.

Non credo
di poter combattere altrove l'oppressione,
se tollero l'ingiustizia qui.

Voglio credere che il diritto è uno,
tanto qui che altrove,
che non sono libero finché un solo uomo è schiavo.

Non credo che la guerra e la fame siano inevitabili
e la pace irraggiungibile.

Voglio credere all'azione semplice,
all'amore a mani nude,
alla pace sulla terra.

Non credo che ogni sofferenza sia vana.
Non credo che il sogno degli uomini resterà un sogno
e che la morte sarà la fine.

Oso credere invece, sempre e nonostante tutto,
all'uomo nuovo.
Oso credere al tuo sogno, o Dio,
un cielo nuovo, una terra nuova dove abiterà la giustizia.

giustiziasperanzaimpegnoresponsabilità

inviato da Giovanni Vacca, inserito il 21/06/2005

TESTO

14. Poesia del papa sulla pace

Andrzej Jawin (Karol Wojtyla), Operaio in una fabbrica d'armi, in Tygodnik Powszechny n. 13, 1958

Non influisco sul destino del globo,
non son io che incomincio le guerre.
Sono con te o contro di te - non lo so.
Non pecco.
E proprio questo mi tormenta:
che non influisco, non pecco.
Tornisco minuscole viti
e preparo frammenti di devastazione,
e non abbraccio l'insieme,
non abbraccio il destino dell'uomo.
Io potrei creare un altro insieme,
altro destino (ma come farlo senza frammenti)
di cui io stesso, come ogni altro uomo,
sarei la causa integra e sacra
che nessuno distrugge con le azioni,
né inganna con le parole.
Il mondo che io creo non è buono
eppure non sono io che lo rendo malvagio!
Ma questo basta?

paceguerramondoresponsabilitàconflitti

inviato da Anna Barbi, inserito il 30/04/2003

TESTO

15. Il fascino sinistro della guerra

L'Azione, Settimanale della Diocesi di Vittorio Veneto

Re, imperatori e principi hanno sempre preferito mostrarsi in pubblico in divisa militare con relative medaglie. La divisa militare ha sempre esercitato una grande attrattiva su chi ha in mano il potere. È sempre stata presentata come simbolo di coraggio, eroismo e grandezza. Un'ininterrotta tradizione ha esaltato la guerra come il luogo privilegiato dell'eroismo. La nostra psicologia, in primo luogo la psicologia maschile, è stata plasmata da una martellante retorica di esaltazione della guerra. Dobbiamo riconoscere: la guerra ci affascina. Ci fa paura, ma anche ci attrae.

Rimaniamo incollati sulle pagine di un libro o davanti ad uno schermo che narri imprese belliche o comunque azioni nelle quali si usino armi, ci sia violenza, sangue. Fin da bambini, il gioco preferito dai maschi è stata la guerra.

In realtà la guerra è l'azione più disumana che possa esistere, nonostante abbia accompagnato tutta la storia dell'umanità. Bisogna togliere lo splendore di gloria che la circonda. È vero, in guerra ci giochiamo la vita, che è tutto quello che abbiamo, ma la mettiamo in gioco contro un'altra vita uguale alla nostra. Allora il coraggio perde la sua aureola di virtù e diventa l'atto più brutto che una persona possa compiere. La virtù della fortezza è una delle virtù fondamentali (cardinali), ma è virtù solamente se è per la vita, per superare gli ostacoli che impediscono la vita, quando invece è usata per togliere la vita, non può più essere chiamata virtù.

Ma, si dice, la guerra non è solo violenza, può essere fatta per grandi ideali, come la difesa del suolo patrio, la conquista della libertà, la salvezza del proprio popolo, la salvaguardia dei diritti e via declamando.

Il guaio è che tutte le guerre sono sempre state dichiarate in nome di grandi ideali. Non c'è guerra che non sia stata dichiarata giusta, e doppiamente giusta: da una parte e dall'altra dei due schieramenti che si stanno sgozzando. Chi va ad uccidere o a morire in guerra, va convinto o è incitato a convincersi, che sta facendo la cosa più giusta e nobile del mondo. Anche i soldati di Hitler erano sicuri di battersi per una grande
causa.

Questa costante giustificazione di ogni guerra rende dubbio il fatto che ci siano guerre degne e nobili; è invece il segno che lo scatenamento di una guerra è sempre accompagnato da un'opera di mistificazione, di inganno più o meno consapevole. Perciò la cosa più sicura è opporsi ad essa con tutti i mezzi. E poi, qualunque sia la causa per cui ci si batte, la guerra resta sempre morte inflitta ad altre persone, sofferenza indicibile, sangue versato come quello che pulsa nelle mie vene.

E se guardiamo alle guerre moderne, quelle combattute con armi tecnologicamente perfette e di potere distruttivo immane, allora anche le più alte ragioni scompaiono del tutto. Questa guerra non è più l'uccisione del nemico che mi sta davanti e che tenta in tutti i modi di eliminarmi. Non c'è più l'alternativa: uccido per primo altrimenti lui uccide me. Le guerre combattute con queste armi comportano prevalentemente l'uccisione di civili, gente innocua, indifesa, in preda al terrore, mentre chi compie queste azioni corre di solito minimi pericoli. I bombardamenti a tappeto delle grandi città, compiuti nell'ambito della Seconda Guerra mondiale che più giusta di così non si poteva pensare, dove tutto veniva distrutto, sistematicamente, senza distinzione; peggio ancora, lo sganciamento della bomba atomica sopra città, che in un batter d'occhio, senza lasciar scampo, spazza via tutto, queste azioni mai sono giustificabili.

Anche la guerra incombente sull'Iraq sarà di questo tipo. Ci vengono mostrate armi bellissime, gioielli di tecnologia, perfette nel loro funzionamento, perfino intelligenti: non lasciamoci incantare, sono semplicemente strumenti di morte; servono per straziare corpi, provocare urla di dolore in persone come noi. Se scoppia la guerra, ci mostreranno le meraviglie di queste macchine in azione, parleranno di obiettivi raggiunti, missione compiute con successo. Non lasciamoci ammaliare dallo spettacolo esaltante. È tutt'altra cosa: è morte, dolore, sofferenza.

Quanto sarebbe salutare se ciascuno di noi facesse questo esercizio di purificazione psicologica strappando via i paludamenti gloriosi con cui siamo stati abituati a rivestire la guerra per guardarla nella sua orrenda realtà. Il mostro così privato dei suoi galloni, delle sue medaglie luccicanti, delle sue armature splendenti, dei suoi stendardi, si mostrerebbe in tutta la sua ripugnante bruttezza e ci riuscirebbe così più facile tenerlo lontano da noi.

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inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 07/03/2003

TESTO

16. Un altro natale è possibile   2

Alex Zanotelli

Un altro Natale è possibile: ci può essere ancora un Buon Natale!

Con il Natale la vita vince nonostante tutto. Ogni bimbo che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell'umanità (Tagore).

Viola, la perla bianca di Chiara nata nel cuore della ricca Brianza ha davanti a sé ottanta anni di vita (se tutto va bene) e una dote iniziale di 25.000 euro.

Njeri, la perla nera di Rachele, nata nella baracca di Korogocho ha davanti a sé quaranta anni di vita (se tutto fila liscio) e una dote inziale di soli 250 euro.

Due mondi, due bimbe, divise da un invisibile muro di vetro. La prima, Viola, fa parte del 20% dell'umanità che si "pappa" l'83% delle risorse mondiali. La seconda, Njeri, fa parte dell'oltre un miliardo di "esuberi umani" che devono accontentarsi dell' 1,4% delle risorse, costretti a vivere con meno di 1 dollaro al giorno: sono gli innocenti di cui si rinnova la strage oggi: e Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché essi non ci sono più.

Milioni di bimbi muoiono di fame, malattie, aids: un bimbo muore di fame ogni due secondi, 11 milioni ne muoiono all'anno per malattie meno gravi di un raffreddore, centinaia di milioni non inizieranno neanche la prima elementare.

Due mondi, due Natali. Il nostro è il Natale dell'opulenza, delle luci, dei regali del consumismo degli affari. E' un business senza fine, è uno shopping anche di domenica. Questo sfavillio di luci natalizie sembra un meraviglioso "acquario" in cui guizzano costosissimi pesciolini esotici. A scrutarlo centinaia di milioni di bimbi dal volto scuro che guardano affascinati l'acquoso ed esotico luccichio. Fino a quando la parete di vetro proteggerà il banchetto degli esotici pesciolini?

Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile e ci protegga eternamente da quei visi sognanti di bimbi affascinati noi investiamo somme astronomiche in armi: Usa ed Europa nel 2003 programmano di spendere 750 miliardi di dollari.

Un altro Natale non solo è possibile ma è urgente e necessario! Boicottiamo il Natale dei pesciolini esotici: il Natale dei consumi, dei regali, degli affari, un Natale "pagano" che ha ben poco da spartire con quel Bimbo che nasce in una mangiatoia alla periferia dell'impero, fuori dell'acquario anche lui indistinguibile volto nero in mezzo agli altri volti scuri.

Diciamo no al consumismo vieppiù indotto e incentivato e diciamo sì alla festa natalizia della famiglia allargata a nonni, cugini, zii, nipoti ma anche alla famiglia dell'immigrato che lavora per noi o che ci è più vicino.

Diciamo no al decadente e ripetitivo tango di regali, e diciamo sì ad un consumo critico, al regalo fatto in casa con amore e con le proprie mani, o a quello equo e solidale di lavoro fatto "in dignità".

Diciamo no alla stupida pervasività televisiva e diciamo sì alle relazioni umane in famiglia, ritornando a raccontarci gioie e dolori e a riprendere confidenza con l'immaginario, la fiaba prendendo a cuore anche la bellezza del celebrare insieme il fascino del Natale.

Diciamo no alla violenza e alla guerra e diciamolo con fierezza, e diciamo sì alla pace e alla nonviolenza con evidenza mettendo bandiere arcobaleno ai nostri balconi e camminando con uno "straccetto bianco di pace". Solo così il Natale ritornerà ad essere la festa della vita che farà rifiorire la speranza di un altro mondo possibile.

Coraggio, dunque, ci può ancora essere un Buon Natale!

Natalesolidarietàgiustiziaingiustiziasfruttamentomondialitàricchezzapovertàpaceguerraarmi

inviato da Viola, inserito il 29/01/2003

PREGHIERA

17. Natale   2

Giovanni Paolo II, Messaggio Urbi et Orbi, Natale 1994

Asciuga, Bambino Gesù,
le lacrime dei fanciulli!
Accarezza il malato e l’anziano!
Spingi gli uomini a deporre le armi
e a stringersi in un universale abbraccio di pace!
Invita i popoli, misericordioso Gesù,
ad abbattere i muri creati
dalla miseria e dalla disoccupazione
dall'ignoranza e dall'indifferenza,
dalla discriminazione e dall'intolleranza.
Sei Tu, Divino Bambino di Betlemme,
che ci salvi, liberandoci dal peccato.
Sei Tu il vero ed unico Salvatore,
che l'umanità spesso cerca a tentoni.
Dio della pace, dono di pace per l'intera umanità,
vieni a vivere nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia.
Sii Tu la nostra pace e la nostra gioia! Amen!

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Natalepace

4.0/5 (3 voti)

inviato da Don Lorenzo Corradini, inserito il 17/12/2002

TESTO

18. Educazione alla povertà   1

Tonino Bello, Sui sentieri di Isaia

L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse per questo il Maestro ha voluto riservare ai poveri la prima beatitudine.
Non è vero che si nasce poveri.
Si può nascere poeti, ma non poveri.
Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti.
Dopo una trafila di studi, cioè.
Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi.

Questa della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l'insegnamento di questa disciplina.

Nella seconda lettera che San Paolo scrisse ai cittadini di Corinto, al capitolo ottavo, c è un passaggio fortissimo: "Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi".

E' un testo splendido. Ha la cadenza di un diploma di laurea, conseguito a pieni voti, incorniciato con cura, e gelosamente custodito dal titolare, che se l'è portato con sé in tutte le trasferte come il documento più significativo della sua identità: "Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il nido; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".

Se l'è portato perfino nella trasferta suprema della croce, come la più inequivocabile tessera di riconoscimento della sua persona, se è vera quella intuizione di Dante che, parlando della povertà del Maestro, afferma: "Ella con Cristo salì sulla croce".

Non c'è che dire: il Signore Gesù ha fatto una brillante carriera.
E ce l'ha voluta insegnare.

Perché la povertà si insegna e si apprende. Alla povertà ci si educa e ci si allena. E, a meno che uno non sia un talento naturale, l'apprendimento di essa esige regole precise, tempi molto lunghi, e, comunque, tappe ben delineate.

Proviamo a delinearne sommariamente tre.

Povertà come annuncio

A chi vuole imparare la povertà, la prima cosa da insegnare è che la ricchezza è cosa buona.

I beni della terra non sono maledetti. Tutt'altro. Neppure i soldi sono maledetti.

Continuare a chiamarli sterco del diavolo significa perpetuare equivoci manichei che non giovano molto all'ascetica, visto che anche i santi, di questo sterco, non hanno disdegnato di insozzarsi le tasche.

I beni della terra non giacciono sotto il segno della condanna. Per ciascuno di essi, come per tutte le cose splendide che nei giorni della creazione uscivano dalle mani di Dio, si può mettere l'epigrafe: "ed ecco, era cosa molto buona".

Se la ricchezza della terra è buona, però, c'è una cosa ancora più buona: la ricchezza del Regno, di cui la prima è solo un pallidissimo segno. Ecco il punto. Ci vorrà fatica a farlo capire agli apprendisti. Ma è il nodo di tutto il problema. Farsi povero non deve significare disprezzo della ricchezza, ma dichiarazione solenne, fatta con i gesti del paradosso e perciò con la rinuncia, che il Signore è la ricchezza suprema.

Un po' come rinunciare a sposarsi in vista del Regno non significa disprezzare il matrimonio, ma annunciare che c'è un amore più grande di quello che germoglia tra due creature. Anzi, dichiarare che questo piccolo amore è stato scelto da Dio come segno di quell'altro più grande. Sicché, chi non si sposa sembra dire ai coniugi: "Splendida la vostra esperienza. Ma non è tutto. Essa è solo un segno. Perché c'è un'esperienza di amore ancora più forte, di cui voi attualmente state vivendo solo un lontanissimo frammento, e che un giorno saremo tutti chiamati a vivere in pienezza".

Analogamente, farsi povero significa accendere una freccia stradale per indicare ai viandanti distratti la dimensione "simbolica" della ricchezza, e far prendere coscienza a tutti della realtà significata che sta oltre. Significa, in ultima analisi, divenire parabola vivente della "ulteriorità".

In questo senso, la povertà, prima che rinuncia, è un annuncio. E' annuncio del Regno che verrà.

Povertà come rinuncia

E' la dimensione che, a prima vista, sembra accomunare la povertà cristiana a quella praticata da alcuni filosofi o da molte correnti religiose. Rinunciare alla ricchezza per essere più liberi.

in realtà, però, c'è una sostanziale differenza tra la rinuncia cristiana e quella che, per intenderci, possiamo chiamare rinuncia filosofica.

Questa interpreta i beni della terra come zavorra. Come palla al piede che frena la speditezza del passo. Come catena che, obbligandoti agli schemi della sorveglianza e alle cure ansiose della custodia, ti impedisce di volare. E' la povertà di Diogene, celebrata in una serie infinita di aneddoti, intrisa di sarcasmi e di autocompiacimenti, di disprezzo e di saccenteria, di disgusti raffinati e di arie magisteriali. La botte è meglio di un palazzo, e il regalo più grande che il re possa fare è quello che si tolga davanti perché non impedisca la luce del sole.

La rinuncia cristiana ai beni della terra, invece, pur essendo fatta in vista della libertà, non solleva la stessa libertà a valore assoluto e a idolo supremo dinanzi a cui cadere in ginocchio.

Il cristiano rinuncia ai beni per essere più libero di servire. Non per essere più libero di sghignazzare: che è la forma più allucinante di potere.

Ecco allora che si introduce nel discorso l'importantissima categoria del servizio, che deve essere tenuta presente da chi vuole educarsi alla povertà. Spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù che, prima di quel sacramentale pediluvio fatto con le sue mani agli apostoli, "depose le vesti".

Chi vuol servire deve rinunciare al guardaroba. Chi desidera stare con gli ultimi, per sollecitarli a camminare alla sequela di Cristo, deve necessariamente alleggerirsi dei "tir" delle sue stupide suppellettili.

Chi vuol fare entrare Cristo nella sua casa, deve abbandonare l'albero, come Zaccheo, e compiere quelle conversioni "verticali" che si concludono inesorabilmente con la spoliazione a favore dei poveri.

E' la gioia, quindi, che connota la rinuncia cristiana: non il riso.
La testimonianza, non l'ostentazione.

Come avvenne per Francesco, innamorato pazzo di madonna Povertà. Come avvenne per i suoi seguaci, che si spogliarono non per disprezzo, ma per seguire meglio il maestro e la sua sposa: "O ignota ricchezza, o ben verace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro, dietro allo sposo; sì la sposa piace!".

Povertà come denuncia

Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere.

Come non può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell'accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali.

Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni, che provocano la morte per fame di cinquanta milioni di persone all'anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impiegano capitali da capogiro.

Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre che il Papa, nella "Sollicitudo rei socialis", ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato? Quella della povertà!

Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza.

E' un'educazione che bisogna compiere, tornando anche ai paradossi degli antichi Padri della Chiesa: "Se hai due tuniche nell'armadio, una appartiene ai poveri". Non ci si può permettere i paradigmi dell'opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. Le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze.

La condivisione dei propri beni assumerà, così, il tono della solidarietà corta.
Ma c'è anche una solidarietà lunga che bisogna esprimere.

Ed ecco la povertà intesa come condivisione della sofferenza altrui. E' la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio prestigio, o turpe occasione per scalate rampanti.

Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona.

Come ha fatto Gesù Cristo, che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza e, per farci ricchi, sì è fatto povero fino al lastrico dell'annientamento.

L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara.

Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine.

povertàricchezzaingiustiziacelibatovita eternaparadisoserviziocaritàregno dei cieliregno di Diorinuncia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002

TESTO

19. Essere presenza

Cardinale Pironio

"Essere presenza", Signore, è parlare di te senza nominarti.
Tacere nel momento in cui è necessario che siano i gesti al posto della parola.
Essere luce che illumini il linguaggio del silenzio e voce che, anche se sorge della vita, non parla.
È dire agli altri che gli stiamo vicini, pur essendo grande la distanza che ci separa.
È intuire la speranza degli altri e semplicemente riempirla.
È soffrire insieme con quello che soffre al di dentro e mostrargli che Dio guarisce le nostre piaghe.
È ridere con quello che ride e gioire del fratello perché ama.
È gridare con tutta la forza dello Spirito, la verità che è Dio soltanto che ci salva.
È vivere esposto e senza armi, affidandosi ciecamente alla Sua Parola.
È condurre il "deserto" ai fratelli, dividendo il tuo mistero e annunciandogli che tu li ami.
È sapere ascoltare il tuo linguaggio nel silenzio.
È "vedere" al loro posto quando la loro fede sembra spegnersi.
"Essere presenza", o Signore, è sapere aspettare il tuo tempo senza fretta e nella quiete.
È dare tranquillità con una pace molto profonda.
È vivere la tensione dello sconcerto in una Chiesa che, siccome cresce, cambia.
È aprire se stesso ai "segni dei tempi", pur rimanendo fedele alla tua Parola.
È alla fine, essere pellegrino in un cammino pieno di fratelli, che gridano nel silenzio che tu sei vivo e ci tieni stretti nelle tue mani.

testimonianzasolidarietàsperanzapresenza

inviato da Anna, inserito il 30/09/2002

TESTO

20. Verrà un giorno

Jorge Carrera Andrade

Verrà un giorno più duro degli altri:
scoppierà la pace sulla terra
come un sole di cristallo. Un fulgore nuovo
avvolgerà le cose.
Gli uomini canteranno nelle strade
liberi ormai della morte menzognera.
Il frumento crescerà sui resti
delle armi distrutte
e nessuno verserà
il sangue del fratello.
Il mondo sarà allora delle fonti
e delle spighe che imporranno il loro impero
d'abbondanza e freschezza senza frontiere.

pace

inviato da Mariella Romanazzi, inserito il 28/08/2002

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