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PREGHIERA

1. Pasqua: burrasche e pace

Giuseppe Impastato S.I.

Lo abbiamo lasciato solo, ad un tiro di sasso,
incapaci, pronti a difendere con pagane spade.
E lui a rifuggire il calice amaro, risultato
di interessi, rifiuti, incomprensioni, cecità,
e poi invidie, gelosie, tradimenti, adultèri...

Visti i ceppi, siamo fuggiti al cenacolo, agitati,
cercando sicurezze e conforto nel riassaporare
la sua presenza: confidenze, attenzioni, canti,
testamenti, preghiere, richiami, e piedi lavati...
Ci siamo scoperti fragili, senza di lui.
Alla gola un nodo, perché smarriti, inadatti,
chiusi in noi, senza ideali e senza futuro.

La tomba vuota ci ha lasciati frastornati
e dubbiosi, senza più riferimenti.
Ci hanno scossi le donne. Ignorata la mirra,
messi da parte i profumi. Non erano tristi:
credere o considerarle illuse e visionarie?

Poi sei venuto tu, Gesù, vivo, gioioso, luminoso,
fiducioso in noi e nella bellezza del vangelo.

Non del tutto convinti, siamo tornati a pescare.
Ma ora che occhi e mani hanno visto e palpato,
ora che nei cuori si è riversata consolazione,
ora che ci ha invasi la gioia, scacciando tristezze,
porteremo a chi attende il lietissimo annunzio.

Il futuro del mondo e il nostro è risurrezione.

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 08/05/2017

TESTO

2. Irrompe la Pasqua!   2

Tonino Bello

Coraggio! Irrompe la Pasqua!
È il giorno dei macigni
che rotolano via dall'imboccatura dei sepolcri.
È il tripudio di una notizia
che si temeva non potesse giungere più
e che corre di bocca in bocca
ricreando rapporti nuovi tra vecchi amici.
È la gioia delle apparizioni del Risorto
che scatena abbracci nel cenacolo.
È la festa degli ex-delusi della vita,
nel cui cuore all'improvviso dilaga la speranza.
Che sia anche la festa in cui
il traboccamento della comunione
venga a lambire le sponde
della nostra isola solitaria.

pasquaresurrezionegioiasperanza

4.0/5 (4 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 22/04/2011

TESTO

3. Uno per uno fa sempre uno. Verso la Pasqua, casa della Trinità   1

Tonino Bello, Omelie e scritti quaresimali, vol.II, Ediz. Archivio Diocesano Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi e Luce e vita, Molfetta, 1994, pagg.336-338

Carissimi fratelli,

l'espressione me l'ha suggerita don Vincenzo, un prete mio amico che lavora tra gli zingari, e mi è parsa tutt'altro che banale.

Venne a trovarmi una sera nel mio studio e mi chiese che cosa stessi scrivendo. Gli dissi che ero in difficoltà perché volevo spiegare alla gente (ma in modo semplice, così che tutti capissero) un particolare del mistero della Santissima Trinità: e cioè che le tre Persone divine sono, come dicono i teologi con una frase difficile, tre relazioni sussistenti.

Don Vincenzo sorrise, come per compatire la mia pretesa e comunque, per dirmi che mi cacciavo in una foresta inestricabile di problemi teologici. Io, però, aggiunsi che mi sembrava molto importante far capire queste cose ai poveri, perché, se il Signore ci insegnato che, stringi stringi, il nucleo di ogni Persona divina consiste in una relazione, qualcosa ci deve essere sotto.

E questo qualcosa è che anche ognuno di noi, in quanto persona, stringi stringi, deve essere essenzialmente una relazione. Un io che si rapporta con un tu. Un incontro con l'altro. Al punto che, se dovesse venir meno questa apertura verso l'altro, non ci sarebbe neppure la persona. Un volto, cioè, che non sia rivolto verso qualcuno non è disegnabile...

Colsi l'occasione per leggere al mio amico la paginetta che avevo scritto. Quando terminai, mi disse che con tutte quelle parole, la gente forse non avrebbe capito nulla. Poi aggiunse: "Io ai miei zingari sai come spiego il mistero di un solo Dio in tre Persone? Non parlo di uno più uno più uno: perché così fanno tre. Parlo di uno per uno per uno: e così fa sempre uno. In Dio, cioè, non c'è una Persona che si aggiunge all'altra e poi all'altra ancora. In Dio ogni Persona vive per l'altra.

E sai come concludo? Dicendo che questo è uno specie di marchio di famiglia. Una forma di ‘carattere ereditario' così dominante in ‘casa Trinità' che, anche quando è sceso sulla terra, il Figlio si è manifestato come l'uomo per gli altri".

Quando don Vincenzo ebbe finito di parlare, di fronte a così disarmante semplicità, ho lacerato i miei appunti.

Peccato: perché, tra l'altro, avevo scritto delle cose interessanti. Per esempio: che l'uomo è icona della Trinità ("facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza") e che pertanto, per quel che riguarda l'amore, è chiamato a riprodurre la sorgività pura del Padre, l'accoglienza radicale del Figlio, la libertà diffusiva dello Spirito.

Ero ricorso anche a ingegnose immagini, come quella del pozzo di campagna la cui acqua sorgiva viene accolta in una grande vasca di pietra e di qui, in mille rigagnoli, va a irrigare le zolle.

Ma forse don Vincenzo aveva ragione: avrei dovuto spiegare molte cose. Sicché ho preferito trattenere questa sola idea: che, come le tre Persone divine, anche ogni persona umana è un essere per, un rapporto o, se è più chiaro, una realtà dialogica. Più che interessante, cioè, deve essere inter-essente.

* * *

Cari fratelli, lo so che la Trinità è molto più che una formula esemplare per noi, e che non è lecito comprimerne la ricchezza alla semplice funzione di analogia. Ma se oggi c'è un insegnamento che dobbiamo apprendere con urgenza da questo mistero, è proprio quello della revisione dei nostri rapporti interpersonali.

Altro che "relazioni". L'acidità ci inquina. Stiamo diventando corazze. Più che luoghi d'incontro, siamo spesso piccoli centri di scomunica reciproca. Tendiamo a chiuderci. La trincea ci affascina più del crocicchio. L'isola sperduta, più dell'arcipelago. Il ripiegamento nel guscio, più della esposizione al sole della comunione e al vento della solidarietà. Sperimentiamo la persona più come solitario auto-possesso, che come momento di apertura al prossimo. E l'altro, lo vediamo più come limite del nostro essere, che come soglia dove cominciamo a esistere veramente.

Coraggio.

Irrompe la Pasqua!

E' il giorno dei macigni che rotolano via dall'imboccatura dei sepolcri. E' l'intreccio di annunci di liberazione, portati da donne ansimanti dopo lunghe corse sull'erba. E' l'incontro di compagni trafelati sulla strada polverosa. E' il tripudio di una notizia che si temeva non potesse giungere più e che corre di bocca in bocca ricreando rapporti nuovi tra vecchi amici. E' la gioia delle apparizioni del Risorto che scatena abbracci nel cenacolo. E' la festa degli ex-delusi della vita, nel cui cuore all'improvviso dilaga la speranza.

Che sia anche la festa in cui il traboccamento della comunione venga a lambire le sponde della nostra isola solitaria.

Vostro

+ don Tonino, Vescovo

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 18/07/2009

TESTO

4. Il Calvario tre giorni dopo   1

Tonino Bello

I Vangeli ci raccontano numerose apparizioni del Risorto avvenute nel giorno di Pasqua. Se è lecito esprimere delle preferenze, quella che mi commuove di più è l'apparizione a Maria di Magdala, piangente accanto al sepolcro vuoto.

Le si avvicina Gesù e le dice: "Perché piangi?". Donna, le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che tu non pianga per gioia o per amore. Vedi: la collina del Calvario, che l'altro ieri sera era solo un teschio coperto di fango, oggi si è improvvisamente allagata di un mare d'erba. I sassi si sono coperti di velluto. Le chiazze di sangue sono tutte fiorite di anemoni e asfodeli. Il cielo, che venerdì era uno straccio pauroso, oggi è limpido come un sogno di libertà. Siamo appena al terzo giorno, ma sono bastate queste poche ore perché il mondo facesse un balzo di millenni. No, non misurare sui calendari dell'uomo la distanza che separa quest'alba luminosa dal tramonto livido dell'ultimo venerdì. Non è trascorso del tempo: è passata un'eternità. Donna, tu non lo sai: ma oggi è cominciata la nuova creazione.

Cari amici, nel giorno solennissimo di Pasqua anch'io debbo rivolgere a ciascuno di voi la stessa domanda di Gesù: "Perché piangi?". Le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che non siano l'ultimo rigagnolo di un pianto antico. O l'ultimo fiotto di una vecchia riserva di dolore da cui ancora la tua anima non è riuscita a liberarsi. Lo so che hai buon gioco a dirmi che sto vaneggiando. Lo so che hai mille ragioni per tacciarmi di follia. Lo so che non ti mancano gli argomenti per puntellare la tua disperazione. Lo so.

Forse rischio di restare in silenzio anch'io, se tu mi parli a lungo dei dolori dell'umanità: della fame, delle torture, della droga, della violenza. Forse non avrò nulla da replicarti se attaccherai il discorso sulla guerra nucleare, sulla corsa alle armi o, per non andare troppo lontano, sul mega poligono di tiro che piazzeranno sulle nostre terre, attentando alla nostra sicurezza, sovvertendo la nostra economia e infischiandosene di tutte le nostre marce della pace.

Forse rimarrò suggestionato anch'io dal fascino sottile del pessimismo, se tu mi racconterai della prostituzione pubblica sulla statale, del dilagare dei furti nelle nostre case, della recrudescienza di barbarie tra i minori della nostra città.

Forse mi arrenderò anch'io alle lusinghe dello scetticismo, se mi attarderò ad ascoltarti sulle manovre dei potenti, sul pianto dei poveri, sulla miseria degli sfrattati, sulle umiliazioni di tanta gente senza lavoro.

Forse vedrai vacillare anche la mia speranza se continuerai a parlarmi di Teresa che, a trentacinque anni, sta morendo di cancro. O di Corrado che, a dieci, è stato inutilmente operato al cervello. O di Lucia che, dopo Pasqua, farà la Prima Comunione in casa perché in chiesa, con gli altri compagni, non potrà andarci più. O di Nicola e Annalisa che, dopo tre anni di matrimonio e dopo aver messo al mondo una creatura, se ne sono andati ognuno per la sua strada, perché non hanno più nulla da dirsi.

Queste cose le so: ma io voglio giocarmi, fino all'ultima, tutte le carte dell'incredibile e dire ugualmente che il nostro pianto non ha più ragione di esistere.

La Resurrezione di Gesù ne ha disseccate le sorgenti. E tutte le lacrime che si trovano in circolazione sono come gli ultimi scoli delle tubature dopo che hanno chiuso l'acquedotto.

Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del "terzo giorno". Da quel versante, il luogo del cranio ci apparirà come il Tabor. Le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del Cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell'agonia, ma i travagli del parto.

E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d'ora le luci di un mondo nuovo!
Buona Pasqua!

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5.0/5 (2 voti)

inviato da Marcello Rosa, inserito il 04/03/2008