Gesù ci guarisce dai nostri mali e ci solleva dalle nostre sofferenze

padre Antonio Rungi

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (2 luglio 2006)

La parola di Dio di questa XIII Domenica del Tempo ordinario ci offre l'occasione di riflettere e meditare su alcuni aspetti importanti della nostra vita umana, personale, sociale e spirituale. I tre testi biblici fondamentali, infatti, ci impegnano su una riflessione non solo di carattere prettamente religioso, ma anche su quella specificamente umana e relazionale.

Nel Vangelo ci viene presentata la sofferenza di due persone che vengono da Gesù salvate, rispettivamente, dalla morte e da un male incurabile e parimenti ci viene presentata la sofferenza di quanti, per dovere o necessità di cose, per il ruolo che hanno e la responsabilità diretta sulle persone, si devono interessare di loro. Sono chiamate in causa, infatti, nel Vangelo di oggi, Giairo, uno dei capi della Sinagoga che si trova a fronteggiare una sofferenza grandissima come quella della perdita della sua figliola. Risurrezione della figlia di Giairo e guarigione dell'emorroissa sono due interventi straordinari, ovvero miracoli che Gesù compie in ragione di due fondamentali atteggiamenti che egli nota nelle persone che si rivolgono a Lui: riconoscerLo per quello che effettivamente è; individuare la fede sincera di chi si rivolge a Lui. E' il caso del capo della Sinagoga è altrettanto il caso della donna affetta da persistente emorragia che nessun medico e nessuna cura aveva potuto bloccare. A voler interpretare e contestualizzare l'insegnamento del Vangelo c'è da sottolineare due aspetti morali molto importanti ai fini di una personale revisione della propria vita di fronte a Colui che è giudice, ma soprattutto è Padre ed è Soccorso dei deboli, quel Dio che in Gesù Cristo ha ridato all'uomo la speranza nell'immortalità e il conforto nelle necessità. Questi atteggiamenti sono la fiducia e la speranza in Dio, che è davvero il nostro liberatore dalla morte e dalla sofferenza.

Già la prima lettura odierna, tratta dal Libro della Sapienza, ci apre a tale orizzonte e prospettiva di vita: "Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c'è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale. Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono".

Dio ci viene presentato come Colui che ama la vita e che ha distrutto la morte, almeno quella interiore, quella che allontana l'uomo da Dio mediante il peccato, in attesa di debellare definitivamente l'ultimo nemico che è la stessa morte corporale, di cui un anticipo ci viene dato da Gesù stesso nel Vangelo di oggi, con la risurrezione della figlioletta di Giairo, come viene descritto dal Vangelo di Marco: "In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: "La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva". Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno... Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: "Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?". Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: "Non temere, continua solo ad aver fede!". E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: "Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme". Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: "Talità kum", che significa: "Fanciulla, io ti dico, alzati!". Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare". E' significativo in questa circostanza come Gesù abbia tenerezza nei confronti di una bambina e del suo genitore che chiede l'intervento suo perché la sua piccola non muoia. Gesù interviene e dimostra una grande sensibilità verso chi soffre, soprattutto se la sofferenza è autentica e sincera, avvertita nel profondo del cuore, come nel caso del capo della Sinagoga.

Come pure è interessante notare il comportamento di Gesù nei confronti della emorroissa, di cui ci parla il Vangelo di oggi, altro caso umano messo sotto la lente della nostra valutazione di cristiani: "Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita". E all'istante le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: "Chi mi ha toccato il mantello?". I discepoli gli dissero: "Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?". Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: "Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male". La potenza di Dio che esce da Gesù in questo caso è tale che insieme ad essa si sprigiona una forza di amore più grande dello stesso miracolo compiuto: è la forza di un Dio che dona pace e dà serenità. La donna guarita perché credente in Gesù Cristo non solo è felice perché liberata dal peso della sofferenza fisica, ma perché mediante quella fede ella ha compreso perfettamente che la stessa sofferenza passa in secondo piano quando si ha la certezza che Dio è comunque vicino a noi nella prova e se ci rivolgiamo a Lui non ci volta sicuramente le spalle, qualcosa comunque fa per noi, anche se noi non sappiamo discernerlo, perché ci manca una fede certa.

In questo contesto diventa particolarmente illuminante il testo della seconda lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi che oggi ascoltiamo: "Fratelli, come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest'opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: "Colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno".

E' un appello esplicito alla solidarietà cristiana, che proprio perché cristiana trova la sua fonte ed origine nel modello del Cristo che da ricco che era si fece povero per arricchire noi. Il modello di una solidarietà vera è Gesù. Questa scuola di vita dobbiamo frequentare per essere giusti e generosi con gli altri, senza, tuttavia, privare noi di ciò che è essenziale alla nostra esistenza terrena. Quante povertà spirituali, morali e materiali ci interpellano quotidianamente e chi tra di noi possiede beni in spirito, intelligenza e materia non può voltare lo sguardo altrove per non vedere e soprattutto per non dare. E' necessario lasciarsi interrogare e sfidare dalle tante povertà e con il miracolo della carità rispondere ad esse secondo le possibilità e le ricchezze di ciascuno, perché nessuno a talmente povero da non poter dare nulla all'altro o talmente ricco da non aver bisogno degli altri. Tutti siamo soggetti agli altri, siamo interdipendenti, soprattutto oggi in un mondo globalizzato ed in una società che non può escludere dalla mensa dei beni e degli strumenti posseduti nessun essere del mondo, senza registrarne delle conseguenze negative anche sulla sua stessa vita, forti del monito che "colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno".

Gesù, maestro di generosità e sensibilità, ci insegni ogni giorno a privarci di ciò che è superfluo e non essenziale alla nostra vita, per darci un cuore grande come il suo che non seppe mai rifiutare un aiuto a chi glielo chiedeva esplicitamente, a chi glielo faceva intuire con i propri atteggiamenti, a chi si lasciava penetrare nel cuore dal suo sguardo d'amore e di condivisione.

Il vero miracolo che oggi è posto alla nostra meditazione non è il duplice intervento di Gesù in favore delle persone sofferenti, ma nei confronti dell'intera umanità che necessita della sua presenza e della sua assistenza per superare le difficoltà e vincere la morte, non solo spirituale, ma anche quella corporale.