Andare oltre

diac. Vito Calella

V Domenica di Quaresima (Anno A) (29 marzo 2020)

In questi giorni la morte ci è sbattuta in faccia dai bollettini che aggiornano ogni giorno la diffusione del covid-19.

Quella fila di camion militari a trasportare i feretri fuori della città di Bergamo diventa simbolo di un “mondo di lacrime” simile alla casa di Marta e Maria, piena di molti giudei, tutti in stato di lutto, per la morte e la sepoltura di Lazzaro.

Il delirio di onnipotenza dell'umanità, che ha creato un sistema globalizzato di economia capace di movimentare quotidianamente miliardi di dollari da un continente all'altro e di trasformare a ritmi accelerati la materia del creato, con effetti devastanti in tutti gli ecosistemi, questo delirio di onnipotenza è smascherato nella sua vulnerabilità da un microscopico e malefico virus. La paura della morte, che cova nel cuore di ognuno di noi, è diventata collettiva ed amplificata dal clima di questo nuovo tipo di guerra globalizzata, detta da alcuni:“batteriologica”.

La scena del Vangelo di Giovanni ci mostra Gesù, accompagnato dai dodici, che piange la morte dell'amico Lazzaro, lasciando scorrere copiosamente le lacrime dal suo viso, profondamente mosso da compassione.

Stranamente però, rimane fuori del villaggio di Betania, non entra nella casa familiare e amica di Marta e Maria, non si mescola tra i giudei conoscenti, accorsi per il funerale e per le condoglianze, ancora presenti numerosi anche dopo quattro giorni dalla deposizione del cadavere nel sepolcro.

C'è un distacco di Gesù da questo “mondo di lacrime e di dolore”, c'è una separazione che non significa indifferenza.

È invece un forte appello alla coscienza di ciascuno di noi ad alzare il nostro sguardo dalla terra della nostra vulnerabilità e fragilità, dal mondo delle nostre lacrime per il lutto di una perdita grave, per il lutto di una separazione fisica.

“Andiamo oltre il villaggio!”, “andiamo oltre il mondo della sola umanità” fatta di relazioni, di affetti, dove il dolore è più acuto e incontenibile quando siamo costretti a sentire la mancanza di quelle relazioni di vera comunione, di vera amicizia, di vera storia d'amore umano, o a causa dell'isolamento provocato da una pandemia, o a causa della stessa inesorabile morte della persona cara.

“Andiamo oltre” per incontrare con gli occhi risanati della nostra fede, seppur gonfi di lacrime, Gesù nostro amico, il quale sta in attesa, “fuori del villaggio”. Di fronte al lutto radicale dell'isolamento, o della morte di un membro della nostra famiglia, stranamente Gesù non prende l'iniziativa per venire incontro a noi, ma rimane ad aspettare “fuori del villaggio”, fuori della nostra casa, seppure a lui familiare.

Marta dovette correre fuori della casa, fuori del villaggio, andare incontro a Gesù e sfogare tutto il suo dolore, compreso il suo non comprendere il ritardo dell'amico che avrebbe potuto fare il miracolo della guarigione.

Maria dovette fare la stessa cosa, “andare oltre” quel mondo di lacrime che era la sua casa piena di giudei in stato di lutto.

Mentre Marta rimase in piedi, rinfacciando a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!», Maria «si gettò ai piedi di Gesù» dicendo le stesse parole della sorella.

Il suo, rispetto a Marta, era però un atteggiamento di “resa”, era la consegna del suo dolore e della sua impotenza. C'era un sepolcro, vi era dentro un morto, c'era la pesante pietra della separazione del mondo dei vivi dal mondo dei morti.

Le lacrime di Maria bagnavano i piedi Gesù, trasmettevano a Gesù tutto i peso della morte.

Nelle lacrime di Maria prostrata col suo volto e con i suoi capelli, ai piedi di Gesù, contempliamo Gesù che accoglie il dolore del mondo, non solo il sepolcro del lutto per la perdita di una persona cara, ma anche il sepolcro del dolore di un popolo, pensando all'ascolto del profeta Ezechiele, che paragona il popolo esiliato a Babilonia al morto steso nella tomba.

Nelle lacrime versate da Maria ai suoi piedi contempliamo Gesù che accoglie anche il sepolcro di ogni separazione e divisione provocata dall'esperienza del nostro e altrui peccato, custodendo l'ascolto delle parole dell'apostolo Paolo: «il vostro corpo è morto a causa del peccato» (Rm 8,10).

La “resa” di Maria era una consegna dove le sue lacrime “ungono” i piedi di Gesù, non c'è ancora il preziosissimo unguento di nardo della riconoscenza, che lei stessa userà dopo la rianimazione del fratello Lazzaro. L'evangelista Giovanni anticipa il ricordo di quel gesto (Gv 11,2), prima di raccontarlo (Gv 12,1-8).

Stando in Maria prostrata in lacrime ai piedi di Gesù, stiamo andando oltre il nostro mondo di lacrime.

Ora siamo cuore a cuore con Gesù, sentiamo che i suoi piedi stanno accogliendo tutto il nostro dolore, tutte le nostre fatiche, tutti i nostri dubbi, tutte le nostre fragilità, tutti i nostri peccati.

Cosa avrà provato Gesù in quel momento?

Quei suoi piedi bagnati dalle lacrime di Maria rappresentano tutto il mistero della sua incarnazione, la sua venuta in mezzo a noi, il suo “con-tatto” esistenziale con tutto il dramma della nostra umanità.

Gesù era cosciente che quel suo ritorno in Giudea, così vicino a Gerusalemme, significava l'avvicinarsi della sua stessa morte, come gli avevano giustamente ricordato i dodici. Le lacrime di Maria che bagnano i piedi di Gesù si associano al piano corale dei giudei. Quel mare di lacrime ora avvolge tutto il corpo di Gesù, è il dramma dell'umanità ferita dalla morte del peccato del mondo che Gesù accoglierà nell'affrontare la sua passione, la sua morte, la sua deposizione nel sepolcro, tutto imminente. Certo: il pianto di Gesù era una manifestazione umana di affetto verso l'amico Lazzaro, già morto. «Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: “Guarda come lo amava!”» (Gv 11,35-36).

Ma per noi “il pianto di Gesù” è molto di più che una manifestazione sincera di affetto.

Gesù piangente di fronte al sepolcro di Lazzaro vedeva se stesso. Nell'amico Lazzaro chiuso nel sepolcro vedeva se stesso. Vedeva la radicale prova che doveva affrontare per la nostra salvezza: l'essere tentato, fino all'ultimo respiro, cioè lo sperimentare esistenzialemente che era infranta la sua comunione con il Padre, una volta inchiodato sulla croce. La tentazione di vivere la rottura di quella comunione eterna che lo rendeva «uno» con il Padre nell'eternità, la tentazione di vivere la rottura di quella comunione che lo rendeva «uno» con il Padre durante la sua missione in questo mondo, grazie alla sua scelta fondamentale dell'obbedienza alla volontà del Padre, sostenuto dalla forza unitiva dello Spirito Santo.

Il pianto di Gesù davanti alla tomba di Lazzaro era tutto il dramma della tentazione: o decretare il «Mio Dio, mio Dio, Padre mio, tu mi hai abbandonato!», oppure confidare dicendo: «Mio Dio, mio Dio, Padre mio, nelle tue mani consegno il mio Spirito! Tu sei con me anche nell'ora della morte e del sepolcro».

Ecco allora che la preghiera di Gesù al Padre, fatta prima del suo grido: «Lazzaro, vieni fuori!», è la conferma della sua fiducia incondizionata nel Padre che non lo avrebbe abbandonato nemmeno quando lui stesso, come Lazzaro, sarebbe stato deposto nel sepolcro, con quel suo corpo martoriato e segnato dalla traforazione dei chiodi della croce.

Nel grido «Lazzaro, vieni fuori!» possiamo contemplare la fiducia di Gesù nel sentirsi dire dal Padre:

«Gesù, vieni fuori!».

C'è tutta la fiducia di Gesù nella forza vitalizzante dello Spirito Santo, cioè dell'Amore gratuito che eternamente e costantemente lo univa al Padre. Gesù lo sapeva quanto potente fosse l'Amore della sua comunione con il Padre.

La rianimazione dell'amico Lazzaro doveva certamente avvenire come un segno della potenza dello Spirito Santo, che lo avrebbe reso «Via, verità e vita» per sempre e avrebbe donato per sempre, fino alla fine dei tempi, a tutti noi lo stesso Spirito: «il suo Spirito che abita in noi» (Rm 8,11b).

Oggi, in Lazzaro rianimato, vediamo un segno simbolico ben più profondo: rappresenta la vita eterna del Figlio di Dio e l'ospitalità in Dio Padre unito al Figlio di tutta la nostra umanità, nella corporeità vivente risuscitata per sempre di Gesù crocifisso, grazie al dono dello Spirito Santo.

In Lazzaro rianimato vediamo ciascuno di noi, rianimato ogni giorno dal dono dello Spirito di Dio Padre, Spirito del Cristo risuscitato, che già abita in noi e ci invita a uscire dai sepolcri delle nostre separazioni, divisioni, per credere che, chi si prostra dinanzi a Gesù come Maria e chi crede in Gesù come Marta, sa che nulla è perduto, tutto è destinato alla nostra appartenenza a Cristo, per essere tutti figli del Padre, nella comunione dello Spirito Santo.