Umili e generosi non solo a tavola

mons. Roberto Brunelli

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (1 settembre 2019)

In tutte le civiltà, il sedersi a tavola con altri assume un significato che travalica il semplice nutrirsi: il banchetto è quasi una metafora della vita, uno specchio dei comportamenti umani e delle loro conseguenze. La Bibbia ne parla spesso, e anche Gesù, che non disdegnava di mettersi a tavola con amici e nemici, se ne avvale per trasmettere i suoi insegnamenti. Lo fa mediante le parabole (una per tutte: quella del ricco che banchetta lautamente, incurante del povero alla sua porta), lo fa prospettando il futuro (l'abbiamo sentito domenica scorsa: tutti i popoli siederanno a mensa con Abramo Isacco e Giacobbe); lo fa lasciando i frutti del suo operato sotto forma di cibo, di cui nutrirci in quel banchetto che è la Messa; lo fa, come nel brano odierno (Luca 14,1-14), rilevando i comportamenti di chi invita e di chi è invitato.


 Anche oggi, nelle occasioni ufficiali, i posti a tavola più vicini al personaggio principale sono riservati agli ospiti di riguardo. Invitato a pranzo da un personaggio di spicco (uno dei capi dei farisei, si precisa), Gesù nota che gli altri intervenuti cercano di darsi lustro occupando i primi posti, cioè i più vicini al padrone di casa. Davanti a quello spettacolo di arrivismo egli, con una punta di ironia, osserva: "Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto. Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: Amico, vieni più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato".


 Dal banchetto, a tutti gli altri momenti della vita. Quanti, così spesso restii a riconoscere le capacità e i meriti degli altri, si affannano ad affermare sé stessi, la propria importanza, la propria superiorità. Sono i professionisti del “Lei non sa chi sono io”; sono quelli che pretendono il riconoscimento dei propri spesso solo presunti meriti, magari con l'accesso a posti di prestigio, o col vedere prevalere la propria opinione. Ma, a parte le immancabili delusioni, ci si dimentica che non è il posto che fa l'uomo, e la vera grandezza non è mai disgiunta dall'umiltà.


Ancora sul banchetto, il brano odierno prosegue con un altro richiamo. "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch'essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti". Ovviamente, il richiamo riguarda ogni espressione della vita: dunque, la generosità non deve avere secondi fini; non bisogna dare per calcolo, pensando ai vantaggi che se ne potranno avere. E non tanto per evitare delusioni, o per coltivare l'intimo compiacimento di sentirsi superiori, ma con sincerità di cuore, considerando che quello di cui possiamo disporre (beni materiali, e i sempre possibili beni non materiali, quali l'intelligenza, il tempo, la cultura) ci è dato non per nostro uso esclusivo ma come un patrimonio da amministrare per il bene comune.


Umiltà e generosità contraddistinguono un vero uomo, e a maggior ragione un cristiano: a maggior ragione, per due motivi. Primo, perché così ha fatto Gesù, il quale si è umiliato nascondendo la sua divinità sotto le misere spoglie umane, ed è stato generoso tanto da dare per noi la sua stessa vita. Secondo, perché il cristiano si fida delle sue promesse, in particolare quelle comprese nel vangelo di oggi: "Chi si umilia sarà esaltato" e "Riceverai la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti", cioè nella vita eterna.