Quella porta stretta che ci butta nel cuore di Dio

don Mario Simula

VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24 febbraio 2019)

Il perdono rivela la misura colma di un cuore che sa fare spazio dentro di se, perché ognuno “vi trovi casa”.

Ognuno. Anche il nemico. Anche chi ci fa del male. Anche chi ci mette in cattiva luce. Anche chi non è leale con noi.

La casa è simbolo di riposo e di pace. Rappresenta un luogo condiviso e il tempo reciprocamente donato e che appartiene alle persone capaci di dire: “scusa”.

Sono persone che amano vivere nella leggerezza interiore. Nella delicata circolazione di sentimenti umili, ma non deboli. Miti, ma non rinunciatari. Misericordiosi, ma non viziati dal buonismo.

Sconcerta sempre l'animo nobile di Davide che ha davanti a se quel re sempre servito con fedeltà, ma allo stesso tempo corroso dalla gelosia e dalla paura. Saul che lo cerca per ucciderlo: si tratta di un nemico pericoloso.

Il giovane fresco e gentile, ma anche coraggioso e intrepido, dai cappelli fulvi e dal tratto delicato, potrebbe conficarlo alla terra, con un colpo di lancia ben assestato.

Il pensiero che un tale gesto offenderebbe Dio, ferma la mano di Davide. La misericordia prende il sopravvento. Davide sa bene che la vendetta è la massima debolezza.

Mi fermo per un momento a riflettere. Quanti omicidi consumo dentro il mio cuore!

Me ne accorgo dalle mie parole, dalle reazioni, dagli stati d'animo, dagli umori che si alternano in me contradditori.

Ogni delitto si consuma sempre prima nel cuore. Poi diventa gesto omicida.

Ogni giorno viviamo un faccia a faccia col dilemma del perdono.

Dio è il perdono, quel passaggio leggero ed efficace del suo amore nella nostra vita conflittuale e sempre in lotta.

Il perdono di Dio è un cuore che risuona misteriosamente sollecitato dalla nostra vita di peccato e un cuore che conosce viscere di misericordia.

Noi ci presentiamo a lui feriti, sanguinanti e poveri. Dio ci accoglie con la carezza della sua mano e inizia a disegnare, anche nel nostro cuore, la mappa della misericordia.

La sua opera di cesellatura in me è risanante, ma anche ferma, efficace, rinnovatrice.

Sono io che recalcitro perché conosco le naturali conseguenze del perdono ricevuto da lui.

Io sono perdonato, perché riesca a perdonare.

Io sono amato, perché il mio amore si diffonda.

Io sono rigenerato, perché diventi portatore di vita. E' davanti a queste certezze che scaturisce la mia crisi, la mia ribellione.

“Tu, Signore puoi perdonare! Non chiederlo a me. Sarebbe la richiesta dell'assurdo per me”.
Propongo a Dio i miei passi. Sono ancora incerti, ma sono i miei passi, quelli che piacciono a me.

Perdono, ma voglio ricordare.

Perdono, ma rimango consapevole e rabbuiato per il torto ricevuto.

Perdono, ma mi riservo di dire al momento giusto, tutta la verità.

Dove ho relegato il Signore buono e grande nell'amore?

Dove ho rinchiuso a doppio mandato il vangelo di Gesù che supera ogni mia concezione gretta e meschina dell'amore e del perdono?

Forse inizio a comprendere. Devo fare passi graduali pregare per chi ancora non riesco a perdonare, chiedere il cuore di Gesù perché i miei passi non siano troppo lenti. Andare oltre il rancore.

Darmi tutto il tempo necessario per non inventarmi un perdono a poco prezzo e lungo questo sentiero accettare cadute, scoriature, ferite, fragilità. Ma arrivare ogni sera davanti al crocifisso e con lui dire: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Il mio cuore ribolle. Non esiste tuttavia altra strada.

Gesù, tu senti tutta la ribellione del mio cuore. Sai come vorrei, più di una volta, vendicarmi, farla pagare, creare problemi, o rispondere almeno con tutti i miei rifiuti verso chi mi pare indegno.

Gesù, mi vergogno. Chi sono io a giudicare l'ingiudicabile? Chi sono io a farmi arbitro del cuore degli altri? E anche se dovessi aver ragione, chi sono io a farmi giustizia da solo?

Gesù, mite e umile, rimpasta il mio cuore.

Gesù, misericordioso e dolce, dona tenerezza al mio cuore.

Gesù, che con uno sguardo cambi il cuore di Pietro, donami gli atteggiamenti dell'accoglienza.

Gesù, che hai detto: “Donna nemmeno io ti condanno!”, dammi occhi che leggano nelle profondità di chi mi sta accanto. Tu, Signore sai quale guerra c'è in me ogni volta che ti ricevo nell'Eucarestia.
Il mio cuore mi dice: “Come osi? Come mangi il sacramento della misericordia e del perdono? Perché non attendi il tempo della conversione piena?”.

Tu invece mi dici: “Prendi, figlio mio, e mangia. Lasciati guarire da questo cibo che purifica. Nutriti di questo cibo che ricompone i linguaggi e i gesti dell'amore. Non avere paura di mangiare il mio corpo e di bere il mio sangue. Io sono Vita per la tua debolezza. Io sono Ebbrezza per il tuo scoraggiamento. Mangia. Riprendi a camminare. Ti aspetta un lungo viaggio, fino ad arrivare al monte delle beatitudini e dell'amore condiviso”.

Gesù, mi fido di te. Credo nella tua parola. Credo nel tuo sguardo che mi avvolge di luce. Credo nel tuo braccio che mi consola e mi da gusto nuovo per amare e per vivere.

Gesù, sei esigente nel chiedermi di frequentare la tua scuola per apprendere il perdono. Mi vedi?
Sono in fondo, nell'ultimo banco, rannicchiato, sembro assente. Eppure non perdo una parola, un gesto che ti appartengano. Un giorno, forse, potrai dirmi: “Ecco, sai amare come io ti ho amato!”.