Non urlare, grida!

don Giacomo Falco Brini

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (28 ottobre 2018)

Con il vangelo di oggi si chiude il cap.10 di Marco. La scena che il primo versetto ci presenta vede da una parte Gesù con i suoi discepoli e molta folla al seguito; dall'altra, sul ciglio della strada, un uomo cieco che mendica di nome Bartimeo (Mc 10,46). Curiosa questa introduzione. Si avverte subito una sensazione di grande solitudine da una parte, di grande vitalità e comunione dall'altra. Ma, come sempre, il vangelo ti aspetta all'angolo per ribaltare subito le tue impressioni, per capovolgere le tue certezze, per toglierti di testa quelle ovvietà non sintonizzate con il mondo della fede. Qualcuno avverte il passaggio dell'uomo di Nazareth. Allora quel cieco comincia a gridare: Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! (Mc 10,47). In tutto il vangelo di Marco quest'uomo sembra sia l'unico a chiamare per nome il Signore. Da dove gli viene tutta questa confidenza? Aveva già udito parlare il Maestro da qualche parte? Lo aveva conosciuto personalmente? E' un grido disperato o pieno di speranza?

Molti lo rimproveravano perché tacesse (Mc 10,48a): ci sono sempre stati e sempre ci saranno i “tutor” di Cristo, generalmente fratelli molto convinti di come si debba proteggere Gesù e la sua chiesa, per lo più impegnati a fare sempre da pompieri di ogni fenomeno che non rientri dentro schemi religiosi tradizionali, oppure di ciò che procura più di qualche grattacapo dal punto di vista dottrinale o pastorale. Il rimprovero è un mezzo a cui ricorrono spesso, dato il posto di rilievo che occupano in seno ai credenti più attendibili. Andate a vedere nella blogosfera quanti illustri cattolici tuonano contro Francesco e contro chi crede al Signore che ha messo Francesco dove oggi si trova. In quei molti forse c'erano persino gli apostoli: probabilmente quel grido turbava il dibattito così importante che si stava svolgendo per strada tra loro, quello che doveva stabilire chi fosse il più grande! E invece no, il cieco non se ne sta zitto: come è possibile? Come mai Bartimeo non sono riusciti a intimidirti? Come mai quei rimproveri fecero alzare ancor di più la tua voce? Ma egli gridava più forte (Mc 10,48b).

Penso che tutti conosciamo la celebre opera di E.Munch “L'urlo”. Una volta mi son messo ad approfondire l'eziologia del dipinto. Non sapevo che lo stesso Munch avesse indicato in un suo diario la genesi della propria opera. Ascoltiamolo: “io avverto un profondo senso di malessere, che non saprei descrivere a parole, ma che invece so benissimo dipingere[...]Mi ricordo benissimo, era l'estate del 1893. Una serata piacevole, con il bel tempo, insieme a due amici all'ora del tramonto. Cosa mai avrebbe potuto succedere? Il sole stava calando sul fiordo, le nuvole erano color rosso sangue. Improvvisamente, ho sentito un urlo che attraversava tutta la natura. Un grido forte, terribile, acuto, che mi è entrato in testa, come una frustata. D'improvviso l'atmosfera serena si è fatta angosciante, simile a una stretta soffocante: tutti i colori del cielo mi sono sembrati stravolti, irreali, violentissimi. Anch'io mi sono messo a urlare, tappandomi le orecchie, e mi sono sentito un pupazzo, fatto solo di occhi e di bocca, senza corpo, senza peso, senza volontà, se non quella di urlare, urlare, urlare, ma nessuno mi stava ascoltando!...”

Tempo fa, mentre meditavo su questo vangelo, non potei fare a meno di ricordare questo spunto autobiografico di Munch. E alla fine mi sembrò di cogliere un'analogia con questo vangelo nel doloroso senso di solitudine che pervade entrambi; però in seguito, soprattutto qualcosa che distingueva profondamente i due personaggi. Perché se Munch rappresentò straordinariamente il suo sentirsi un pupazzo inanimato, il veder cadere nel vuoto le proprie urla inascoltate a motivo del sentirsi circondato solamente da una natura infida e incomunicante, Bartimeo invece, pur cieco e senza tapparsi le orecchie, anzi rendendole più attente, mi sembrava conoscere bene come esprimere e dove dirigere la sua sofferenza. In questo senso, egli è per noi tutti maestro di preghiera e di fede. Perché tutte le voci, per quanto numerose e aggressive, non potranno mai né prevalere né spegnere il grido che raggiunge il cuore stesso di Dio. Avrei voluto vedere le facce di coloro che lo rimproverarono nel vedere il Signore fermarsi e sentirsi dire da Lui: chiamatelo! (Mc 10,49) Forse un indicibile stupore li avvolse. Essi obbedirono. E Bartimeo, come se fosse per niente cieco, gettato via il mantello balzò in piedi e andò incontro a Gesù (Mc 10,50).

Il cieco chiamò per primo il Signore, ma una madre o un padre veri conoscono anche i più inesprimibili gemiti del proprio figlio e sanno sempre prevenire le sue richieste. Gesù qui rivela uno dei nomi di Dio. Egli è il Padre materno che dice all'uomo: che cosa vuoi che io faccia per te? (Mc 10,51a). Da notare che è la stessa domanda che il Signore ha rivolto a Giacomo e Giovanni domenica scorsa. Ma costoro, più ciechi di questo cieco, non sapevano cosa chiedere né sapevano ciò che stavano chiedendo. Nel brevissimo dialogo di oggi scopriamo l'identità di Dio ma anche del credente: questi è l'uomo che sa di essere cieco, sa dunque cosa chiedere, perché sa chi è Gesù e ha deciso di farne il Maestro della propria vita (Mc 10,51b). La fede è scoprire di essere chiamati/guardati dagli occhi di Gesù, il cui nome significa “Dio salva”. E' vedere ciò che mai si era visto, perché nascosto dalla menzogna delle origini: l'amore che Dio ha per me e la strada che mi conduce a Lui (Mc 10,52).