E grazia sarebbe assomigliargli...
don Angelo Casati
XI domenica dopo Pentecoste (Anno B) (5 agosto 2018)
Per un dovere di sincerità nei vostri confronti devo confessare che, anche questa domenica, mi sono trovato davanti a letture che mi creavano disagio. E non per la radicalità della Parola di Dio, che sento sempre come una benedizione - mi fa camminare - ma per la violenza che, a mio avviso, traspare qua e là dai testi. Credetemi, non ne sentivo il bisogno. Forse nemmeno voi. Respiriamo violenza e intolleranza tutti i giorni, vediamo occhi iniettati di disprezzo e di odio, sentiamo parole che vorrebbero incenerire l'altro.
Io posso ammirare - anzi sono pieno di ammirazione - per il profeta Elia, e per lo spirito che lungo la vita lo ha spinto e sorretto, posso anche sopportare la messinscena del giudizio attraverso il fuoco, ma non mi ritrovo - perdonate, è la mia misura - nelle parole con cui Elia sbeffeggia, schernisce, irride gli oppositori, i profeti del Dio Baal: "...il vostro Dio è occupato in affari o è in viaggio, forse dorme...". Non sta qui la novità che noi andiamo cercando nella Parola di Dio. E non lo è nemmeno, a mio avviso, nelle ultime parole del nostro brano: "Afferrate i profeti di Baal, non ne scappi neppure uno". Chi ha scelto per la liturgia il nostro brano, per pudore, penso, si è fermato qui, tagliando il versetto seguente: "Li afferrarono, Elia li fece scendere al torrente Kison, ove li ammazzò". Quattrocentocinquanta erano i profeti di Baal, quattrocento quelli di Asera.
Già la scorsa domenica vi parlavo di un affresco da scrostare. E io - perdonate, è una mia opinione - penso sia urgente che ogni fede, ogni religione, prenda la distanza da testi che, in modo più o meno esplicito, fanno spazio a racconti o visioni di violenza, di intolleranza. Non ne abbiamo bisogno, abbiamo bisogno di ben altro. E allora dove trovare luci buone e preziose nel nostro brano? Le trovo, per esempio, là dove ci viene detto che, a differenza degli idoli - che sono luccicanti, ma vuoti, sono solo apparenza, non rispondono alla vita, alle vere domande della vita, quella reale con la quale dobbiamo farei conti ogni giorno - a differenza degli idoli, Dio è un Dio che risponde. E risponde con il suo esserci, veglia.
Lui, il custode, non si addormenta. Vorrei ancora sottolineare, sempre nel nostro brano, un monito prezioso e quanto mai urgente, per tutti tempi, anche i nostri. Attuale: il popolo d'Israele - e non solo - è un popolo, che continuamente salta da una parte all'altra. La rovina non è il profeta che mette in guardia dagli idoli, ma questo "essere un giorno di qui e il giorno dopo di là". Ecco le parole del profeta, parole urticanti, parole per noi, parole per me: "Fino a quando salterete da una parte all'altra? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!". Il discrimine è la scelta di Dio, la sua Parola. Penso all'iscrizione che il card. Martini volle sulla sua tomba in duomo, parole di un salmo: "Lampada per i miei passi è la tua parola, Signore, luce sul mio cammino".
Lampada per le mie scelte, luce per i miei passi quotidiani. Voi mi capite, ho bisogno di pregare Dio perché io non salti un po' di qui e un po' di là. Quando esco con certe affermazioni sono di qui o sono di là? Quando osservo la realtà, che mi sta sotto gli occhi, sono di qui o sono di là? Quando perseguo certi interessi sono di qui o sono di là? Dove mi batte il cuore? Sono numerosi gli idoli: il dominio, il successo, il denaro, la carriera a qualsiasi costo, la mia sicurezza a qualsiasi costo, l'economia a qualsiasi costo, e potremmo continuare. Ne parlava papa Francesco proprio mercoledì e concludeva: "Io vi invito a pensare oggi: quanti idoli ho? Qual è il mio idolo preferito? Perché riconoscere le proprie idolatrie è un inizio di grazia, e mette sulla strada dell'amore... gli idoli ci rubano l'amore, ci rendono ciechi all'amore. Per amare davvero bisogna esseri liberi da ogni idolo. Qual è il mio idolo? Buttarlo dalla finestra".
E vengo alla parabola del vangelo, dura, una delle più dure del vangelo. Siamo nel tempio e il clima si è fatto rovente. Gesù, il giorno prima, aveva rovesciato sedie e tavoli dei cambiamonete. Ci ritorna il giorno dopo e di parabole ne racconta tre, una più infocata dell'altra. Immagino prevedesse le reazioni: "i capi dei sacerdoti e gli scribi capirono che parlava di loro - i vignaioli omicidi della parabola erano loro - e cercavano di catturarlo. Ma ebbero paura della folla perché lo consideravano un profeta".
Perdonate se isolo, della parabola, una cosa sola. Anche perché qualche squarcio di violenza lo abbiamo intravisto anche nella parabola: il massimo della violenza quella dei vignaioli che uccidono prima i profeti e alla fine persino il Figlio del padrone della vigna, Gesù. Una violenza inaudita che ci fa star male. Come un po' ci fa star male l'aggiunta - che sembra peraltro di un copista - sulla pietra. Su cui ci si sfracella, che ti stritola. Ho bisogno di uscire da queste immagini. E allora, per chiudere mi fermo su una immagine, positiva, quella della vigna. Bellissima una vigna! Pensatela in questi giorni!. La vigna è il popolo di Dio, vigna è la terra, vigna è la vita, anche quella di ogni giorno.
Ogni giorno - pensate - siamo in vigna. Dove sta il peccato? Quello delle autorità religiose, ma penso di sempre? Eliminiamo tutti e saremo padroni noi della vigna. Impadronirsi: il verbo ha tanti significati. Un verbo da cui ci dobbiamo guardare. Verbo devastante! Impadronirsi! A fronte - e voglio finire così - i verbi di Dio, bellissimi. Per la sua vigna, All'opposto del verbo "impadronirsi". Pensate i quattro verbi che danno inizio alla parabola: "piantò una vigna, la circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre".
Ci sembra di vedere Dio: la sua passione, la sua cura, la sua custodia. E che bello assomigliargli!