Far vivere Dio nel mondo

don Maurizio Prandi

Tutti i Santi (1 novembre 2016)

Bella la festa di oggi: Tutti i Santi. Ricordo che qualche tempo fa, cercando una definizione di "santo" che potesse parlare al nostro cuore e al cuore delle persone perché di queste sia rispettosa (relegare il santo nel mondo della perfezione o del miracoloso o dell'eroicità non mi sembra rispettoso dell'intelligenza dell'uomo), ci eravamo detti che: i santi sono coloro che nei modi più belli e diversi hanno fatto vivere Dio nel mondo. Mi piace davvero tanto questa definizione di santo, mi piace perché la sento alla portata di tutti. Il santo quindi non è colui che è perfetto, non è colui che ha fatto cose così difficili, impossibili, tanto da guadagnarsi la santità! Ci toccherebbe dire, riconoscere che quasi quasi non è umano uno così! No, è tutto il contrario invece: il santo ha vissuto in pieno la sua umanità, il santo vive in pieno la sua umanità! Lo ripeto, perdonatemi: il santo è colui che, attraverso la sua vita, ha fatto vivere Dio nel mondo.

Quindi è certamente attraverso la storia di Abramo, di Mosè, di Elia, di Giovanni Battista, di Francesco d'Assisi, di Massimiliano Kolbe che io conosco qualcosa di più di Dio, del suo mondo, del suo volto, ma è anche attraverso la storia degli uomini e delle donne che incontro che capisco qualcosa di più di Dio. È soltanto attraverso le storie concrete che viviamo, che conosciamo, che "sappiamo", che possiamo balbettare qualcosa di Dio. Provo a spiegarmi: sarà san Francesco certamente a parlarmi di Dio e della sua povertà, ma anche chi sa vivere nella semplicità e fa dell'essenzialità un valore fa vivere e risplendere la povertà di Dio. Sarà madre Teresa di Calcutta a parlarmi di un Dio che si china sui poveri e si prende cura di loro, vede e raccoglie i malati che nessuno vuol vedere e raccogliere, ma anche un infermiere/a che vivono il loro lavoro come una vocazione a servire il povero e il debole fanno vivere nel nostro mondo di oggi Dio che si prende cura degli ultimi. Don Angelo Casati, questo sacerdote così illuminato della Diocesi di Milano afferma che i racconti più belli di Dio sono legati a storie concrete di uomini e di donne. Il salmo responsoriale infatti, ci dice che per varcare la porta del tempio, per entrare nel luogo sacro, per stare al cospetto di Dio sono necessarie due cose: mani innocenti e un cuore puro; non per fare facili processi di beatificazione ma mi viene in mente quello che dicevo alcuni giorni fa celebrando il funerale di Giuseppe dove dicevo così: meno male che Giuseppe, secondo il libro dell'Apocalisse viene giudicato secondo le sue opere. Le mani, il segno dell'operatività umana, di un amore che diventa un operare concretamente il servizio ai nostri fratelli e sorelle e poi il coltivare un cuore puro (ne parla anche il vangelo che abbiamo ascoltato), ovvero un'interiorità tanto cristallina da potervi leggere ogni parola della legge di Dio che lì viene custodita.

Desiderare di diventare santi allora non può ridursi al sogno di avere il nostro posto in Paradiso. Diventare santi deve coincidere con il desiderio di far vivere Dio nel mondo, altrimenti il mondo diventa muto, muto di Dio (A. Casati). Sono i nostri volti a far parlare a far viver Dio nell'oggi, è la nostra storia che lo fa vivere nel presente.

Ho già detto queste cose ma le ripeto volentieri:

- è la storia di Roberto, che due anni fa abbiamo conosciuto alla casa della carità di Milano; è la storia di un uomo redento, cambiato, che ha ritrovato la sua dignità e vive la sua dignità. Ama ripetere che ognuno, a modo suo, può sognare il Paradiso e pertanto ha ancora il tempo qui, di mettersi in riga e di non restare fuori. Roberto, fa vivere Dio!

- Ma è la storia anche di Enrico. Lo abbiamo conosciuto a sant'Anna di Stazzema insieme ai giovani che nel 2012 cominciavano un percorso, è la storia di un uomo che ha i tedeschi entrare in casa sua ed uccidere suo papà, sua mamma, le sue sorelline e ogni anno, nel giorno anniversario della strage invita alla sua tavola italiani e tedeschi, perché possano parlare, stare insieme, costruire e vivere relazioni nuove. Anche Enrico, fa vivere Dio!

- È la storia di Consuelo, che ha quasi smesso di vivere una vita sua quando ha scoperto che sua madre si era ammalata prendendosi cura di lei dall'età di dieci anni, non lasciandola mai, anzi, accompagnandola, certo, facendosi tante domande sul senso della vita ma aprendo in continuazione squarci in un cielo che qualsiasi persona avrebbe considerato tenebra. Squarci di azzurro, di sereno, di luce: da più di quindici anni la mamma di Consuelo non c'è più, ma c'è un marito, ci sono tre figli bellissimi. Una vita che non è più soltanto una domanda ma che poco a poco è diventata speranza. Anche Consuelo, fa vivere Dio!

Ecco cos'è la festa dei Santi, una festa che in ascolto di chi fa vivere Dio nella nostra vita diventa la festa della speranza! È la festa di tutti quelli che sono segnati sulla fronte ci dice la prima lettura. Che bella la prima lettura! Parla di angeli che hanno il compito di devastare la terra e il mare. Ma vengono "stoppati": non devastate, perché prima dobbiamo segnare la fronte, il volto di ognuno dei suoi servi. Crediamo in un Dio che desidera proprio questo: segnare uno a uno sulla fronte i suoi servi; prima centoquarantaquattromila e poi una moltitudine immensa! Non una massa indistinta, non un gregge senza volto, ma uomini e donne il cui volto dice un gesto di Dio, un'appartenenza, un riconoscimento, un chinarsi di Dio sui suoi servi. Un nome, il mio, il vostro, quello di ognuno di noi, pronunciato da Dio.

Ecco chi sono i santi: non eroi perfetti e specialisti dell'impossibile, ma uomini e donne che hanno fatto vivere Dio nel mondo perché Dio ha legato la sua vita alla loro; credo proprio questo: Dio si è legato ai nostri nomi, ai nostri volti, alle nostre povere, semplici vite.

Concludo riprendendo un passaggio già fatto lo scorso anno e che mi è caro perché nasce da un momento di preghiera vissuto insieme ad alcune persone che quest'anno si è allargato in modo credo molto significativo. Ascoltando proprio il brano di vangelo delle Beatitudini, qualcuno ha condiviso questo pensiero: questo brano di Vangelo mi commuove sempre. Pensavo allora questa cosa, che personalmente mi piace: forse queste parole che Gesù ha voluto dare ai suoi discepoli, vengono proprio dalla commozione che Gesù prova vedendo le folle. Per questo ha chiesto ai discepoli di andare con lui sul monte:

- voleva avere un momento solo con loro per dirgli che aveva visto, in quella folla, poveri in Spirito, ovvero persone così abbandonate da poter contare solamente su Dio e sul suo sostegno;

- ma aveva visto anche uomini e donne nel pianto, capaci cioè di provare dei sentimenti, capaci di amare, perché il lutto è intimamente legato all'intensità delle relazioni. Gesù è commosso da chi ha investito tutto nell'amore senza temere di esporsi alla vulnerabilità, Gesù si commuove di fronte a chi ama senza paura di perdere;

- aveva visto persone capaci di farsi carico delle miserie degli altri, o tanto semplici da essere trasparenza di un cuore limpido, altre sommamente miti, ovvero salde nei loro principi ed ideali (seminano serenità, amano e pregano per i propri nemici, testimoniano il vangelo senza fare crociate ma dialogando e cercando un incontro) e incapaci di qualsiasi gesto di violenza o di prevaricazione.

Ha detto ai suoi discepoli che queste persone sono beate e proprio in questi giorni leggevo in Servizio della Parola qualcosa di affascinante e che bene si inserisce nel cammino che stiamo facendo: beato è colui che marcia nella giusta direzione. Che bello allora per la nostra chiesa, per le nostre comunità potersi dire beate perché camminano nella giusta direzione, poter stare a fianco e fare lo stesso cammino di chi è povero in spirito, di chi piange, di chi è misericordioso, di chi è mite, puro, opera la pace, è perseguitato.