Per Cristo, con Cristo e in Cristo

don Luciano Cantini

VI Domenica di Pasqua (Anno C) (1 maggio 2016)

Osserverà la mia parola

Il verbo tēreō, nel Nuovo Testamento assume il significato di osservare nel senso di seguire praticamente i comandamenti, ma il significato primario è quello di custodire, tenere sotto osservazione (v. Gv 17,11: Padre santo, custodiscili nel tuo nome).

L'invito al Popolo d'Israele è Shema' (Dt 6,4), Ascolta, e per quanto Lutero abbia detto che gli orecchi sono i veri organi del cristiano, è fuori dubbio che Giovanni ci chieda di avere uno sguardo particolare per la Parola. Più che ascoltarla, la Parola va guardata con gli occhi; potremmo dire che ci è chiesto di osservare con attenzione, di guardare in faccia quella Parola che si è fatta carne (Gv 1,14), Cristo Signore, ma anche ogni carne che si fa parola.

Non possiamo fermarci ad ascoltarne soltanto il suono, lasciarsi inebriare dalla sua bellezza, dalle articolazioni o dall'armonia che manifesta quanto penetrarne l'abisso per coglierne il senso profondo. Occorre andare oltre la lettera della parola umana come della Parola, lasciare che questa colmi il nostro animo perché ne diventi il custode.

La parola rivela il cuore di chi la pronuncia, la Parola è il cuore di Cristo, la Parola è il Cristo.

Prenderemo dimora presso di lui

Sembra che Dio abbia un sogno, quello di fare casa con gli uomini. Già nel prologo Giovanni aveva detto della Parola che venne ad abitare in mezzo a noi (Gv1,14). I primi discepoli seguendo Gesù gli domandarono dove dimori? (Gv1,38), ma era aspirazione di tutto il popolo abitare nella casa del Signore (Sal 27,4).

Gesù ribalta l'immagine: è lui che viene ad abitare presso di noi. [cfr.: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5); Mentre stava a tavola in casa di lui (Mt 2,15); li farà mettere a tavola e passerà a servirli (Lc 12,37)

Abitare insieme per condividere vita, desideri, sogni, quotidianità, confidenza; questo Dio sta cercando: riempire l'uomo del suo amore. Dobbiamo pacificarci con il quotidiano perché è l'unico tempio dove Lui prende dimora. La Parola ci invita a riconciliarci con la storia, ci aiuta ad amare, ad amare profondamente il mondo e l'umanità così come è, amica o nemica, così come Dio la ama. Amare ci spinge a abitare con chi si ama, in chi si ama. Abitare la Parola per essere abitati dalla Parola.

Vi do la mia pace

Pace, «Shalòm» è saluto abituale in Israele, tanto abituale da averne perso il significato autentico, da essere equivocato, confuso con tanti, troppi desideri di pace o piuttosto di tranquillità. C'è da domandarci cosa alberga nel cuore di ha lo «Shalòm» sulle labbra. Per questo bisogna guardare la parola e scoprirne il volto. La Pace che Gesù ci lascia, quella «sua», ha il suo volto e il suo cuore, non ha niente a che vedere con la pace del mondo, quella delle nostre aspirazioni, dei nostri sogni, delle nostre speranze, dei nostri interessi, dei nostri egoismi. La Pace che Gesù dona all'umanità è segnata dalla Passione (cfr.Gv 20,20), mette in moto l'umanità (cfr.Gv 20,21), è colma del suo Spirito (cfr.Gv 20,22), sostanzia il perdono (cfr.Gv 20,23). Cristo Gesù è la nostra pace (Ef 2,14) che abbatte i muri divisori, le leggi fatte di prescrizioni e di decreti, che nella Croce fa di noi una umanità nuova in una realtà nuova: Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio (Ef 2,12).

Gli ambiti si confondono, non c'è un luogo per gli uomini e uno per Dio, il sacro e il profano; incredibilmente Dio abita l'uomo che è capace di amare. Non ci chiede nulla per sé ma che viviamo con Lui e in Lui per diventare come Lui un dono di amore, pieno e totale.