Commento su Atti 21,8b-14; Filippesi 1,8-14; Giovanni 15,9-17

don Raffaello Ciccone

IV domenica T. Pasqua (Anno C) (21 aprile 2013)

Atti degli Apostoli 21,8b-14

Paolo sta ritornando dal suo viaggio di missione e rivisita le comunità che aveva fondato o che riconosceva cristiane perché evangelizzate da altri (es. quelle della Fenicia e la stessa Tiro fondate dagli ellenisti: At 11,19). Proprio a Tiro, dove si ferma con i discepoli sette giorni, Paolo si sente dire dai cristiani del posto, "nello Spirito", di non salire a Gerusalemme.

Paolo si ferma nella casa di Filippo, uno dei sette eletti nella prima Comunità cristiana per il sevizio alle mense, insieme con Stefano. Filippo ha "quattro figlie nubili, con il dono della profezia". Questa notizia fa intravedere un grande lavorio di evangelizzazione della comunità, da poco costituita, ricca di doni dello Spirito di Dio, capace di illuminare e aperta alla partecipazione. Probabilmente hanno un grande ruolo nel costituire richiami, documentazione e approfondimento del pensiero di Gesù.

Si parla anche di Àgabo un profeta, che imita i gesti simbolici dei profeti antichi per predire il futuro con segni particolari. Egli ripete la profezia sull'arresto di Paolo a Gerusalemme, utilizzando la cintura di Paolo come un legame di carcere.

Paolo dimostra una consapevolezza determinata a non lasciarsi sviare dal suo cammino che ha per meta Gerusalemme: "Sono pronto ad essere legato e a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù".

Queste parole ci ricordano la stessa determinazione di Gesù che cammina verso Gerusalemme e il Padre.

Paolo vive la sua vita e la sua vocazione di apostolo. Egli sente di evangelizzare sia con le parole, raccontando, e sia con la vita affrontando i disagi della persecuzione, come fece Gesù, per aiutare la fede dei fratelli e sorelle. Ritorna così un richiamo quotidiano: "Fare la volontà di Dio", quasi ossessivo e Gesù lo ripeteva spesso poiché i discepoli non sapevano rendersi conto di molti perché e di molte scelte che Gesù faceva. Qui, nel linguaggio di Paolo, c'è una differenza. Gesù parla della volontà del Padre, Paolo parla della volontà del Signore Gesù.

Così Paolo ritiene che la vera evangelizzazione si debba sviluppare nella conoscenza della Parola di Gesù che ci apre il mondo di Dio e, a somiglianza di Gesù, nella coerenza di vita, per essere esempio e sostegno per fratelli e sorelle.

Nel nostro tempo si sente una grande sfiducia verso la coerenza delle proprie responsabilità poiché sembra proprio scontato che con il danaro si possa comperare ognuno e quindi si ritiene di avere il permesso di poter fare qualunque cosa. Nel mondo del lavoro come nel mondo politico il coraggio della correttezza, della chiarezza senza pretendere di fare il maestro di nessuno ma la trasparenza delle scelte, la partecipazione allargata alle valutazioni comuni ed alle decisioni, il coraggio di ricercare in ogni cosa il motivo delle decisioni aiutano a trovare forza e sostengono la coerenza degli altri.

Già, finalmente, la scelta di pagare i debiti, contratti dallo Stato, è un atto di responsabilità e di giustizia.

Bisogna ricordare che non pagare i propri debiti è un furto, e se fatto dal potere dello Stato, una rapina.

In questo caso i responsabili della realtà pubblica dovrebbero sentirsi, ciascuno debitore, in occasione del proprio stipendio e si dovrebbe spontaneamente prendere l'iniziativa del ridimensionamento, delle proprie entrate poiché ci si deve sentire responsabili delle proprie autorizzazioni.

Certo, insieme, c'è la responsabilità del pagare le tasse poiché anche l'evasione fiscale è un furto delle risorse della Comunità in cui si vive. Bisogna pretendere l'onestà del contribuente e, nello stesso tempo, la comprensione verso i salari bassi.

S. Paolo ai Filippesi 1,8-14

Ci troviamo di fronte ad una particolare testimonianza, riportata in questa lettera scritta, probabilmente, nel periodo 61-63 d.C. durante la prigionia di Paolo a Roma. Egli, per circostanze particolari, ha visitato a suo tempo Filippi che è stata la prima città europea, da lui evangelizzata, probabilmente, attorno agli anni 50, durante il suo secondo viaggio missionario.

L'affetto di Paolo si manifesta, prima di tutto, nel ricordo e nella preghiera. L'atteggiamento dell'apostolo è di riconoscenza e di ringraziamento. Ciò che chiede al Signore, e lo manifesta nella lettera, è la maturazione della carità che già i Filippesi vivono, ma che hanno, comunque, bisogno, sempre, di crescere in conoscenza e pieno discernimento. Egli stesso manifesta il suo amore per la comunità che conosce e sa di essere ricambiato. E se parla come un grande maestro, si sente anche amico e fratello, incoraggiando la comunità nella linea della saggezza. Nella serie di raccomandazioni vengono inseriti anche elementi della filosofia greca che sa proporre la figura del saggio. Paolo suggerisce l'importanza della conoscenza, l'atteggiamento di attenzione all'altro con sentimenti di discrezione, l'apprezzare le cose migliori. Nella riflessione sulla saggezza, la filosofia greca incoraggia ad una presa di responsabilità sulla realtà per cogliere ciò che è opportuno fare o non fare, il giudaismo fa riferimento alla Legge per conoscere la volontà di Dio per una scelta preferenziale, i cristiani sviluppano il progetto di essere trovati "puri e senza macchia".

Paolo sta formulando una preghiera che conclude: " I cristiani siano ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio".

Paolo, verificando il cammino della fede nel suo contesto, pur se in carcere, si sente gioioso perché ovunque c'è consapevolezza, "in tutto il palazzo del pretorio e dovunque", che la sua detenzione non abbia il marchio della ingiustizia o del male, ma il significato di una Parola nuova, pronunciata da Gesù, e capace di salvezza. Mentre è in carcere e quindi ha un raggio di azione molto limitato, sa che "la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor più ardiscono annunciare senza timore la Parola".

Paolo racconta con riconoscenza, poiché nel suo vissuto vede una traccia segnata dalla Provvidenza per aprire i cuori all'annuncio di Gesù. E, in tal modo, sa che sta educando la Comunità di Filippi a saper vedere la storia come occasione di sapienza e progetti nuovi.

E' certamente difficile interpretare la fatica quotidiana o addirittura l'ingiustizia subita come un'occasione di testimonianza. Eppure, nella luce del Signore, Paolo invita ciascuno a saper intravedere la presenza del Signore e trasformare ogni tempo come un tempo per la speranza di chi ci sta vicino.

Probabilmente questo è il miglior modo di sostenere ed aiutare la comunità in cui viviamo, religiosa o laica che sia.

Vangelo di Giovanni 15,9-17

Giovanni, mentre scrive il suo Vangelo, sa e ce lo comunica, che nell'ultima cena si svolgono grandi rivelazioni mentre si sente commovente il tempo degli addii. Cosi quest'oggi leggiamo una parte delle intuizioni più preziose e le raccomandazioni essenziali che si intrecciano, in quella cena piena di presagi e di interrogativi, costituendo il tessuto di sentimenti profondi ed essenziali che sono via via maturati, con Gesù, in quell'ultimo tempo di cammino comune. Precede questo testo l'immagine di "Gesù, vera vite" che illustra la necessità di una unione profonda e fondamentale dei discepoli con Gesù stesso. Vi si ripete continuamente il "rimanere in " per 10 volte (15,1-8).

In tutto il testo, il verbo ricorrente è "amare": in particolare " come amore fraterno". Esso ha come modello l'amore del Padre per Gesù e l'amore di Gesù per i discepoli. Il punto di riferimento è l'amore del Padre che essi non conoscono ma di cui Gesù si fa rivelatore. Essi comprenderanno, in particolare, lo spessore enorme di questo amore nello svolgimento della passione di Gesù, nell'accoglienza ed il perdono che il maestro darà loro anche dopo la risurrezione, nella scelta di elezione che continuerà a mantenere nonostante la loro fragilità, la loro fuga ed il loro tradimento. Ma il rapporto di Gesù sarà sempre di tenerezza, come pieno e totale è l'amore del Padre che ha dato ogni cosa al Figlio (3,35; 5,20; 17,24). La parola greca che viene qui usata, rara nel linguaggio classico, è "agapao: amore di comunione, amore gratuito, disinteressato come quello del Padre". Gesù ha obbedito all'amore del Padre, pienamente. I discepoli sono chiamati ad obbedire ai comandi di Gesù per restare nel suo amore.

A cascata l'amore del Padre si trasfonde nel Figlio, e quindi dal Figlio ai discepoli perché, a loro volta, lo comunichino agli altri.

Al centro di questa circolazione di scelte e di amore, Giovanni, al v.11, colloca la gioia: "Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena".

Nel linguaggio di Giovanni si riprendono i temi dell'amore reciproco caricandolo di richiami e di significati.

La reciprocità, che resta gratuita, non è legata al riconoscimento, alla giustizia dell'altro, al merito poiché la misura è svincolata, ma si collega al "come io vi ho amato" (anche 13,34), unito all'affermazione: " Amore grande è dare la vita".

- Gesù distingue tra "i vari precetti" ed "il comandamento" (v 12) che chiama "comandamento nuovo" (13,34): "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi"..

- Questo rapporto nuovo nasce dall'essere stati scelti come amici per ricevere le confidenze del mondo di Dio. I discepoli si sentono, in tal modo, capaci di sostenere questa dignità perché Gesù la renderà possibile, garantendo loro la sua presenza.

- I discepoli però debbono attrezzarsi di una preghiera al Padre che Gesù stesso sosterrà allo scopo di far fruttificare il seme e renderlo duraturo: "perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda".

- Questa scelta offre e chiede, allo stesso tempo, di essere continuatori dell'opera che Gesù ha iniziato e che i discepoli accettano: scelte e rivelazioni di Gesù che si sviluppano nel tempo e nello spazio. "Vi ho costituiti perché andiate". "Essere costituiti": è il verbo che si usava per l'istituzione dei rabbini e per l'ordinazione dei leviti (Num8,10).

- Andare per "portare frutto" (e qui si sente il riferimento precedente alla vite e ai tralci: 15,1-8). Nel mondo la prospettiva della missione è un "frutto che rimanga" e che abbia la consistenza dell'amore reciproco, gratuito, la vitalità della gioia, la fiducia del far crescere le opere di Dio che trasformino il mondo. Perciò il segno della presenza dell'amore di Gesù passa nella preghiera fiduciosa, nell'impegno e nella consapevolezza di riprendere il comando di Gesù: "Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri".

- Questo amore va tradotto e va capito. E', fondamentalmente, un amore di intercessione per un mondo che soffre e davanti al quale non riusciamo a far molto. Ma lo possiamo sempre accogliere nel cuore e posso pregare per la sofferenza che ascolto, per le immagini di guerra che vedo, per le notizie di fame o per mancanza di lavoro che sento. E possiamo diffondere questa attenzione, questa attesa e questa partecipazione che mi renderanno sempre più attento, flessibile, disponibile a capire e a mettere sulle spalle la fatica degli altri.