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TESTO Commento su Giovanni 6,24-35

mons. Ilvo Corniglia

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (06/08/2006)

Vangelo: Gv 6,24-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Gesù ha compiuto un miracolo strepitoso. Ha sfamato una grande folla con cinque pani e due pesci, che si sono moltiplicati nelle sue mani (cfr. Vangelo della scorsa domenica).

Il giorno dopo (brano evangelico di oggi) la folla lo raggiunge sull'altra riva del lago, a Cafarnao. Qui ha inizio un dialogo serrato tra Gesù e la folla, un discorso in cui Egli interpreta il miracolo avvenuto e ne rivela il significato nascosto. Oggi ne ascoltiamo le prime battute. E' importante non sentirci spettatori, ma pienamente coinvolti, verificando con attenzione se ci ritroviamo nella mentalità della gente di Galilea, a cui Gesù vuole offrire la sua sconvolgente rivelazione.

"Rabbì, quando sei venuto qua?". Gesù non risponde direttamente alla domanda, non soddisfa questa curiosità. Ma va subito al nocciolo del problema e mette a nudo il motivo reale che li ha mossi a cercarlo. "In verità, in verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati". La folla ha assistito a diversi miracoli (il più clamoroso è la moltiplicazione dei pani e dei pesci), che non sono soltanto fatti meravigliosi, ma soprattutto "segni". Cioè rimandano a una realtà più profonda: indicano che l'era messianica con l'abbondanza dei beni promessi dai profeti è arrivata attraverso Gesù, è legata alla sua persona. Tali "segni" essi non li hanno capiti. Si sono fermati al significato immediato del pane che Gesù ha donato, hanno scambiato Gesù stesso per un Messia terreno che procura loro il cibo materiale in abbondanza e a buon mercato, risolvendo i loro problemi di ordine economico. La loro è quindi una ricerca interessata. Cercano Gesù non per se stesso, per quello che è, ma per il pane che ha donato. Preferiscono il dono al Donatore, che vale infinitamente di più, e si accontentano di un dono che - pur essendo necessario e prezioso, qual è il pane - è smisuratamente inferiore a quello che Gesù è in grado di offrire e desidera offrire. Un dono che è il Donatore stesso.

Quando ci vede interessati prevalentemente ai beni terreni, Gesù vorrebbe dirci: "Voi chiedete troppo poco. Io ho da darvi molto di più. Ma non lo desiderate. Anzi, avete già ricevuto doni enormi (la realtà di figli di Dio, la presenza della Trinità dentro di voi...) e non sapete che farvene e neppure sapete di possedere tali tesori.

Le parole di Gesù nascondono la sua delusione amara nei confronti dei Galilei e di molti anche oggi ai quali stanno più a cuore la salute e il benessere materiale invece che una relazione vera con Lui. Delusione nei confronti di quanti danno più importanza a ciò che appare sensazionale e miracolistico nel cristianesimo, accontentandosi di un interesse vago e generico, invece che impegnarsi in una ricerca seria di Gesù.

Ecco allora l'esortazione: "Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà". Al cibo materiale che si deteriora e si esaurisce (così è anche del pane con cui Gesù ha saziato la folla) viene contrapposto un altro cibo di natura diversa e superiore, che non si corrompe, è permanente e opera un effetto non sulla vita terrena, ma sulla vita eterna. Questa è la vita divina già presente in chi crede e che, come la realtà stessa di Dio, non avrà mai termine. Esiste un altro cibo radicalmente nuovo. Lo donerà il "Figlio dell'uomo". Nel IV Vangelo tale espressione designa Gesù come Messia inviato da Dio, che con la sua morte- risurrezione opera la salvezza e la trasmette ai credenti. "Su di Lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo". Cioè lo ha contrassegnato con un "marchio" speciale (quando nel Battesimo al Giordano lo Spirito è sceso su di Lui: Gv 1, 32-34). Gesù ha rivelato la sua relazione unica con Dio, che lo rende in grado di donare il cibo imperituro e divino. Ha esortato a "procurarsi" tale cibo, cioè a darsi da fare con ogni cura pur di avere tale dono.

"Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?" La gente pensa che Gesù richieda nuove pratiche religiose e domanda come fare per attuarle. "Questa è l'opera di Dio". Alle molte opere menzionate dalla folla Gesù contrappone l'opera per eccellenza, l'unica opera da compiere: "Credere in Colui che Egli ha mandato".

L'unica azione, l'unico comportamento che vale è credere, cioè aderire alla persona di Gesù e accettare la sua rivelazione. Come altrove nei Vangeli, la folla chiede un "segno" speciale per credere in Lui. In realtà i miracoli di Gesù sono "segni", ma non eclatanti e spettacolari come pretenderebbero i suoi interlocutori. I quali si richiamano ai vari prodigi compiuti da Dio nella storia di Israele e che fondavano la fede del popolo. In particolare ricordano esplicitamente il miracolo della manna (cfr. Es. 16, 2-4. 12-15: I lettura). Sarebbero disposti a credere in Lui se ripetesse il prodigio della manna.

Gesù risponde con un'affermazione solenne: "In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero". La manna, che aveva nutrito quotidianamente gli Ebrei nel deserto, non era dono di Mosè e neppure era "il pane dal cielo". Era un cibo passeggero, che prefigurava un altro pane, quello vero e genuino. Gesù vuole distogliere l'attenzione dei Galilei dalla manna e orientarla a questo nuovo pane che ora il Padre dà. Vuole destarne il desiderio e l'attesa. Qual è questo pane? "Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo". Il pane che viene da Dio, che è dono di Dio ed è pieno della sua forza, è una persona, è "colui che discende dal cielo (= da Dio)", cioè Gesù stesso. Il pane celeste, identificato con Gesù, dà (attualmente) la vita (la vita di Dio). Come il pane terreno sostiene e alimenta la vita terrena, così il pane celeste, che è Gesù, comunica la vita divina.

La gente è colpita da questa affermazione, ma in modo piuttosto superficiale. La intende ancora in senso materiale: "Signore, dacci sempre questo pane". A questo punto, Gesù esplicita ulteriormente la sua identificazione col pane celeste, affermata poco sopra. E' una rivelazione di una solennità unica: "Io sono il pane della vita". Il pane che attivamente dà la vita, produce la vita: vita divina. Si tratta di accoglierlo nella fede: "Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete" (i due verbi sono sinonimi). La fede è condizione assolutamente necessaria .

"Io sono il pane della vita". E' la prima autodefinizione di una lunga serie con cui Gesù ci rivela chi è Lui per l'uomo, per ciascuno di noi: "Io sono la luce...la porta...il buon pastore...la risurrezione e la vita...la via, la verità e la vita..." (Cfr. Gv 8,12.18.23; 10, 7.9; 11, 14.25; 14,6; 15, 1.5).

Come il pane o il cibo consente di sopravvivere, di crescere, e dà sapore e diletto, è cioè necessario per la vita del corpo, così Gesù è l'unico necessario e indispensabile sul piano della vita eterna, che sola merita il nome di vita in senso pieno. Una vita che è già realtà presente di comunione con Gesù e con Dio tutta protesa alla pienezza finale. Nel seguito del discorso Gesù preciserà che Lui è il pane che dà la vita attraverso il suo insegnamento e l'Eucaristia.

Commuove il fatto che Gesù abbia voluto designarsi come "pane". Il pane esiste per essere mangiato. Gesù desidera essere "mangiato" perché vuole una unità totale coi suoi. Sa che la sua Parola e l'Eucaristia, se vengono ricevute ("mangiate"!), gli permettono di penetrare in loro e fondersi con loro, col risultato che essi vengono assimilati a Lui e diventano "pane" per gli altri.

Proviamo a lasciarci coinvolgere in questo dialogo di Gesù con la folla, riportato nel Vangelo di oggi. Ripercorriamolo di battuta in battuta, senza sorvolare nessun passaggio. Riconosciamo pure con franchezza la nostra connivenza, la nostra complicità col modo di pensare della folla galilaica, e la nostra resistenza a credere.

Proviamo a prendere sul serio quanto in definitiva Gesù vuole dirci: "Io vi sono necessario. La relazione con me è segreto di vita piena e felice". Lasciamoci convincere. E ripetiamo con la gioia di chi comincia a capire: "Signore dacci sempre questo pane...Donaci, Signore, il pane della vita".

 

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