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TESTO Gesu' insegna e guarisce

don Roberto Rossi  

IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (29/01/2006)

Vangelo: Mc 1,21-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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21Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. 22Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. 23Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, 24dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». 25E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». 26E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». 28La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Nel vangelo di questa domenica, Gesù viene descritto da Marco con due

pennellate incisive: Gesù è il "maestro" che insegna; Gesù è il "liberatore"
che guarisce, perché la sua parola è efficace.

Ci troviamo davvero davanti a una "dottrina nuova", dove "nuova", nel

linguaggio biblico, non significa originale, inedita, ma perfetta e

definitiva. Gesù insegna con autorità e comanda con efficacia; egli
proclama ed agisce, dice e fa', predica e guarisce.

Il profeta è colui che parla "in nome di Dio". Gesù è il vero grande

profeta. Egli insegna con autorità, attraverso parole e opere.

Con i quattro ex pescatori, ora suoi discepoli, è a Cafarnao. Di sabato

entra e parla nella sinagoga. C'è molta gente. La sua parola provoca un

ascolto eccezionale. Tutti stanno a orecchi aperti. Non si sente nemmeno il

movimento del respiro. In tutti c'è un grande stupore: avvertono di trovarsi

davanti a un uomo fuori del comune. Lui non conosce che l'aramaico, la

lingua dialettale; non ha studiato la Scrittura presso alcuna scuola

rabbinica; è un illustre sconosciuto. Eppure parla con autorità. Gli scribi

e i rabbì del tempo sono dei 'ripetitori'; Gesù no. La sua è una parola che

genera meraviglia, perché è novità assoluta, parla di Dio come uno che 'ci

vive dentrò, da sempre. Leggendo i vangeli si nota come questo sia il suo

stile costante. Possiamo davvero chiamarlo l'uomo che stupisce.

Il 'maligno' è molto più acuto della gente: non è preso dallo stupore, ma

dalla rabbia e dall'odio. Egli sa che quell'uomo di Nazaret è venuto a

sbancarlo dal suo trono. Il suo dominio indiscusso sull'uomo è finito. È
scoccata l'ora di fare i conti con «il Cristo di Dio».

E Gesù davanti a lui non si piega, perché ha qualcosa in più degli altri

uomini: egli è «il Santo di Dio» e il maligno lo sa. Nello scontro è Cristo

che vince, ma non con la forza dialettica, Gesù non discute con il demonio.

Gli impone addirittura di «tacere e di andarsene». Cristo non scende a patti

con lui. Può discutere con il peccatore pentito, mai con colui che compie il
male con piacere.

Il pasticcio in cui l'uomo d'oggi è impantanato è proprio questo: andare a

braccetto con Dio e con il diavolo. Non esiste più distinzione: bene e male,

onestà e disonestà, fedeltà e adulterio, purezza e lussuria, danaro pubblico

e danaro sporco sono realtà così intrecciate da non essere più

riconoscibili. L'arte del doppio gioco, della doppia morale, della doppia
coscienza, è pane quotidiano.

Gesù ha una parola che taglia come una spada, che fa male, che invita a
scegliere, che scuote, che libera e salva.

Questa pagina di vangelo ci mette con le spalle al muro e ci invita a fare

delle scelte precise, che abbiano il sapore di una libertà interiore

ritrovata. A costo di apparire di un altro mondo. Infatti, noi cristiani
siamo «nel mondo, ma non del mondo».

Di fronte a Gesù che insegna, qual è il nostro atteggiamento?

Di fronte a Gesù che ingaggia la sua lotta contro il male, quali
comportamenti ci sono richiesti?

"Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?"

Anche nelle nostre "possessioni", nei nostri limiti, compromessi... abbiamo

bisogno di essere "rovinati". La parola di Dio scuote e toglie la

"tranquillità" di chi la predica e a chi l'ascolta. A volte essa fa male, ma

è un male, come nel caso dell'ossesso del vangelo, che si converte nel
nostro vero bene.

Gesù è venuto per accendere una speranza nel cuore di ogni uomo e di ogni

donna. E tutti subito percepiscono che la sua parola non è come quella degli

scribi. Perché Gesù non si limita a commentare quello che Dio ha detto,

magari con dotti riferimenti. No, la sua parola nasce da un'esperienza di

Dio, da una comunione con lui che è del tutto unica. È questa la fonte della
sua «autorità».

Un annuncio, però, per quanto consolante, non può bastare. Una buona notizia

può riscaldare il cuore, può ridare fiducia a chi ormai si è rassegnato, può

risollevare da terra chi non ce la faceva più ad andare avanti... Ma viene

il momento in cui c'è bisogno di vedere dei segni concreti, di quel

cambiamento che è stato annunciato. Ed è proprio quello che Gesù fa', in

giorno di sabato, nella sinagoga di Cafarnao. Mostra come Dio provi

compassione per le nostre infermità e si impegni, in prima persona, nella

lotta contro il male: il male fisico e quello, più profondo, che intacca

l'anima, il male che coincide con la cattiveria del cuore e quello che ha i

connotati di una prigionia, da cui non si riesce più ad uscire con le
proprie forze.

Marco, nel suo racconto, è abbastanza sobrio e quasi avaro di particolari:

ci presenta un uomo, «posseduto da uno spirito immondo» che è lì, nella

sinagoga. E mette sotto i nostri occhi l'azione di Gesù che libera questa

persona dalla sua sofferenza, dalla sua lacerazione, dalla sua schiavitù.

È bene, tutto sommato, che la descrizione di quell'uomo e della sua malattia

sia generica. È bene perché ognuno di noi può vedere nel gesto di Gesù un

compito che è affidato anche a lui. In fondo il gesto della liberazione non

ha nulla di strano: è un'ingiunzione allo spirito del male ad uscire da

quella creatura, è una parola forte che si propone di portare liberazione e

speranza in una vita oscurata dalla presenza mortificante del male. E in

quel male ci è lecito ravvisare ogni male di cui soffrono i nostri fratelli,

ogni situazione di disagio, di abbandono, di strazio, di scoraggiamento.

In Gesù ci viene offerto un segno chiaro, senza alcuna ambiguità: Dio non

esita ad ingaggiare una lotta senza quartiere contro ciò che ci tiene in

schiavitù, Dio impegna se stesso fino in fondo per la nostra felicità. Per

questo il suo Figlio si è fatto uomo. Per questo non esiterà a lottare a

mani nude contro ogni cattiveria e contro ogni odio, contro ogni brutalità e

contro ogni menzogna. Fino a ferirsi. Fino a venir condannato alla morte di
croce. Fino a versare il suo sangue.

Storia di un amore che non sopporta l'umiliazione, l'abbruttimento, il

sopruso, l'emarginazione. Storia di un amore che non si manifesta attraverso

proclami, ma con gesti precisi, costosi, audaci, in cui la liberazione

dell'uomo comporta rischi e costi molto alti. Storia di un amore che

possiamo annunciare solo se siamo disposti a compiere gli stessi gesti, a
fare le stesse scelte.

 

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