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TESTO Tu va’ e non fermarti mai

mons. Antonio Riboldi

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (23/10/2005)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 22,34-40

In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Ottobre è, oltre che il mese del S. Rosario, il mese "missionario". Mi ha sempre affascinato fin da piccolo la missione. Immaginavo nella mia fantasia l'immenso campo dove Gesù e l'amore di Dio non era conosciuto; cercavo di mettermi nelle vesti e nella passione di quanti operano in tutto il mondo per portare il Vangelo. Tanto che una volta, nella foga della immaginazione, tornando da un paese della Brianza dove mamma mi aveva mandato a fare delle compere, caddi dalla bici, rovinando la bici e me stesso.

Dio poi mi ha chiamato, mi ha mandato e con tanta gioia mi continua a mandare ovunque. Ricordo con grande emozione quando mamma alla veglia della sua morte, aveva 99 anni e 6 mesi, mi volle vicino al suo letto e, stringendomi forte la mano, sapendo che ero lì di passaggio, perché andavo a predicare, mi disse una frase che fu come un testamento: "Tu, Antonio, va' e non fermarti mai!" E mi benedisse. E vi assicuro che è bello, un grande dono di Dio essere continuamente sulle strade del mondo a portare la bellezza del Vangelo.

S. Paolo oggi così scrive ai Tessalonicesi: "Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi siete diventati imita tori nostri e del Signore, avendo accolto la Parola con la gioia dello Spirito Santo, anche in mezzo a grandi tribolazioni, così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell'Acàia. Infatti la Parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell'Acàia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall'ira ventura" (Tess. 1,5-10).

Dovremmo sapere tutti quanti, che ci diciamo cristiani, che il nostro Battesimo ci ha come "mandati", ossia fatti missionari nei modi e nelle forme che Dio detta: missionari nella famiglia: missionari nell'ambiente che è la nostra "chiesa sulla strada": e, se Dio vuole, missionari nel mondo.

A tutti Gesù dice: "Andate in tutto il mondo e predicate a tutte le creature il mio Vangelo, battezzando nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Si nota invece un "silenzio assordante": come se farsi Parola viva ai fratelli sia cosa inutile o che non ci appartiene: se non addirittura usando parole e stili di vita che sono un contro evangelo. Non è possibile chiamarsi cristiani senza essere missionari. Tacere è grave responsabilità davanti a Dio e agli uomini. Tutti, ma proprio tutti, hanno diritto di accostarsi all'amore del Padre, con la Parola di Gesù testimoniata e vissuta. "Guai a me se non predicassi!" dice Paolo l'apostolo.

Non è possibile tacere l'amore che Dio ha per noi: sarebbe come privare l'uomo del bene più grande per cui ha senso la nostra stessa esistenza.

"Posso vivere senza sapere perché, dice un proverbio, ma non posso vivere senza sapere per chi vivo". E tutti sappiamo che vivere per noi è attuare il comandamento che ci ricorda il Vangelo di oggi: "Maestro qual è il più grande comandamento della legge?" Rispose Gesù: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima, e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile a questo: amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22,24-40).

Il S. Padre, introducendo il Sinodo, così esaltò l'amore di Dio per noi: "Se l'amato, l'amore, è il più grande dono della mia vita, mi è vicino, se posso essere convinto che colui che mi ama è vicino a me, anche in situazioni di tribolazione, rimane nel fondo del cuore la gioia che è più grande di tutte le sofferenze...occorre accorgersi della presenza del Signore vicino a noi, e non essere sordi, perché le orecchie sono a volte talmente piene di tanti rumori del mondo, che non possiamo sentire questa presenza silenziosa, che bussa alla nostra porta...Orecchie piene di altre cose, al punto che non sentiamo l'essenziale.

I Vescovi invece devono essere immagini di Dio, impegno spesso difficile, che richiede un esame di coscienza regolare per riparare una rete apostolica, quella della missione affidata, che non funziona bene, quasi fosse strumento da rifare, corda rotta da riparare".

E credo proprio che tanti, anche tra di noi, si sentano "strumento da rifare, corda da riparare". Diventa allora necessario che tutti, a cominciare da me, ci domandiamo se siamo ancora strumenti usati, corde usate, o messe in disparte, creando un silenzio sulla fede che è colpa, o se dobbiamo fare qualcosa per ripararlo, in modo che lo strumento, ossia la missione, torni a suonare il canto del Vangelo fino ai confini della terra.

Ho conosciuto tante mamme e papà che non hanno più lacrime da versare nel vedere come i loro figli si siano allontanati dalla fede e provino persino fastidio nel sentirne parlare. E' come perdere un figlio: dolore atroce.

Così come tanti non sanno a che attribuire la loro solitudine o noia della vita, e la sola causa è la mancanza della dolcezza, della luce della Parola del Padre, che diventa dolce melodia dell'anima nel Vangelo. Senza pensare a quella metà della popolazione del mondo, dove non è ancora arrivata la notizia che c'è un Padre che li ama e che li vuole figli, felici con Lui.

Diventa lezione di missionarietà insuperabile quella di S. Paolo, che fece della sua vita un continuo viaggiare per il mondo allora conosciuto. E le sue parole sono oggi una condanna alla nostra pigrizia che ci frena dal fare un passo nel dire la Parola al vicino o addirittura tra le pareti di casa.

Diventano un provvidenziale esame di coscienza le fatiche dei missionari che non esitano un istante ad affrontare le difficoltà del mondo che non conosce Dio, fino a giocarsi la vita nel martirio. Non può che andare, il nostro pensiero affettuoso, grato, a questi fratelli e sorelle che ogni giorno spendono la propria esistenza, condividendo gioie e speranze, difficoltà e sofferenze, e sono tante, tutto per testimoniare e donare l'amore del Padre.

E' scritto a caratteri d'oro nella mia memoria l'incontro e l'esempio di un grande vescovo, che seppe incarnare e diffondere il Vangelo in situazioni drammatiche. Era il Card. Francois Xavier Noiyèn Van Thuano. Era vescovo a Saigon nel Vietnam dominato dai comunisti. Venne imprigionato per la sola ragione che era vescovo cristiano e confinato in un carcere "duro", del tutto isolato dalla sua Diocesi e sottoposto ogni giorno a indottrinamento dell'ateismo. Andando in prigione chiese una "medicina" necessaria per la sua salute: ossia una bottiglia di vino, che gli fu concessa. Visse in una cella con la compagnia dei carcerieri. Ma lui si sentiva missionario, legatissimo alla sua Diocesi, predicando il Vangelo così. Ogni giorno, a sera, quando sapeva di non essere osservato, si metteva in ginocchio, versava tre gocce di vino sul palmo della mano e con un pezzettino di pane, che risparmiava dalla mensa, celebrava la S. Messa. Incredibile! Il suo esempio però non sfuggì ai suoi carcerieri che lentamente si accostarono alla religione, chiedendo di essere battezzati e partecipando alla sua Messa con gioia. Venne liberato e invitato a espatriare dopo 18 anni di quel duro isolamento. Lo incontrai su un piccolo aereo, che ci portava a Bove nel cuneese per una marcia della pace. Mi colpiva la sua serenità incredibile. Portava al collo una croce, come la portiamo noi vescovi. Ma la sua era fatta con il legno e del metallo sottratto alle carceri e la catena era di filo spinato del carcere. Insisteva per farmene dono. Non l'accettai perché era una stonatura su di me.

Fu fatto cardinale e prefetto del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. E chi meglio di lui poteva parlare di giustizia, di pace? La giornata vissuta con lui, che mi chiama "il suo dolce amico Antonio", è stata come una grande lezione di missione. Per me e credo per tutta la Chiesa.

Così come ricordo un altro mio grande amico comboniano, con cui vissi un periodo tra le macerie e le baracche, dopo il terremoto dell'Irpinia, a S. Mango sul Calore. Era di una giovinezza dello spirito incredibile e tipica di chi Gesù non l'ha e non lo dona solo con la parola, ma di più con un sorriso che la diceva lunga sull'amore del Padre. Aveva una passione: andare in missione. Si chiamava Padre Lele. Era giovane, di una bellezza di volto e di spirito che era già missione. Finalmente fu accontentato e fu mandato missionario in Brasile. Dopo solo tre mesi fu trucidato ed ora è martire. Davanti a questi esempi, che dire della nostra passività di fronte al nostro compito missionario, ovunque Dio ci pone?

Non c'è che lasciarsi trascinare dal loro esempio e vivere la gioia della missione. Ma saremo capaci di uscire dal pericoloso silenzio, che a volte ci fa' chiudere la bocca o per timore o perché, come dice il Santo Padre, siamo strumenti da rifare o corde da riparare?

Con Madre Teresa, divenuta oramai compagna nelle nostre riflessioni, prego:

"O Signore, fa sì che ogni uomo sulla terra conosca la Bibbia.

Suscita in loro la fame della tua Parola e lascia che sia il nostro pane quotidiano.

Fa' che quanti sanno leggere guardino al Vangelo con i propri occhi;

mentre quanti non sanno leggere incontrino altri che possono leggere per loro.

Ma più di tutto, altro non chiediamo che la tua Parola si compia.
E Tu usaci per farla conoscere e realizzarla".

 

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