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TESTO Che ambientino, quella vigna...

don Alberto Brignoli  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (04/10/2020)

Vangelo: Mt 21,33-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:

La pietra che i costruttori hanno scartato

è diventata la pietra d’angolo;

questo è stato fatto dal Signore

ed è una meraviglia ai nostri occhi?

43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.

Dopo aver letto il brano di vangelo di oggi (ma anche la prima lettura), al termine di quella che possiamo chiamare “la trilogia della vigna” - se prendiamo in considerazione i vangeli delle due domeniche precedenti - mi viene semplicemente da dire: “Che posticino, questa vigna!”. A quanto pare, non ha una gran bella fama, visto che per riuscire a trovare operai che ci vadano a lavorare, il padrone deve uscire parecchie volte, nell'arco della giornata, a cercare qualcuno che voglia andarci. E ti credo! Se il padrone è così “onesto” da pagare un bracciante per dodici ore di lavoro tanto quanto paga uno che ha lavorato solo un'ora, difficilmente troverà dei “fessi” disposti a farsi fregare in quel modo... Basta vedere che “amore” hanno gli stessi figli del padrone, verso la vigna del papà! Al suo invito di andare un po' anche loro a lavorare in vigna, uno gli dice subito di no, secco: è vero che poi alla fine ci va, però, di colpo, la reazione non è proprio così entusiastica... Quell'altro è un po' più furbo: non ha proprio nessuna intenzione di andare nella vigna, ma - un po' per non fare la figura del disobbediente, un po' per non far rimanere male il papà - dice subito di sì, e poi sappiamo bene come va a finire...

Finalmente, questo padre-padrone riesce a trovare dei contadini affittuari ai quali dare in concessione quella vigna alla quale, pare, lui tiene davvero tanto, vista la passione che ci mette nel crearla e nel prendersene cura, con tutta una serie di strutture (siepe, torre, torchio per pigiare subito dopo la vendemmia) che ne fanno un'eccellenza. Si potrebbe dire che mette in mano ai concessionari un vero e proprio gioiellino, dove lavorare può diventare davvero un piacere e dare molte soddisfazioni. Si vedrà, ovviamente, al momento della vendemmia. Cosa che arriva, puntualmente come ogni anno: e puntualmente, la vigna si rivela in tutta la sua drammaticità come quell' “ambientino” per la quale si è fatta conoscere.

Avviene, infatti, che i servi incaricati di prendere la parte di raccolto che, come da accordi, spetta al proprietario, non vengono proprio trattati “con i guanti”: anzi, nella migliore delle ipotesi vengono presi a bastonate e pietrate in testa, mentre ai più sfortunati tocca pagare con la vita. E non solo una volta, a quanto pare: il padrone, forse anche un po' sprovveduto, continua a mandare servi, in numero sempre più grande, a riscuotere il dovuto, ma l'esito è identico. È talmente sprovveduto, questo padrone, che alla fine decide di mandare il proprio figlio: quale dei due, non lo sapremo mai, ma di sicuro sappiamo che è l'erede di tutto, il successore di suo padre. E lì, le intenzioni diaboliche di questi contadini dai metodi quantomeno discutibili, si manifestano nella loro pienezza: anche loro, come il padrone, erano appassionati a quella vigna. Non, però, con l'amore passionale di chi l'ha creata, voluta e amata, ma con la passione cieca di chi vede, nella vigna, una sola cosa: una fonte di guadagno, un'occasione d'oro per lucrare, un luogo di cui approfittare per fare soldi sfruttando la latitanza del padrone, che manda sempre qualcuno al proprio posto, ma lui non si fa mai vedere di persona. E quale occasione migliore se non quella di prendere l'erede, rapirlo e chiedere un riscatto al padrone? Anzi, no, si può fare ancor meglio: lo si prende, lo si ammazza, si fa sparire il corpo fuori dalla vigna (in questo, ai gruppi malavitosi la creatività non manca), e quando il padrone verrà a saperlo gli si racconterà qualche storiella credibile e gli si proporrà di poter avere la vigna non solo in concessione, ma in proprietà. Mal che vada, se non accetta, potrà fare la fine del figlio pure lui: e se nessuno vede e sa nulla, il gioco è fatto.

Come sia andata a finire, non lo sapremo mai: nel racconto di Matteo, Gesù chiede alle autorità religiose (a cui aveva già dedicato la parabola dei due figli) cosa avrebbero fatto loro, nei panni di quel padrone. La risposta è abbastanza scontata, da parte di persone che hanno ancora un minimo di senso della giustizia, ed è anche drastica: chi ha ucciso, pagherà il crimine con la stessa moneta, e verrà sostituito da un altro gruppo di contadini affittuari che, si spera, possano essere più onesti nei rapporti con il padrone. Non l'avessero mai detto... Gesù non solo non disapprova la loro risposta, ma prende la palla al balzo e gliela ributta in faccia, facendoli uscire allo scoperto: quei contadini assassini e malavitosi siete voi, e adesso la vigna (o meglio, il Regno di Dio, per essere ancora più espliciti), vi verrà tolta e data a chi sarà capace di produrne i frutti invece di cercare di impossessarsene. E si dimostra ancora clemente, visto che non parla di farla loro pagare a prezzo della vita. Cosa che, invece, faranno loro con il Figlio di Dio, così come i vignaioli hanno fatto con il figlio erede: infatti, subito dopo questo episodio, Matteo dice che “i capi dei sacerdoti e i farisei, capendo che parlava di loro, cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta”. Cattura rimandata di pochi giorni, visto che Gesù è già entrato trionfalmente in Gerusalemme per la sua ultima Pasqua.

Col senno di poi, ovviamente, nessuno di noi catturerebbe oggi il Figlio di Dio per metterlo a morte. Eppure, noi catturiamo Dio e lo mettiamo a morte molto più spesso di quanto crediamo. E non lo facciamo solo in maniera personale con le nostre incoerenze e le nostre mancanze di fede. Lo facciamo anche in gruppo, comunitariamente, quando - invece di sentirci operai di quella vigna che è il Regno di Dio - ci sentiamo padroni, facendo il bello e il cattivo tempo all'interno della Chiesa: e allora, siamo invidiosi di Dio perché è misericordioso con gli ultimi, mentre noi pretendiamo essere portati in palmo di mano perché “cristiani impegnati”; e allora, ci prendiamo la libertà di prenderci gioco di Dio, trattandolo con tanta familiarità e tanta sufficienza da poterci anche permettere di dirgli di sì e poi fare quello che vogliamo; e allora, ci impossessiamo talmente tanto di certi spazi (che, badate bene, non ci siamo ritagliati noi, ma che il Signore stesso ci ha affidato all'interno di una comunità) da sentirci padroni assoluti di ciò di cui siamo solamente incaricati, e quindi servi, al servizio di tutti, mentre noi ci comportiamo come se tutti debbano mettersi al nostro servizio. E guai a chi ci porta via qualcosa!

La vigna del Signore, allora, non è un “ambientino” poco raccomandabile dal quale stare alla larga, ma un luogo scelto da Dio per manifestarci il suo amore, e quindi dobbiamo, per lei, fare ciò che ha fatto il profeta Isaia: “cantare un cantico d'amore per lei”, prendercene cura con tutto l'amore necessario, quello vero, quello che non si appropria mai di nulla e di nessuno, quello che si mette a servizio di chi ama perché sa che l'amore porti i frutti più belli.

Consapevoli, tuttavia, che neppure quelli sono per noi...

 

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