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TESTO Sta in cammino, sarai una benedizione

don Angelo Casati  

V domenica dopo Pentecoste (Anno A) (05/07/2020)

Vangelo: Lc 9,57-62 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,57-62

57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Il brano delle Genesi oggi ci ricordava la prima parola di Dio ad Abramo: "Vattene, dalla tua terra...". In realtà in ebraico suona così "lek leka", che letteralmente significherebbe "Va a te". Quasi gli dicesse: "Ti conviene andare, è meglio che tu vada, andare è la tua anima profonda": "Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò". Il testo ha appena finito di dire che la famiglia di Abramo ha trovato stabilità: "Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono". Viene messa in discussione la stabilità, una certa stabilità La parola "vattene" - voi mi capite - ha contraccolpo di spaesamento nel cuore. E invece, sposata alla parola che invita ad andare, c'è una benedizione.

Sentite: "Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione". Andare, una benedizione! E' bellissimo se stai in cammino diventi una benedizione. Se io ripenso alla mia vita, chi fu per me una benedizione? Certo Gesù, l'uomo che cammina. E poi donne e uomini di cammino. Furono per me una benedizione. Non i burocrati immobili, assertori di immobili pensieri, di immobili verità, sconosciuto a loro il pur che minimo brivido del sentimento. Anche la lettera agli Ebrei oggi ci ricordava Abramo, il nostro padre Abramo, padre di quelli che camminano, perché credere è camminare. Di lui scrive: "Partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende:..".

C'è la suggestione del verbo: "soggiornare". E dunque anche quando abiti un territorio vivilo come un soggiornare. E poi ecco l'immagine, a me cara, delle tenda. La tenda è mobile: per natura racconta arrotolamenti, spostamenti. In questa luce possiamo leggere il brano del vangelo di Luca un brano che può giustamente averci lasciato qualche turbamento in cuore. Siamo in un contesto di cammini. Per Gesù è l'ultimo strappo: si sale a Gerusalemme. E' scritto: "Mentre giungevano a compimento i giorni della sua salita, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme". Ed ecco il nostro brano, con i tre interlocutori e le risposte di Gesù. Pensate, è un dialogo in cammino, mentre si cammina. E' scritto: "Mentre camminavano un tale disse...".

I tre potrebbero essere semplicemente tre figure emblematiche, prototipi di tutti noi, delle nostre condizioni, delle nostre esitazioni a stare in cammino dietro a Gesù. Il disagio, che nasce dalle risposte, di Gesù, sorge dalla nostra conoscenza, per minima che sia, di Gesù. Ci chiediamo: dunque è un invito a non avere casa, a non dare sepoltura ai nostri cari, a non avere un gesto di riguardo nel congedarci da loro? Voi mi potreste portare pagine e pagine del vangelo che celebrano una sensibilità estrema di Gesù. Per di più, oggi, leggendo l'invito di Gesù a lasciare che i morti seppelliscano i morti, tutti noi, per la sensibilità che ci accomuna, andavamo d'istinto a uno dei mali della stagione che abbiamo alle spalle: quello di un numero a non finire di morti, seppelliti, privi del commiato tenero dei loro cari. Non può essere questo che chiede Gesù a chi lo vuole seguire.

E allora come interpretare? Non so se sbaglio, ma a me è parso di intravvedere un male, comune alle tre situazioni evocate dal vangelo: non è la casa in sé il male, non sono gli affetti in sé il male, non è la delicatezza dei sentimenti. Il male accade quando tutto questo diventa così prepotente, così dominante, così soffocante da impedirci di andare per le strade di Gesù e del suo vangelo. E non è forse vero che, nel nostro modo comune di esprimerci, talvolta fa capolino l'espressione: "i nostri legami affettivi". La parola "legami" apre una fessura.

E mi vengono d'acchito due immagini: gabbia o nido? Le cose più belle, le più sacre, possono diventare gabbia o, al contrario, possono essere nido, da cui volare: lo scorazzare per i cieli. La gabbia mi preclude i cieli, mi comprime le passioni alte, i pensieri nobili. Gabbia e tana - rintanarci - può diventare una casa, tana può diventare un amore, tana può diventare una economia, una politica, tana può diventare una società. E anche una chiesa. Il tutto potrebbe forse essere evocato con due verbi: amare e trattenere. I tre personaggi del brano sono "trattenuti". Vero amore è quando sei amato, ami... e non sei trattenuto.

Gesù a Maria di Magdala, la sua amica, nell'aria sospesa e trasparente del mattino della risurrezione, dopo l'emozione del riconoscimento alla voce, dice: "Non mi trattenere". Quanto amore in questa discepola e amica di Gesù! E non lo trattiene, amore non è trattenere. Se ami non puoi negare il viaggio dell'altro. L'amore saprebbe di sequestro. Il pericolo è in agguato: sono le piccole volpi del libro del "Cantico dei cantici" che rovinano le vigne. Il pericolo c'è, ma il Signore ci dona l'intelligenza di sorprenderlo e la forza di vincerlo. Si pensi come il massimo del trattenere, il più volgare e il più tragico, siano i femminicidi. Finestra aperta sul trattenere. Avverti gabbia e tana quando al cuore vien fatto di dire: "Ma qui non si respira, qui siamo nel paese della immobilità.

Le immagini dicono molto più delle mie parole. Vorrei mettere a confronto "casa" e "tenda". La casa per assurdo potrebbe richiamare il paese dell'immobilità; la tenda ai miei occhi evoca Abramo e la sua gente, evoca tutte le donne e gli uomini della tenda. A casa e tenda mi venne da pensare, anni e anni fa, ad un matrimonio. Renata lavorava nel campo della cooperazione internazionale.

Volli farle un augurio, le scrissi:

E forse più che una casa,
spenta immagine della mia fissità,
ho sognato per il tuo amore una tenda,
caldo rifugio per una notte.


Ma subito è il miracolo dell'alba
e tu, instancabile,
la vai arrotolando
alla ricerca di nuovi orizzonti.
Sempre oltre
per ininterrotti sentieri
che solo amore inventerà.


Andare di terra in terra,
di amore in amore
perdutamente
e all'ultimo orizzonte
scoprire che Dio
non era nelle stanche parole
nel gelo dei monumenti.
Era nel brivido
del tuo inquieto cammino.

 

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