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TESTO Parlate al cuore!

don Angelo Casati  

IV domenica T. Avvento (Anno A) (08/12/2019)

Vangelo: Mt 21,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 21,1-9

1Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, 2dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. 3E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». 4Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:

5Dite alla figlia di Sion:

Ecco, a te viene il tuo re,

mite, seduto su un’asina

e su un puledro, figlio di una bestia da soma.

6I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: 7condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. 9La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava:

«Osanna al figlio di Davide!

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

Osanna nel più alto dei cieli!».

Per dirci come viene, per ricordarci come viene - è avvento - la liturgia sceglie oggi il brano che racconta l'ingresso di Gesù nella sua città, Gerusalemme, quasi volesse farci puntare gli occhi su "come" entra colui che è l'atteso. Perché, vedete, il Messia non cambia stile. Cambia il panorama intorno a lui. Oggi è la nostra città. E in particolare, vorrei dire, la città che è in ognuno di noi: sì, il mio cuore, come una città. Non è forse vero che ci sono pezzi di città anche dentro di me? E strade, tante strade; e voci, tante e voci; e fermenti, tanti fermenti; e volti, tanti volti; e nubi e sole... E c'è anche il segno della mia povertà, della mia fragilità, del mio peccato.

A volte penso che se fosse tutto così perfetto in me, così limpido, potrei anche fare a meno dell'avvento. Perché mai dovrebbe venire? Oggi invece viene. Oggi viene. Perché questa è la mia città. E allora guardo come viene. L'hanno chiamato "ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme". Ma che cosa ci sia poi di così trionfale non lo so. Vorrei dirvi che quasi mi fa tenerezza. Gli ingressi trionfali non fanno tenerezza: nei migliori dei casi fanno spettacolo, e qui non c'è spettacolo; spesso sono all'insegna del suono delle trombe, rumore assordante, parate di soldati e di scorte, qui c'è voce di bimbi e scorta degli umili.

Negli ingressi ufficiali domina l'apparire, ci si fotografa, qui quasi si scompare, nemmeno un grumo di esibizione. E niente che odori di plagio di folle. E' un corteo che si è autoconvocato. E bastano cose da poco, perché alla fin fine basta il cuore, e cose da poco: i mantelli a disposizione sulle spalle, i rami a disposizione sugli alberi. Tutto così piccolo, povero. E' la festa - perché festa c'è - è la festa della piccolezza. Così viene Dio, viene il Messia. Come lo aveva preannunciato il profeta Zaccaria: "Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina" (Zc 9,9).

E allora dov'è il trionfo? Il nostro brano se leggiamo tra riga e riga, è un canto al trionfo dei piccoli, dalla piccolezza e della tenerezza: due parole che sono legate, sposate, abbracciate l'una all'altra: piccolezza e tenerezza. Quasi un sottovoce. Mi chiedo, esiste ancora il sottovoce? Voi che cosa dite? E il primo piccolo, nel segno della piccolezza, è Gesù. Noi abituati, per educazione atavica, all'immagine di un Dio onnipotente, pieno, così pieno da non aver bisogno di niente e di nessuno, ecco che assistiamo con sorpresa al venire di un Dio che ha bisogno. Abbiamo letto: "Il Signore Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: "Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un'asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: "Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito"".

Un Messia, povero, piccolo. Che ha bisogno - pensate - di piccoli. Piccola cosa un'asina e un puledro. Della stirpe dei piccoli anche il proprietario dell'asina e del puledro, quei piccoli che le loro piccole cose le sanno condividere. Ed è bellissimo, pensate a questa scena del piccolo proprietario e dell'asina con puledro che aiutano questo strano ingresso di Gesù! Il proprietario da lontano, con la su disponibilità immediata; l'asina da vicino, da vicinissimo, pelle su pelle e odore di stalle e profumi di prati. Aiutare il Messia, il piccolo, aiutare Dio da piccoli come siamo.

Qualcuno di voi forse ricorderà una pagina struggente di Etty Hillesum, la sua preghiera nella notte, dalla baracca di un campo di concentramento. Sveglia al buio, gli occhi che le bruciavano. Così parlava con Dio: "Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l'oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi.

L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, è anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini". Voi mi capite, un incrocio di piccolezze. I piccoli, al contrario degli arroganti di ogni genere, si riconoscono e si danno tenerezze. Il primo, a riconoscerci piccoli e a darci tenerezza, è Dio. Che viene su asino, l'asino lento e paziente e non su cavallo spavaldo e irridente. Sento Dio che viene e rallenta per il piccolo, che sono io.

Sarà forse per l'età, ma nel mio cuore si fa sempre più presente l'immagine che mi è stata consegnata oggi dal rotolo di Isaia: "Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri". Dolcemente. Un pastore che rallenta il passo sulla pecora ferita, stanca, gravida. Quella pecora, segnata da piccolezza e stanchezza, sono io. E Dio rallenta. E io lo ringrazio. A nostra volta, se ci rimane la consapevolezza di essere piccoli, anche noi diventiamo portatori di tenerezze. Chi è pieni di sè non può far posto, ma chi si sente piccolo sa di avere un vuoto in cui fare posto, fare posto alla tenerezza.

Leggevamo oggi nel rotolo del profeta Isaia: "Consolate, consolate il mio popolo - dice il vostro Dio - e parlate al cuore di Gerusalemme". Ecco l'intreccio: il Dio che entra in piccolezza, umile e mite, nella nostra città, anche quella dal nostro cuore, ci lascia oggi anche questi due bellissimi verbi, senza i quali non entri nella città o, se vi entri, i tuoi sono sproloqui da muto, le tue sono invasioni di cialtroni e arroganti: "Consolate e parlatele al cuore". Pensate, quante parole che non parlano al cuore! Per dire parole che parlino al cuore bisogna essere piccoli. Eppure quanto bisogno abbiamo di questi sguardi e di queste parole. Giorni fa una persona sensibilissima mi diceva, con un'ombra di tristezza negli occhi: "Io agli altri non porto parole belle". Ma non era forse già emozionante che avesse pensato come oggi sia urgente e prezioso "portare parole belle".

"Parlate al cuore!". Come fa Dio.

 

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