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TESTO Resurrezione: né reincarnazione, né rianimazione

don Giacomo Falco Brini  

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/11/2019)

Vangelo: Lc 20,27-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 20,27-38

In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Ricordo che un giorno, a tavola con alcuni collaboratori di una parrocchia che mi ospitava, ci si intrattenne a parlare circa la risurrezione dei corpi. Ad un certo punto un giovane papà intervenne: “beh, a me piacerebbe risorgere in un altro corpo, non necessariamente nel mio. Del resto, penso che magari risorgerò in un corpo di qualche animale, chi può saperlo?” Quel giorno mi resi conto ancor di più, se mai ce ne fosse stato bisogno, che oramai anche tra chi si professa “cattolico” è venuto meno l'abecedario della vita cristiana. Fu difficile cercare di chiarire a quel papà che come cristiano dovrebbe credere ad altro, che non si può parlare della resurrezione come fosse la reincarnazione. Bisogna ammettere che c'è molta confusione in giro e che “l'io penso che” o il “mi piace”, oggi prevalgono su un serio ragionamento anche circa le verità di fede.

Forse c'era un po' di confusione anche ai tempi di Gesù. I sadducei, una sorta di aristocrazia sacerdotale, erano fazione religiosa di Israele che accettava solo l'autorità del Pentateuco. Per loro solo la Torah era ispirata. Dunque essi non credevano alla resurrezione dei morti semplicemente perché, a loro dire, questi libri della Bibbia non ne parlano esplicitamente. Imitando i farisei loro avversari, tesero una trappola al Signore Gesù, ricorrendo ironicamente a un problema grottesco che si presenta davanti alla legge del levirato: se i corpi risorgono e, per rispettare questa legge in terra, si succedono sette fratelli defunti come mariti di una certa donna, alla fine, quando morirà quella donna, di quale dei sette sarà moglie in Cielo? (Lc 20,28-33) Gesù non si sottrae alla provocazione, senza ignorare l'insidia nascosta dietro la domanda. In fondo, il problema dei sadducei è lo stesso problema del giovane papà conosciuto anni fa. Pensare alla vita post-mortem con criteri della vita terrena.

Difatti, il Signore rivela che la vita futura è fatta solo per chi si apre alla novità di Dio. C'è una chiara distinzione che Egli opera tra i figli di questo mondo, e i figli che sono giudicati degni dell'altro mondo. L'attenzione di Gesù si concentra dunque sulla discontinuità tra mondo presente e mondo futuro, tra “questo” mondo in cui viviamo e “l'altro” mondo verso cui camminiamo. In altre parole, in tema di risurrezione dei corpi, non se ne può parlare propriamente con le categorie della vita presente. Per questo Gesù afferma che i risorti non prendono né moglie né marito e che non possono più morire perché sono uguali agli angeli (Lc 20,35-36). La nostra fatica intellettiva sarà sempre quella di tenere unite questa verità e l'altra che sottolinea invece la continuità tra vita presente e futura. Ovvero: quello che vivo e come lo vivo sulla terra, “prepara” il mio futuro nell'eternità.

Bisogna però dire che la fede nella resurrezione in Israele si esprime piuttosto tardi. La 1a lettura di oggi è una delle sue formulazioni più esplicite (2Mac 7), ma ce ne sono varie di altrettanta importanza (cfr. Sap capp.3-5, Ez 37,13 ss.). Questa fede non parte da un postulato filosofico tipicamente greco come l'immortalità dell'anima, ma dall'esperienza storica delle promesse divine. Ciò che la fonda è la fedeltà dell'amore di Dio che non può arrestarsi davanti alla morte: se davvero le cose stanno così, la sua potenza è capace di vincere la morte facendoci in qualche modo ritornare a vivere, anche se non è più la stessa vita di prima: la resurrezione non è rianimazione di un corpo. È una delle espressioni più belle della 1a lettura di oggi sulla bocca piena di incrollabile speranza del quarto fratello condannato a morte: è preferibile morire per mano di uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da Lui di nuovo risuscitati (2 Mac 7,14)

Passiamo alla parte conclusiva del vangelo. Non possiamo sorvolare sulla geniale capacità di Gesù di scendere sullo stesso terreno biblico in cui si muovevano i sadducei (Pentateuco), per cercare di aprirli alla verità della resurrezione proprio a partire dalla rivelazione mosaica di Dio. La progressione di questa infatti, lo fa manifestare a Mosè come il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe (Es 3,6) che, nel testo, non è mera espressione per dire che si tratta del Dio della storia di Israele. Se infatti nel rivelarsi Egli resta ancora il Dio di, cioè Colui che è entrato nella storia di uomini che sono morti, significa che questi ultimi necessariamente risorgono. Quel “di” è da intendersi come appartenenza: Dio oramai appartiene ad Abramo, Isacco e Giacobbe perché essi vivono ancora con Lui e viceversa. Diversamente, non sarebbe il Dio di viventi come afferma Gesù (Lc 20,38). Dio è il futuro di vita promesso ad ogni essere umano, se lo vuole. Siamo destinati a una vita assolutamente nuova che “assaggiamo” realmente già su questa terra ma sulla quale, per ora, possiamo solo balbettare.

 

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