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TESTO Voi, pane per me

don Angelo Casati  

IV domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (22/09/2019)

Vangelo: Gv 6,51-59 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Perdonate - ma mi accade un po' sempre così - sono vecchio, ma mi lascio sedurre ancora dalla bellezza delle parole e della immagini. Che sono custodite anche nei testi sacri. Due in particolare mi hanno sedotto nelle letture di questa domenica, due immagini che si richiamano, e quasi si abbracciano: la tavola e il pane. Prima lettura: “La Sapienza ha imbandito un tavola”. Vangelo di Giovani: “io sono il pane vivo disceso dal cielo”.

Tavola e pane. Se vuoi dare forza e vivacità a queste affermazioni, devi lasciare alle parole “tavola” e “pane” tutta la loro verità, intensità e bellezza. Se no, spegni. Starei per dire che tutto dipende da come tu guardi una tavola, da come tu guardi un pezzo di pane.

Può succedere che alle cose si sia fatta l'abitudine. Come se non fossero. Si può fare purtroppo l'abitudine anche alle persone. Come se non fossero. E allora scolorisci, per esempio, la parola “tavola”, la parola “pane”. Leggi le parole di questa domenica senza sorpresa. Le cose diventano mute.
In una sua poesia un'amica, Chandra Livia Candiani scrive:
"Niente, è che a me piacciono da sempre le cose mute,
quando l'io zittisce
e si alza il volume della voce
non solo degli uccelli
ma anche del silenzio dell'armadio
e del tavolo
della lampada e del letto.
Allora niente,
vivo in una nuvola di luce
dove tutto rabbrividisce
e fa parola, allora bevo
all'orlo del mondo
alla sua fontana".

Vorrei in qualche misura restituire voce alle cose mute, alzare su di loro il volume. Tra queste la tavola e il pane.

Per dire innanzitutto la bellezza che ci sia imbandita una tavola. Sento la voce della tavola.

La tavola, guardala - se poi è di legno! -: racconta. Racconta un indugio: tavola e sedie non sono solo in funzione del cibo, ma anche di una sosta. A volte prima, a volte dopo aver mangiato. Sono il racconto di una convocazione. Anche di Dio. Convocati intorno al tavolo sono i volti. Quasi che la fattura della tavola fosse stata ideata per guardarsi. Quasi che, se a tavola non ci si guardasse, il tavolo rimarrebbe con una ferita, depauperato della bellezza della sua natura profonda, la natura del convenire.

Anche il Salmo racconta la bellezza della convocazione, per una delle tante famiglie. E racconta:.
La tua sposa come vite feconda
nell'intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d'ulivo
intorno alla tua mensa.

Colpisce questo sguardo dalla mensa, lo sguardo dell'uomo alla sposa e ai figli radunati intorno a una tavola, una attenzione alle persone, quasi favorita dalla tavola. L'uomo, nelle

parole del Salmo, non solo osserva, ma diventa in qualche misura poeta: in cuor suo dà immagini di vite e di virgulti d'ulivo alla sua donna e ai suoi figli. Una tavola dunque anche per contemplare, per contemplare la bellezza di amarsi. Succede anche quando a tavola hai convocato un amico, un'amica. E ci si guarda, anche in assenza di parole. Una festa negli occhi.

Ci sono i silenzi, pause di silenzio intorno alla tavola, ma anche parole, un indugio in parole che potrebbero diventare racconto. Tra i sogni, di tanti di noi. rimane una tavolo intorno alla quale ci si possa raccontare. Accadeva una volta. Oggi è diventato quasi un miraggio, sempre più a fatica coincidono i tempi dell'uno e dell'altro e, quando per grazia accade, duro è resistere all'invasione, alla fascinazione prepotente dei mezzi di comunicazione.

Che emozione allora sentirci dire che Dio ha imbandito per noi una tavola.

E ora sfioro, ma solo sfioro l'immagine del pane, sosta breve, sull'altra immagine, quella del pane. Se la scoloriamo, scoloriamo Gesù che ha detto “Io sono il pane vivo disceso dal cielo”. “Sono pane”: Gesù si è lasciato - anche questa mattina si lascerà - in un pezzo di pane. Che racconta la sua vita, la sua morte, la sua risurrezione. Un piccolo umile pezzo di pane, l'eucaristia.

E dice “Io sono il pane vivo disceso dal cielo”. E, ancora: “Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”. Dunque un pane che mi nutre, nutre la mia vita, la mia sete di vita, la mia sete di umanità, mi dà voglia di vivere. Voi mi capite, si apre un'altra fessura da cui guardare per capire e dire chi è Gesù. Chi è Gesù? E' pane. E lo sguardo mi va a quel pezzo di pane, muto nel suo abbandonarsi a noi, che sta sulla tavola dell'altare e sta poi nell'incavo delle nostre mani. Mi nutre, mi dà vita. Spezzandosi.

E Gesù - voi lo avete colto - personalizza. Pane, le persone. Pane, lui.

Come è vero. E come sono grato a Gesù di essere stato per me, nonostante tutte le mie infedeltà, pane per la mia vita, ha nutrito i miei giorni, i miei lunghi giorni e ancora li nutre quando ascolto le sue parole, quando prendo il suo pane, pane della tavola della convocazione.

Pane diventa una persona. Lui Gesù. Ma anche noi. Ecco l'invito a essere pane. A dare vita, a dare fiducia, a dare incoraggiamento, a nutrire speranze, a nutrire sogni di convocazione, il pane per tutti. Negli occhi ci rimangono le convocazioni di Gesù sull'erba dei monti. E fu pane per i cinquemila e anche per le donne e i bambini. Ed è scritto che mangiarono tutti e raccolsero anche sporte di frammenti avanzati. Questo, anche questo significa esser pane:, avere questa passione. Perché il pane, nella sua natura piò profonda, ha iscritto di essre pane per tutti. Gesù è stato pane per tutti. E io? Essere pane.

Ebbene vorrei dirvi che, proprio pensando che sono pane per noi le persone, mi ha attraversato una domanda. Vorrei lasciarla a me e a voi, ed è questa: se penso alla mia vita di chi posso dire: “è stato pane per me”? Certo di Gesù. Ma poi non mi si affacciano forse altri volti, di fronte ai quali potrei dire in assoluta verità e con commozione: “Tu sei stato pane per me. Mi hai dato forza, coraggio, brividi, spinta a continuare, passione per una umanità buona. Mi hai nutrito con i tuoi occhi, con i tuoi racconti, con i tuoi abbracci, con la tua attenzione, con la tua tenerezza, con la tua disponibilità”.

Che bello sentirci fratelli e sorelle di pane. Che Dio possa renderci tutti “buoni come il pane”, buoni un po' come lui, che è il pane disceso dal cielo.
LETTURA Pr 9, 1-6

Lettura del libro dei Proverbi

La sapienza si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino e ha imbandito la sua tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città: «Chi è inesperto venga qui!». A chi è privo di senno ella dice: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l'inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza».

 

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