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TESTO Amare? Bisogna!

don Maurizio Prandi

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno B) (11/03/2018)

Vangelo: Gv 3,14-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Dopo il deserto, dopo il monte della Trasfigurazione, dopo il tempio, la Croce! Bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato! Il figlio dell'uomo è una definizione bella, che mi piace, ed è quella preferita da Gesù per indicare se stesso e designa l'essere umano nella sua condizione di fragilità, nella sua carne, creaturalità ferita dal peccato (cfr. Sal 8,5). Perciò ha il senso di “uno che appartiene all'umanità”, e come tale esposto alla sofferenza e alla morte. In questo modo Gesù rivela ancora una volta il volto di un Dio solidale con la condizione dell'uomo. Ricordo che qualche anno fa riassumevo così la liturgia della Parola di oggi: un Dio vulnerabile. Mi piace ripartire proprio da qui allora, dalla vulnerabilità di Dio (l'intuizione chiaramente non è mia ma di don Angelo Casati), perché ci consente prima di tutto di avere una conferma circa il cammino che fino ad oggi abbiamo fatto insieme e che ricordavo poche righe sopra. Intendo dire che il Dio che abbiamo contemplato le scorse domeniche come tentato, consegnato e appassionato, non può dirci altro di sé se non la sua vulnerabilità e non certamente la sua potenza o grandezza. L'ascolto di oggi lo trovo lo sbocco ideale del vangelo di domenica scorsa, quando abbiamo provato a lasciarci accompagnare dalla passione, dallo zelo di Gesù; lo sbocco ideale perché avere una passione significa anche avere un debole, per qualcosa o per qualcuno; avere una passione, provare una passione significa anche, in un certo senso, prestare il fianco; di più: avere una passione significa lasciarsi raggiungere, ferire, toccare e allo stesso tempo significa voler bene, amare, investire un altro dei nostri sentimenti.

Bisogna. Gesù deve passare di lì, la strada è quella (lo diceva bene Diego venerdì sera alla condivisione) e sembra chiaro che per Gesù la croce (come spesso diciamo), non è un incidente di percorso, ma al contrario: l'essere innalzato è la parte più importante della sua vita, non ne può fare a meno, non è una cosa tra le tante che ha fatto! È davvero il fatto, l'avvenimento di cui Gesù non può fare a meno.

E io? Ne posso fare a meno di quel Signore Crocifisso? No, non ne posso fare a meno; ma se la battaglia fosse unicamente quella per mantenerlo appeso alle pareti di un luogo pubblico, povero me, povera chiesa! Se bastasse un crocifisso appeso per dire quali sono le case cristiane o i luoghi cristiani, troppo facile! Bisogna che Gesù sia innalzato perché quello è il modello, è l'esempio: la Croce e l'amore che vi è racchiuso sono il modello e l'esempio! Non basta portarlo al collo, ma devo domandarmi se la mia vita, la vita della mia comunità e della mia chiesa è secondo questo modello (Casati). E sulla croce un Dio che non fa miracoli; glielo chiedono: scendi! Ma lui resta lì, ed è il miracolo più grande, quello della fede delle persone, quello del credere in lui, quello che succede dentro il cuore di un centurione: veramente quest'uomo era il Figlio di Dio, e quello che succede dentro il cuore di un delinquente, di un ladrone innalzato con lui: ricordati di me.

Si chiarisce anche il vangelo di domenica scorsa, quando Gesù decise di non consegnare la sua vita a chi credeva per via dei segni che faceva. Non puoi credere grazie ai segni ma credi in un Dio innalzato per amore del mondo, solo per amore del mondo. Mi piace molto quello che scrive don Daniele Simonazzi: sulla croce non è innalzato solo Gesù, ma anche Dio con lui; così come quando un bimbo è all'ospedale la sua mamma sta con lui, anche nella croce di Gesù non solo c'è Gesù, ma anche Dio! Gesù dona la sua vita non perché se la sente di farlo, ma perché deve, perché bisogna dice il testo. Ricordate qualche domenica fa? Se vuoi, Gesù, puoi guarirmi. La carità, la misericordia, l'amore, il servizio, sono cose che facciamo non perché ci sentiamo di farle, no! Sono una cosa voluta! Don Daniele (e anche io ma questo porta conseguenze e problemi, non è certamente qualcosa a buon mercato!) è convinto che amare si deve, perché per Gesù amare è un deve, bisogna anche nei confronti di chi amabile non è; più vengono meno i motivi per cui voler bene, più il mio voler bene dipende da una scelta che è la scelta che Gesù ha fatto perché Dio, per primo, l'ha fatta!

Anche la prima lettura infatti sottolinea la vulnerabilità come scelta di Dio. Il libro delle Cronache ci racconta di come Dio ami ancora una volta gratuitamente, anzi, in perdita. La lettura del libro delle Cronache dà una visione dell'alleanza tra Dio e il suo popolo: si nota il contrasto tra l'infedeltà del popolo e la fedeltà di Dio. In un primo tempo l'ira di Dio si manifesta nella distruzione di Gerusalemme e del tempio; ma questa ira è provvisoria e lascia poi il posto al trionfo dell'amore e del perdono di Dio. Il decreto di Ciro che permette il ritorno degli esuli è il segnale della rinascita di Israele; il peccato, per quanto grave non ha cancellato la fedeltà di Dio. Questo amore ostinato credo si possa vedere bene nell'amore che Dio ha, come dice S. Giovanni, per il mondo: il mondo ha, nel vocabolario dell'evangelista, una connotazione negativa, indicando quella realtà concreta della storia umana che si è realizzata come lontana da Dio. Il mondo è la realtà da cui il cristiano deve guardarsi, ma è nello stesso tempo quella realtà che Dio ama al punto da renderla degna del dono del suo Figlio unigenito. Dio ha amato il mondo, cioè ha amato l'uomo concreto, l'uomo della sfiducia, l'uomo del peccato, l'uomo dell'allontanamento da lui. In questo concetto sta un po' tutto l'agire di Dio. L'amore incondizionato che Dio ha del mondo lo esprime dando il suo Figlio unigenito o come alcuni traducono, gettando il suo Figlio unigenito.

 

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