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TESTO Se non è amore, non è Dio

don Alberto Brignoli  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (29/10/2017)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Ogni gruppo sociale, e non solamente gli Stati, ha le sue leggi e i suoi regolamenti. Gli Stati hanno l'obbligo di legiferare e di far rispettare le leggi; ma ogni aggregazione o istituzione, anche se non è retta da un'autorità politica che assicura il bene comune attraverso il rispetto delle leggi, è chiamata ad avere delle regole, che tutti i suoi membri sono chiamati a rispettare. Uno Stato è comprensibilmente retto da leggi, senza le quali non potrebbe funzionare. Anche un gruppo o un'associazione di persone è bene che abbia un proprio statuto che ne regoli i comportamenti e le scelte. Qualche fatica in più la faccio quando cerco di capire perché una religione o un gruppo di credenti debba avere bisogno di regole per raggiungere i propri obiettivi onestamente, poiché l'unico obiettivo che una religione può avere credo sia quello di far incontrare l'uomo con Dio. E sinceramente, non capisco quali regole o comandi occorra rispettare per stare uniti a lui.

Eppure, il popolo d'Israele trovava nella legge di Mosè un pilastro fondamentale sul quale costruire il proprio rapporto con Dio. Al suo interno, in modo particolare, c'era una setta di fedelissimi alla Legge, talmente fedeli da considerarsi diversi, “separati” dagli altri, separati come indicava il loro nome, “Farisei”. Separati dal “popolino” per attaccarsi a Dio attraverso la Legge in maniera spasmodica, ossessiva: come se Dio coincidesse con la Legge. Ed è con questa presunzione che un fariseo, per di più dottore della Legge, un laureato, professionista del tema, si avvicina a Gesù e lo interroga sulla Legge “per metterlo alla prova”, non tanto sulla sua conoscenza della Legge (si presume che anche Gesù, come ogni buon rabbino, conoscesse bene la Legge di Mosè), quanto sulla gerarchia di valori che, all'interno della Legge, egli avrebbe codificato. I farisei avevano un'idea molto chiara su quale fosse il “grande comandamento”, quello che tutti erano chiamati a rispettare perché era il primo voluto da Dio, ossia il sabato. Dall'osservanza del sabato, poi, seguivano tutti i comandamenti e i precetti: ma soprattutto, l'osservanza del sabato era così stretta che non avrebbe dato scampo a interpretazioni, come Gesù invece aveva dimostrato più volte di fare.

Ma il Maestro è troppo accorto per farsi tirare dentro nelle trame dell'inganno dai farisei: non risponde con il comandamento del sabato (altrimenti gli avrebbero chiesto conto del perché lo violasse ripetutamente), ma con un comandamento che non è e non può essere un comandamento. Gesù risponde con un principio, con un annuncio, con un kerygma, come direbbero i cristiani dell'epoca apostolica, ovvero con la proclamazione di una verità che sa di liberazione, più che di vincolo, di libertà, più che di comando: risponde con lo Shemà' Israel, il principio della fede d'Israele, basato non su un obbligo, ma su quella dimensione della vita che più di ogni altra è fondata sulla libertà, ossia l'amore. Amore a Dio, con tutto noi stessi, come risposta al suo amore; amore al prossimo, come conseguenza dell'amore che Dio ha per noi. E anche nella formulazione dello Shemà', Gesù risponde a modo suo, con una formula che al dottore della Legge non dev'essere garbata per nulla, anzi, dev'essergli suonata come bestemmia, proprio perché pronunciata differentemente da come Dio l'aveva rivelata a Mosè. Nel deserto, infatti, Dio aveva annunciato che l'amore verso di lui era “con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze”; Gesù fa venire meno “le forze” e le sostituisce con “la mente”, che non sono propriamente la stessa cosa.

Amare Dio con tutte le forze significa sforzarsi fino in fondo per rimanere attaccato a Dio e manifestargli il nostro amore, magari attraverso una serie di opere (e i farisei in questo erano esperti) volte a concretizzare questo amore; la mente, invece, nella cultura ebraica, è il luogo non tanto del pensiero e della riflessione, quanto dell'accoglienza di Dio che incontra l'uomo “ispirandolo”, entrando nella sua mente prima ancora che nel suo cuore. Amare Dio con tutta la mente significa allora lasciare che sia lui a pervadere il nostro cuore con il suo amore, che ci salva e ci ama indipendentemente dalle nostre molte o poche opere, dalle nostre buone o cattive azioni. Ci ama incondizionatamente: anzi, no, pone una condizione, o meglio una conseguenza del fatto che egli ci ama da sempre in maniera gratuita. Ci chiede di rendere visibile il nostro amore per lui non con una serie di norme e di precetti, ma con l'amore concreto e sincero verso il prossimo, che è da amare “come noi stessi”, ovvero dobbiamo volere per lui lo stesso bene che vogliamo a noi e per noi.

Lo vogliamo, allora, dire meglio questo amore a Dio e al prossimo che, in fondo, sono la stessa cosa? Vogliamo chiedere a Gesù che ci dica, oggi, cos'è secondo lui l'amore?

Oggi Gesù ci dice che l'amore non è un comandamento, perché se senti l'amore come un comandamento, come un obbligo, come qualcosa di dovuto, qualcosa che devi fare, allora non è più amore. L'amore è un annuncio, non un obbligo; un grido di liberazione, non un lamento di schiavitù; è un respiro di vita, non è un affanno di morte. Se l'amore non è libero, spontaneo, immediato, non è amore; se l'amore non ti coinvolge tutto, cuore, anima, mente, le tre cose insieme, non è amore; se l'amore è solo cuore, ovvero sentimento, senza essere anima, animazione resa viva in un corpo e attraverso un corpo, non è amore; se l'amore è solo anima, vita corporea, senza essere cuore, ovvero senza sentimento, non è amore; se l'amore è solo mente, cioè pronto solamente a ricevere da Dio una vita di grazia senza poi essere condiviso con il nostro prossimo, non è amore.

Se riteniamo che amare Dio significhi - come per i farisei e i dottori della Legge - rispettare i precetti, le norme e le leggi che la religione (qualunque essa sia) ci “impone”, e soprattutto se pensiamo che sia sufficiente così, è una cosa troppo semplice, e quindi non può essere amore; se riteniamo che una volta che abbiamo amato Dio, sia pure con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente o le forze, possiamo ritenerci a posto con lui, questo non è amore; se viviamo l'amore come un peso perché faticoso da portare avanti, non è amore; se riteniamo di amare Dio perché nei suoi confronti non trasgrediamo un solo comando o un solo precetto, non è amore.
E se non è amore, non può essere Dio.

 

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