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TESTO Là dove germoglia il Regno

don Angelo Casati  

Domenica di Cristo Re (Anno C) (06/11/2016)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 25,31-46

31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Ultima domenica dell'anno liturgico. E poi, per noi ambrosiani, sarà avvento. Abbiamo, domenica dopo domenica, ripercorso la vita di Gesù, desiderosi, poveri come siamo, di seguire le sue orme. "Per che cosa è venuto?": ci potremmo chiedere. E questa solennità risponde alla domanda "E' venuto per dare inizio al regno di Dio". Questo era il suo sogno, a questo ha dato inizio e questo ci ha affidato.

Non so se sono troppo ottimista, ma a me sembra che alcuni fraintendimenti del passato siano stati, almeno in parte superati. Per esempio il fraintendimento di pensare che il regno di Dio sia la chiesa. La chiesa non è il regno di Dio; se fosse tale, sarebbe un regno di Dio ristretto e non universale e Gesù sarebbe venuto per i pochi e non invece per la moltitudine. La chiesa non è il regno di Dio, ma è al servizio del regno di Dio.

Esiste - questa è la sua vocazione e la sua ragione d'essere - esiste con la passione di far crescere il regno di Dio. Può ridursi anche a un piccolo gregge, ma ha dentro questo anelito, questa passione: per il regno di Dio. Cioè per un mondo come lo sogna Dio, un mondo umanizzato, perché sempre tentato di disumanizzazione. Il prefazio della messa d'oggi ne dà alcuni connotati: "un regno universale ed eterno, regno di santità, regno di giustizia, di amore e di pace".

Voi mi capite, là dove vedete segni di universalità e non di chiusura, là dove vedete segni di santità, di una vita limpida e non corrotta, là dove vedete segni di giustizia, la passione per una vita degna per tutti, là dove vedete segni di amore, gesti di attenzione e di cura dell'altro, là dove vedete segni di pace, tentativi di riconciliazione a tutti i livelli, da qualunque parte provengano i segni, dite: "lì sta crescendo, sta germogliando, sta maturando il regno di Dio". Purtroppo ci son forze - ma possiamo essere anche noi - che remano in senso contrario, non per liberare l'umanità, non per liberare le energie di vita che pulsano in ognuno di noi, ma per sottomettere e soffocare.

Le scritture sacre non indulgono all'ingenuità. Ci sono forze disumanizzanti, che vanno individuate e contrastate. E il compito di contrastarle non avrà mai fine sulla terra. Noi però viviamo nella fede che un giorno queste forze e questi poteri che mettono al centro se stessi e in sottomissione tutto il resto, saranno distrutti. Lo saranno - scriveva oggi Paolo nella lettera ai Corinti - quando alla fine dei tempi Gesù "consegnerà il regno al Padre dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza".

E' la nostra speranza: non vince la Forza, sarà sconfitta. Una parola, questa, che ha dell'incredibile se non riposasse sulla promessa, la promessa di Dio. Crescita lenta, faticosa quella del regno di Dio sulla terra, ma crescita illuminata da una promessa, segreto della nostra impenitente fiducia.

Vengo al vangelo che potrebbe rispondere a una nostra domanda: "Come far crescere il regno di Dio sulla terra?". Ricordiamo che nel "Padre nostro" Gesù ci ha invitati a pregare perché venga il regno di Dio. Che cosa lo fa crescere? Abbiamo ascoltato Matteo. Che, sconcertando, mette in primo piano le cosiddette opere di misericordia. Non sono in primo piano delle pratiche religiose. Secondo il vangelo, in primo piano è l'altro in difficoltà. Gesù lo accogli se accogli l'altro.

La scorsa quaresima commentando in Sant'Ambrogio le opere di misericordia il priore di Bose, Enzo Bianchi ricordava quanto pochi mesi prima aveva detto papa Francesco: "È amando gli altri che si impara ad amare Dio". Ebbene il vangelo declina l'amore per l'altro con gesti molto concreti, le opere di misericordia. Noi alle sei opere di misericordia suggerite da Gesù nel vangelo, abbiamo aggiunto una settima "seppellire i morti", anche questa di bruciante attualità: "dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, accogliere gli stranieri, vestire i nudi, visitare gli infermi, andare a trovare i carcerati, seppellire i morti".

Tutti voi - ne sono certo - avete notato che la condanna, stando a Matteo, non viene per aver fatto qualcosa di male, ma per non aver fatto il bene, per non aver fatto la misericordia. E' un richiamo, un richiamo forte alle nostre omissioni. Ed è un punto - lasciatemi dire - su cui io - non so voi - io non mi sento facilmente in pace. Le mie omissioni!

Sempre nel suo quaresimale a Sant'Ambrogio, Enzo Bianchi diceva che "per fare azioni di misericordia, sono assolutamente necessari alcuni passi. Innanzitutto il vedere: non basta guardare, occorre vedere, essere svegli e vigilanti, restare consapevoli che nel quotidiano dobbiamo non solo incrociare l'altro, guardarlo e passare oltre, ma vederlo, con uno sguardo che sappia leggerlo nella sua identità altra da noi di fratello o sorella in umanità. Conosciuto o sconosciuto, l'altro va visto come uno uguale a noi in dignità e umanità.

Solo dal vedere scaturisce il secondo passo: avvicinarsi, farsi prossimo all'altro e così renderlo nostro prossimo. Nell'incontro, nella prossimità, nel volto contro volto, occhio contro occhio, si decide la relazione. L'altro non è più lontano, non è più uno tra tanti altri, ma ha un volto di fronte al mio e con il suo volto mi pone una domanda, accende la mia responsabilità. L'ultimo passo è il sentire, provare compassione non solo con il cuore, ma con viscere che fremono, si commuovono.

Qui si vede se uno ha il cuore di carne o di pietra (cf. Ez 11,19; 36,26), se è egoista e narcisista oppure se sa riconoscere il bisogno dell'altro fino a provare empatia, fino a soffrire con l'altro". Vedere, avvicinarsi, sentire compassione. Senza dimenticare che il dare non è mai a senso unico: dall'altro io ricevo.

Me lo ricordava un amico che, pochi giorni fa alle prime luci dell'alba, in piazza Cordusio si avvicinò a due donne: avevano dormito fuori tutta la notte e stavano rassettando le loro poche cose. Domandò loro: "Come va?". Gli risposero: "Non possiamo lamentarci". Il regno di Dio!

 

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